Nel chiostro interno al Palazzo di Giustizia, dal 2002 si possono ammirare le particolari sculture di Davide Rivalta, che costituiscono un gruppo plastico di notevole pregio artistico, a maggior ragione perché, nel loro vigoroso realismo, sono riconducibili ad un pensiero della scultura fondato su una tradizione recuperata all'attualità.
Sul piano simbolico, se il Palazzo di Giustizia rappresenta la dimensione etica, la coscienza civile di una società, con i suoi ordinamenti e le sue leggi, i "Gorilla", per contro, evocano la condizione iniziale, pre-culturale dell'uomo. In questa prospettiva il complesso scultoreo installato nel Palazzo può anche simboleggiare il lungo percorso della civiltà dai primordi a oggi.
Ho un problema con le fave. Non riesco ad amarle. Poi con le galline. Mi schifano, quasi mi inquietano. Ho un problema con gli ombrelli. Mal li sopporto. Con i cassetti aperti e le ante che non si chiudono. Soprattutto di notte. Mi impauriscono. Potrei soffermarmi ancora un poco, concedere tempo al pensiero ed elencare altre faccende per cui svalango insofferenza ingiustificata. Mi chiedessero il perché, risponderei Non so.
Filosofando inventerei frasi con la parola atavico a far da protagonista, per discolparmi dal non riuscire a dare spiegazione logica. Perché ci sono insofferenze senza scuse, senza ragioni. Questioni di pelle. Incapacità incomprensibili. Blocchi insensati. La scultura. Le tre dimensioni della scultura. Mai sono riuscita a farle mie. O piuttosto, molto raramente. Pronta a commuovermi davanti a un quadro, ad inginocchiare meraviglia di fronte ad una fotografia, a studiare la calligrafia come fosse incrocio di strade su cui riconoscere bellezza, mi sono sempre raggelata davanti alla scultura. Perché? Non so. La sensazione è sempre che gli oggetti comuni – dal paio di occhiali, al volto di donna, al fiore sul ciliegio, al vuoto – siano già la perfezione raggiunta, siano già il reale non interpretabile, il riassunto non sintetizzabile. Nemmeno la scultura astratta, futurista, cubista solitamente mi emozionano. Così, spesso rimango di stucco nell'imbarazzo che la terza dimensione mi inculca.
Oggi però qualcuno mi ha portato in gita al Palazzo di Giustizia, a Ravenna. No, nessun avvocato, nessun giudice, nemmeno le loro tre dimensioni, ad aspettarmi. Nessun appuntamento rischioso. Il palazzo è triste, algido, monocromatico e sbiadito. Il silenzio è infame e bugiardo. Una sola entrata per la corte interna, larga, ottagonale e grigia. Si varca un passaggio e ci si ritrova più piccoli.
Sei gorilla giganteschi intimano di prestare attenzione. Dimensione naturale. Colate di bronzo. Neri. Narici sprofondate. Sguardi differenti, posizioni in movimento, in riassetto. Sei gorilla dentro il Palazzo di Giustizia. Bellissimi. Bellissimi. Bellissimi. Pare stiano per dirigersi verso l'uscita – che è l'unico ingresso. O sembra vogliano difendere nell'occupazione del suolo. O potrebbero voler fare due chiacchere. O cominciare invece l'invasione del mondo. O essere monito. O essere scherno.
Davide Rivalta, l'artefice. 1974. Di Bologna. I miei complimenti.
A informarsi un poco, si scopre il suo piacere nel rappresentare animali. Nell'usare il metallo o la vetroresina. Anche lo schizzo, l'impasto. Perché? Non so. Semplicità di un'idea. Coraggio nel proporla. Coerenza nel riprodurla. Perché? Non so. Perché dentro ad un tribunale – rinchiusi o liberati, in attesa o in aggressione, in difesa o in protezione – è sconcertante trovare sei grossi gorilla che osservano. Sbigottisce. Sbalordisce.
"Ho voluto dare forma ai sentimenti intensi, a volte brutali, che vivono in chi attraversa un tribunale" illustra Davide Rivalta. "L'efficacia dell'opera nasce dal contrasto che si percepisce tra l'austerità immobile propria di un Palazzo di Giustizia e l'energia primordiale delle sculture" spiega la Procura di Ravenna. Che non è affatto semplice tollerare sei gorilla che passeggiano là fuori, là sotto le aule di magistrati, gli uffici di avvocati, le sorveglianze di poliziotti. Io li trovo splendidi. Ma non è scontata la comprensione di quest'ironia e di queste vicinanze – questi accostamenti. Io però non posso non sorridere pensando a George Brassens, e poi a Fabrizio De André. Al loro gorilla. E allora nulla ferma la carovana di personaggi che immagino colare in bronzo dentro la corte del tribunale: vecchine, nani, zingari, prostitute, condannati, marinai, preti (scritto da Alice, Marquez)