Di Redazione su Sabato, 30 Giugno 2018
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Il destino in 2 minuti di lettura, e sorbirsi quel "Se ti impegni ce la fai, io son passato al primo tentativo". Lettera di un praticante

 Ci giunge questa lettera di un giovane praticante che chiameremo, con un nome di fantasia, Alessandro. Una lettera che proponiamo ai nostri lettori: 

"Buongiorno, vi contatto per dirvi semplicemente "grazie", grazie per gli articoli e le riflessioni espresse in merito all'esame di stato. Concordo su tutta la linea, l'esame è iniquo, poco selettivo e dettato da criteri casuali. Rilevo con rammarico, e lo dico a ragion veduta, che molti studenti che approcciano all'esame - magari con incoscienza o scarsa preparazione - "rischiano" di conseguire con più facilità l'agognato risultato. Mi sono laureato in 4 e anni 9 mesi, ho dovuto attendere il decorso dei 5 anni per discutere la mia tesi di laurea e poi, subito dopo, la pratica in almeno 5 studi legali (anche prestigiosi) trattando materie sempre diverse e senza MAI essere remunerato. Ebbene, dopo 5 tentativi, dopo una serie di "mezzi voti" 28 e 27 sono ancora qui a chiedermi cosa cerchino le commissioni all'interno degli elaborati. Intanto ho visto candidati conseguire il titolo, gli stessi candidati a cui regalavo i miei appunti all'università, gli stessi candidati che spesso non ambiscono alla toga. 

Non cederò all'odio o all'avversione verso costoro, non hanno colpe, non mi hanno sottratto nulla ma sono sempre più convinto che i criteri siano casuali. In migliaia potrebbero raccontarvi di elaborati identici valutati in modo estremamente diverso perché, diciamola tutta, molto spesso i candidati elaborano gli scritti in tandem utilizzando le stesse parole e gli stessi riferimenti normativi, compiti fotocopia con risultati estremamente diversi. (Ho dettato interi periodi a candidati ammessi e quegli stessi periodo, al sottoscritto, sono stati sottolineati e, quindi, contestati). Ebbi contezza immediata di queste discrasie sin dai tempi della scuola forense dove, non di rado, gli "stessi" elaborati raccoglievano valutazioni molto diverse tra loro. Ciò che rammarica è che questa compassione tra "colleghi" è, troppo spesso, a termine e lo riscontro quando leggo articoli che ciclicamente sollevano perplessità sulle abilitazioni conseguite all'estero o sulle remunerazioni inesistenti dei giovani avvocati.

Quando si tocca l'orticello di qualcuno insorgono i più fortunati con riflessioni banali quali "se ti impegni ce la fai", "io sono passato al primo tentativo"...bravissimi, complimenti, il sistema non vi ha dato modo di riflettere, buon per voi. Parliamoci chiaro, una riforma è necessaria, non basta spedire un plico a 500 km per garantire equità nelle correzioni, di rado si riscontrano risultati omogenei, abbiamo eluso i problemi del passato per crearne di nuovi. A questo punto, pur svilendo il ruolo dell'avvocato, sarebbe opportuno selezionare i candidati con un test a risposte multiple e, successivamente, con un esame orale. Oppure, e questa sarebbe pura demagogia, permettere a un gruppo di candidati di assistere a queste fantomatiche correzioni collegiali così da garantire trasparenza in ogni aspetto perché la manfrina del controllo della busta contenente le tracce durante i giorni d'esame è fine a se stessa se poi non possono essere verificati tutti gli aspetti della correzione. Perché uno scritto che si discosta dalla dottrina maggioritaria è spesso penalizzato? Perché durante i corsi di preparazione all'esame ti indottrinano dicendoti che un parere viene letto in 2 minuti? Perché il mio destino deve dipendere da due minuti di lettura? A questo punto diamo libero sfogo al mercato liberalizzando la professione, chi è bravo e competente non può temere nulla.

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