Con la sentenza n. 40932, la Cassazione penale, esaminando la condotta serbata da un medico di una struttura sanitaria ove era deceduto un paziente per l'omessa profilassi antitrombotica, in relazione all'accertamento della posizione di garanzia ha statuito che "laddove la struttura organizzativa sanitaria sia particolarmente complessa, sarà necessario un particolare accertamento da parte del giudice per pervenire a ritenere effettivamente instauratasi la relazione terapeutica, e dunque la posizione di garanzia del medico".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un medico, accusato del reato di cui all'art. 589 c.p. per aver cagionato, per colpa, la morte di un paziente deceduto per embolia polmonare massiva, conseguente a trombosi venosa profonda dell'arto inferiore destro, causata dall'omessa profilassi antitrombotica, nonostante il rischio di sviluppare una trombosi da parte del paziente fosse alto-altissimo.
Nel corso dell'istruttoria compiuta durante il giudizio di merito era emerso che il paziente – ricoverato presso il reparto di cardiologia dell'ospedale con diagnosi di accettazione di sincope in cardiomiopatia ipertrofica – veniva successivamente trasferito presso il reparto di chirurgia generale dello stesso nosocomio affinché, esclusa l'origine cardiopatica della sincope e riscontrata un'ulcera duodenale stenosante in fase attiva, venisse sottoposto ai necessari interventi di gastrorestrizione.
A seguito dell'intervento - eseguito, fra gli altri, dall'imputato in qualità di aiuto – nei giorni immediatamente successivi il paziente manifestava forti algie all'arto inferiore destro, ragion per cui, su indicazioni dello stesso imputato, medico reperibile, gli veniva praticata terapia antalgica dall'infermiere di turno. Dopo giorni di malessere, l'uomo decedeva, a causa di un'embolia polmonare, con diagnosi secondarie di trombosi embolica dell'arto inferiore destro e stenosi pilorica
Valorizzando le emergenze istruttorie e le perizie espletate, sia il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Ragusa che Corte di Appello di Catania ravvisavano una condotta censurabile in capo ai medici del reparto di chirurgia generale dell'ospedale, per non avere attuato – nonostante il paziente versasse in rischio di trombosi alto-altissimo – la corretta profilassi atta a prevenire la trombosi (la stessa profilassi veniva eseguita tardivamente e somministrata con un dosaggio insufficiente).
Quanto alla posizione specifica dell'imputato, i giudici lo ritenevano penalmente colpevole perché aveva in cura il paziente già dalla data del trasferimento di quest'ultimo nel reparto di chirurgia e aveva preso parte all'intervento chirurgico; egli, inoltre, era in servizio regolarmente nei giorni successivi al ricovero nel reparto, ivi compresa la sera precedente al decesso dell'uomo: da tali elementi, quindi, ne risultava provata la posizione di garanzia e la colpa del prevenuto, dal momento che l'omissione contestata andava ascritta a tutti i sanitari che avevano avuto in carico l'uomo, in quanto ciascuno di loro avrebbe avuto il potere di valutare la correttezza del dosaggio dei farmaci.
Affermata la penale responsabilità del sanitario, quest'ultimo ricorreva in Cassazione dolendosi perché la Corte di merito, non assumendo alcune prove ritenute decisive, non aveva considerato quale fosse stata l'attività effettivamente svolta dall'imputato in quei giorni; inoltre censurava la sentenza per aver travisato il contenuto del diario clinico del reparto di chirurgia.
In secondo luogo, la difesa del medico evidenziava come la Corte non aveva verificato in concreto, sulla scorta dell'organizzazione dell'unità operativa, a chi spettasse il compito di predisporre il piano terapeutico di un nuovo paziente; né si era accertato se si fosse effettivamente instaurato un rapporto terapeutico fra il paziente e l'imputato, stante l'impossibilità di individuare esattamente quale fosse stato il ruolo avuto dall'imputato e quando e come fosse avvenuto il contatto terapeutico.
La Cassazione non condivide le doglianze del ricorrente inerenti all'erronea ricostruzione della posizione di garanza a lui ascritta.
I Supremi Giudici premettono che - risultato provato il nesso di causalità tra la condotta omissiva dell'imputato e il decesso del paziente – è altresì necessario, per integrare il nesso di causalità omissiva, che sul soggetto cui si imputa l'omissione gravi una specifica posizione di garanzia, la quale gli imponga il dovere di agire: "nei reati colposi omissivi impropri l'accertamento della colpa non può prescindere dalla individuazione della posizione di garanzia, cioè della norma che impone al soggetto, cui si imputa la colpa, di tenere quel comportamento positivo la cui omissione ha determinato il verificarsi dell'evento".
La Corte richiama quindi la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui in caso di responsabilità professionale medica sebbene l'instaurazione della relazione terapeutica tra medico e paziente è fonte della posizione di garanzia che il primo assume nei confronti del secondo, cionondimeno ai fini dell'affermazione di responsabilità penale a titolo di colpa omissiva dei medici operanti - non in posizione apicale - all'interno di una struttura sanitaria complessa, è priva di rilievo la mera instaurazione del c.d. rapporto terapeutico, occorrendo accertare la concreta organizzazione della struttura, con particolare riguardo ai ruoli, alle sfere di competenza ed ai poteri-doveri dei medici coinvolti nella specifica vicenda ( Cass. n. 1866/2008).
In punto di fatto, la Cassazione ritiene che correttamente la Corte d'Appello abbia rinvenuto la posizione di garanzia, ben emergente dalla circostanza che l'imputato aveva partecipato all'intervento chirurgico e aveva disposto – come espressamente menzionato sulla cartella clinica - il trattamento farmacologico da effettuarsi.
In particolare, secondo gli Ermellini l'avere partecipato all'intervento è elemento più che sufficiente per ritenere che anche l'imputato fosse gravato dell'obbligo di predisporre l'adeguata profilassi antitrombotica legata al corretto svolgimento dell'operazione e del periodo post-operatorio: tale conclusione deriva dal consolidato principio di affidamento, secondo cui anche nello svolgimento dell'attività medica in equipe, ciascun sanitario risulta obbligato non solamente al corretto svolgimento delle proprie specifiche mansioni, ma anche alla vigilanza sulla correttezza dell'attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio.
La Cassazione rigetta quindi il ricorso, condannando l'imputato al pagamento delle spese di lite.