Di Redazione su Venerdì, 10 Febbraio 2017
Categoria: Giurisprudenza Corte Costituzionale

Perché abbiamo bocciato Italicum: qui il testo con le motivazioni della sentenza della Consulta

"Le modalità di attribuzione del premio attraverso il turno di ballottaggio determinano una lesione" perché per come è congegnato l´Italicum "il premio attribuito al secondo turno resta un premio di maggioranza e non diventa un premio di governabilità".

Quindi, il premio deve essere vincolato all´esigenza costituzionale "di non comprimere eccessivamente il carattere rappresentativo dell´assemblea elettiva e l´eguaglianza del voto". Lo scrive la Corte Costituzionale nelle motivazioni sull´Italicum che pubblichiamo per intero.

LaCostituzione, "se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all´esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee".

La soglia del 40% per l´attribuzione del premio di maggioranza "alla luce della ricordata discrezionalità legislativa in materia" "non appare in sé manifestamente irragionevole, poiché volta a bilanciare i principi costituzionali della necessaria rappresentatività" "con gli obbiettivi, pure di rilievo costituzionale, della stabilità del governo del Paese e della rapidità del processo decisionale".

Pubblichiamo adesso il testo della Sentenza 35/2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 18-bis, comma 3, primo periodo, 19, comma 1, primo periodo, 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, 83-bis, comma 1, numeri 1), 2), 3) e 4), 84, commi 1, 2 e 4, e 85 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), come sostituiti, modificati e/o aggiunti, rispettivamente, dall´art. 2, commi 1, 10, lettera c), 11, 25, 26 e 27 della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati); degli artt. 16, comma 1, lettera b), e 17 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l´elezione del Senato della Repubblica), come novellati dall´art. 4, commi 7 e 8, della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l´elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); e degli artt. 1, comma 1, lettere a), d), e), f) e g), e 2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, promossi dai Tribunali ordinari di Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova con ordinanze, rispettivamente, del 17 febbraio, del 5 luglio, del 6 settembre, del 5 ottobre e del 16 novembre 2016, iscritte ai nn. 69, 163, 192, 265 e 268 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 14, 30, 41 e 50, prima serie speciale, dell´anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di V.P. e altri, di L.P.C. e altri, di M.V. e altri, di F.S. e altri, e di S.A. e altri, nonché gli atti di intervento di F.C.B. e altri, di C.T. e altri, di S.M., di F.D.M. e altro (intervenuti nel giudizio iscritto al n. 163 del registro ordinanze 2016 con due atti, il primo nei termini e il secondo fuori termine), del Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell´ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro (intervenuti nei termini nei giudizi iscritti ai nn. 265 e 268 del registro ordinanze 2016, e fuori termine nei giudizi iscritti ai nn. 69 e 163 del registro ordinanze 2016), di V.P., di E.P. e altra, di M.M. ed altri e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell´udienza pubblica del 24 gennaio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi gli avvocati Enzo Paolini per E.P. e altra, per F.C.B. e altri, per S.M. e per V.P., Claudio Tani per C.T. e altri, Carlo Rienzi per il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell´ambiente e la tutela dei diritti di utenti e consumatori) e altro, Vincenzo Palumbo e Giuseppe Bozzi per V.P. e altri, Roberto Lamacchia per L.P.C. e altri, Michele Ricciardi per M.V. e altri, Felice Carlo Besostri per F.S. e altri e per S.A. e altri, Lorenzo Acquarone e Vincenzo Paolillo per S.A. e altri, e gli avvocati dello Stato Paolo Grasso e Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 17 febbraio 2016 (reg. ord. n. 69 del 2016), il Tribunale ordinario di Messina ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell´art. 1, comma 1, lettera f), della legge 6 maggio 2015, n. 52 (Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati) e degli artt. 1, comma 2, e 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), questi ultimi come modificati dall´art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, primo e secondo comma, 3, primo e secondo comma, 48, secondo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, della Costituzione, e dell´art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848; dell´art. 1, comma 1, lettere a), d) e e), della legge n. 52 del 2015 e degli artt. 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, e 84, commi 2 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, questi ultimi come sostituiti dall´art. 2, commi 25 e 26, della legge n. 52 del 2015, per violazione dell´art. 56, primo e quarto comma, Cost.; dell´art. 1, comma 1, lettera g), della legge n. 52 del 2015 e degli artt. 18-bis, comma 3, primo periodo, 19, comma 1, primo periodo, e 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificati e/o sostituiti, rispettivamente, dall´art. 2, commi 10, lettera c), 11 e 26, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, primo e secondo comma, 2, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 56, primo e quarto comma, Cost.; degli artt. 16, comma 1, lettera b), e 17 del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l´elezione del Senato della Repubblica), come novellati dall´art. 4, commi 7 e 8, della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l´elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), per violazione degli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost.; e dell´art. 2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, 3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost.
1.1.– Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere un giudizio promosso con ricorso ai sensi dell´art. 702-bis del codice di procedura civile da alcuni cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali del Comune di Messina, i quali hanno convenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell´interno, affinché sia riconosciuto e dichiarato «il loro diritto soggettivo di elettorato, per partecipare personalmente, liberamente e direttamente, in un sistema istituzionale di democrazia parlamentare, con metodo democratico ed in condizioni di libertà ed eguaglianza, alla vita politica della Nazione, nel legittimo esercizio della loro quota di sovranità popolare, così come previsto e garantito dagli artt. 1, 2, 3, 24, 48, 49, 51, 56, 71, 92, 111, 113, 117, 138 Cost. e dagli artt. 13 CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell´uomo), 3 Protocollo CEDU, entrambi ratificati in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848»; affinché sia riconosciuto e dichiarato che l´applicazione della legge n. 52 del 2015 «risulta gravemente lesiva dei loro diritti come sopra indicati, ponendosi in contrasto con le superiori disposizioni costituzionali»; e, di conseguenza, affinché il giudice adito disponga «la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale».
1.2.– In via preliminare, il Tribunale ordinario di Messina rigetta le eccezioni sollevate nel giudizio a quo dall´Avvocatura distrettuale dello Stato, secondo la quale l´azione promossa dai cittadini elettori avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per carenza di interesse ad agire, in quanto non sarebbero state ancora indette le elezioni politiche e non vi sarebbe un´imminente competizione elettorale nella quale esercitare il diritto di voto che i ricorrenti assumono leso dalle disposizioni censurate, le quali ultime, peraltro, «entreranno in vigore dal 1° luglio 2016».
Il giudice a quo, sul punto, dichiara di condividere l´orientamento dalla Corte di cassazione, la quale avrebbe affermato che l´espressione del diritto di voto «rappresenta l´oggetto di un diritto inviolabile e "permanente", il cui esercizio da parte dei cittadini può avvenire in qualunque momento» (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 17 maggio 2013, n. 12060). Pur riconoscendo che, in quell´occasione, la decisione della Corte di cassazione riguardava un ricorso proposto da un cittadino elettore in relazione ad elezioni politiche già svolte, il giudice rimettente afferma di aderire alle argomentazioni dei ricorrenti, i quali hanno sostenuto che l´indagine sulla meritevolezza dell´interesse ad agire non costituisce un parametro valutativo ai sensi dell´art. 100 cod. proc. civ.; che, ai fini della proponibilità delle azioni di mero accertamento, o, come nel caso in esame, costitutive o di accertamento-costitutive, sarebbe «sufficiente l´esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva sull´esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti da un rapporto giuridico di fonte negoziale o anche legale, in quanto tale idonea a provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se non per il tramite del richiesto accertamento giudiziale della concreta volontà della legge, senza che sia necessaria l´attualità della lesione di un diritto» (sono richiamate le sentenze della Corte di cassazione, sezione seconda civile, 26 maggio 2008, n. 13556; sezione lavoro, 21 febbraio 2008, n. 4496; sezione seconda civile, 29 maggio 1976, n. 1952; sezione prima civile, 12 agosto 1966, n. 2209); che l´espressione del voto costituisce oggetto di un diritto inviolabile e «permanente» dei cittadini, i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in ogni momento e, pertanto, lo stato di incertezza al riguardo costituisce un pregiudizio concreto, di per sé sufficiente a giustificare la sussistenza dell´interesse ad agire; che, infine, subordinare la proponibilità dell´azione «al verificarsi di condizioni non previste dalla legge (come, ad esempio, la convocazione dei comizi elettorali)» determinerebbe la lesione dei parametri costituzionali che garantiscono l´effettività e la tempestività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113, secondo comma, Cost.). Il giudice a quo ricorda, inoltre, la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, con la quale sono state dichiarate ammissibili questioni di legittimità costituzionale relative a «normativa elettorale non conforme ai principi costituzionali, indipendentemente da atti applicativi della stessa, in quanto già l´incertezza sulla portata del diritto costituisce una lesione giuridicamente rilevante», e osserva come, nella medesima pronuncia, l´ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sarebbe stata dettata dall´esigenza che non siano sottratte al sindacato di costituzionalità le leggi che definiscono le regole della composizione della Camera e del Senato.
Secondo il rimettente non potrebbe, invece, invocarsi – a sostegno della soluzione opposta – la sentenza della Corte costituzionale n. 110 del 2015, con la quale sono state dichiarate inammissibili questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto disposizioni che regolano l´elezione dei membri italiani al Parlamento europeo in relazione «a future consultazioni»: la Corte costituzionale, infatti, in quella pronuncia, avrebbe sottolineato come solo la disciplina elettorale per il rinnovo della Camera e del Senato ricadano, in ragione del controllo riservato dall´art. 66 Cost. alle Camere stesse, in una zona franca sottratta al sindacato di costituzionalità.
Per tali ragioni, il Tribunale ordinario di Messina ritiene sussistente l´interesse ad agire dei ricorrenti.
1.3.– Sempre preliminarmente, il rimettente motiva sulla sussistenza della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale prospettate ai fini della definizione del giudizio principale, argomentando che nel giudizio principale sarebbe individuabile un petitum separato, distinto e più ampio rispetto alle questioni di legittimità costituzionale sollevate: spetterebbe, infatti, al giudice a quo la verifica delle altre condizioni da cui la legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di voto e, inoltre, non vi sarebbe neppure coincidenza tra il dispositivo della sentenza costituzionale e quello della sentenza che definisce il giudizio di merito, la quale ultima, accertata l´avvenuta lesione del diritto azionato, lo ripristina nella pienezza della sua espansione, seppure per il tramite della sentenza costituzionale.
1.4.– Nel merito, il Tribunale ordinario di Messina, dopo aver ampiamente illustrato le ragioni per le quali ritiene di non condividere parte delle doglianze prospettate dalle parti, solleva plurime questioni di legittimità costituzionale.
Con la prima censura, il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell´art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del 2015 e degli artt. 1, comma 2, e 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, del d.P.R. n. 361 del 1957, questi ultimi come modificati dall´art. 2, commi 1 e 25, della legge n. 52 del 2015, in riferimento agli artt. 1, primo e secondo comma, 3, primo e secondo comma, 48, secondo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost., e all´art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle libertà fondamentali.
Dopo aver ricordato quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014, il rimettente premette di non dubitare della conformità a Costituzione – e, in particolare, al principio di eguaglianza del voto garantito dall´art. 48, secondo comma, Cost., il quale richiede che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi – della previsione di un premio di maggioranza alla lista che ottenga la percentuale prescritta del 40 per cento dei voti al primo turno, trattandosi, a suo avviso, di una soglia che, nell´ambito della discrezionalità politica del legislatore, non rende intollerabile la cosiddetta disproporzionalità tra voti espressi e seggi attribuiti.
Dubita, invece, il rimettente che le disposizioni censurate contrastino con l´evocato parametro costituzionale, in quanto non prevedono «un necessario rapporto tra voti ottenuti rispetto non già ai voti validi, ma al complesso degli aventi diritto al voto (una sorta di quorum di votanti), unitamente al fatto che il premio di maggioranza operi anche in caso di ballottaggio (che andrebbe comunque considerato come una nuova votazione tra due sole liste, diverse dalla precedente, nella quale è necessario che la lista vincente prenda almeno il 50,01% dei voti rispetto alla lista concorrente) e che vi sia la clausola di sbarramento al 3%». Il premio di maggioranza, così attribuito, finirebbe – secondo il rimettente – per «liberare le decisioni della più forte minoranza da ogni controllo dell´elettorato».
Il Tribunale ordinario di Messina specifica, infine, di dubitare della legittimità costituzionale dell´introduzione di una clausola di sbarramento per l´accesso al riparto dei seggi, pur in presenza di un premio di maggioranza «a sua volta tendente a sovra-rappresentare il partito con più voti», e ciò sebbene l´introduzione di soglie di sbarramento costituisca una scelta riservata alla discrezionalità politica del legislatore e la percentuale prevista dalla legge n. 52 del 2015 non sia, di per sé, né troppo bassa, né eccessivamente elevata (è menzionata, sul punto, la sentenza della Corte costituzionale n. 193 del 2015).
1.5.– Il medesimo Tribunale solleva questioni di legittimità costituzionale dell´art. 1, comma 1, lettere a), d) e e), della legge n. 52 del 2015 e degli artt. 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, e 84, commi 2 e 4, del d.P.R. n. 361 del 1957, questi ultimi come sostituiti dall´art. 2, commi 25 e 26, della legge n. 52 del 2015, per violazione dell´art. 56, primo e quarto comma, Cost.
Il rimettente premette che la legge n. 52 del 2015 suddivide il territorio nazionale in venti circoscrizioni territoriali, a loro volta ripartite in cento collegi plurinominali (fatti salvi i collegi uninominali nelle circoscrizioni Valle d´Aosta e Trentino - Alto Adige), e che, «nel contesto di un complesso meccanismo di calcolo da parte dell´Ufficio centrale nazionale», nel caso in cui una lista abbia esaurito in una circoscrizione il numero dei candidati potenzialmente eleggibili, i seggi spettanti a quella circoscrizione «carente» vengono trasferiti ad altra circoscrizione in cui vi siano candidati «eccedentari», eleggibili in virtù del trasferimento di seggi.
A suo avviso, tale meccanismo violerebbe il principio di rappresentatività territoriale che l´art. 56 Cost. «delinea con riguardo al rapporto tra i seggi da distribuire e la popolazione di ogni circoscrizione». Il rimettente assume, infatti, che le disposizioni censurate, nel consentire la traslazione dei voti utili per l´elezione da una circoscrizione, che risulti carente di candidati, ad un´altra, che risulti eccedentaria, si porrebbero in contrasto «con il principio di rappresentatività e responsabilità dell´eletto rispetto agli elettori che lo hanno espresso».
1.6.– La terza questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Messina ha ad oggetto l´art. 1, comma 1, lettera g), della legge n. 52 del 2015, e gli artt. 18-bis, comma 3, primo periodo, 19, comma 1, primo periodo, e 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificati e/o sostituiti, rispettivamente, dall´art. 2, commi 10, lettera c), 11 e 26, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, primo e secondo comma, 2, 48, secondo comma, 51, primo comma, e 56, primo e quarto comma, Cost.
Ricorda, anzitutto, il rimettente la sentenza n. 1 del 2014, con la quale la Corte costituzionale avrebbe dichiarato l´illegittimità costituzionale delle disposizioni che prevedevano le liste bloccate, poiché esse non avrebbero consentito «all´elettore di esprimere alcuna preferenza al fine di determinare l´elezione, ma solo di scegliere una lista di partito, cui era rimessa la designazione e la collocazione in lista di tutti i candidati», e, dunque, quel sistema avrebbe reso «il voto sostanzialmente "indiretto", e, quindi, né libero, né personale, in violazione dell´art. 48, secondo comma, Cost.».
Osserva, quindi, che le disposizioni censurate prevedono, da un lato, circoscrizioni «relativamente piccole» e, dall´altro, un sistema misto, «in parte blindato ed in parte preferenziale», costituito da «liste bloccate solo per una parte dei seggi», ossia solo per i capilista nei cento collegi plurinominali, mentre gli altri candidati sono scelti con il voto di preferenza.
Ciò premesso, il rimettente osserva che se, «[d]i per sé», tali norme potrebbero ritenersi coerenti con le indicazioni della Corte costituzionale, residua tuttavia il dubbio «che possa concretamente realizzarsi per le forze di opposizione (rectius: minoritarie) un effetto distorsivo dovuto alla rappresentanza parlamentare largamente dominata da capilista bloccati, pur se con il correttivo della multicandidatura, ma con possibilità che il voto in tali casi sia sostanzialmente "indiretto", e, quindi, né libero, né personale, in violazione dell´art. 48, secondo comma, Cost.».
1.7.– Ulteriore questione di legittimità costituzionale investe gli artt. 16, comma 1, lettera b), e 17 del d.lgs. n. 533 del 1993, come novellati dall´art. 4, commi 7 e 8, della legge n. 270 del 2005, per violazione degli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost.
Dopo aver ricordato che tali disposizioni, che regolano il sistema elettorale del Senato, prevedono che possano accedere alla ripartizione dei seggi le coalizioni di liste che ottengono almeno il 20 per cento dei voti validi in ambito regionale, le singole liste facenti parte di coalizioni che conseguono almeno il 3 per cento dei voti validi e le singole liste, non coalizzate, che ottengono almeno l´8 per cento dei voti, il giudice a quo ricorda la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, nella quale sarebbe stato affermato che, nonostante rientri nella discrezionalità del legislatore ordinario differenziare i sistemi elettorali dei due rami del Parlamento, alla Corte sarebbe riservato il dovere di verificare se la disciplina legislativa violi manifestamente i principi di proporzionalità e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. Osserva, quindi, il rimettente che, nel caso in esame, la «palese diversità di sistema elettorale» favorisce la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti, pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea tra i due rami del Parlamento, e che ciò – sul punto riportando un passo della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 – «rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l´esercizio della funzione legislativa, che l´art. 70 Cost. attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato», rischiando di vanificare il risultato che si intende conseguire con un´adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del Governo.
1.8.– Il Tribunale ordinario di Messina solleva, infine, questione di legittimità costituzionale dell´art. 2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, in base al quale le disposizioni contenute nel medesimo art. 2 si applicano alle elezioni della Camera dei deputati a decorrere dal 1° luglio 2016.
Il giudice a quo dubita che tale previsione sia conforme agli artt. 1, 3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost., in quanto, «in caso di nuove elezioni a legislazione elettorale del Senato invariata (pur essendo in itinere la riforma costituzionale di questo ramo del Parlamento), si produrrebbe una situazione di palese ingovernabilità, per la coesistenza di due diverse maggioranze». Pur ammettendo che in un sistema bicamerale perfetto i componenti dei due rami del Parlamento possano essere eletti con sistemi elettorali differenti e che ciò rientri nella discrezionalità del legislatore, il rimettente ritiene che i sistemi elettorali attualmente vigenti per la Camera e il Senato produrrebbero maggioranze diverse e, dunque, assume che la disposizione censurata sia incostituzionale, in quanto l´applicabilità della legge n. 52 del 2015 non è stata differita «al momento in cui verrà attuata la riforma costituzionale».
2.– Con atto depositato in data 26 aprile 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall´Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
2.1.– L´Avvocatura generale dello Stato eccepisce, anzitutto, l´inammissibilità di tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Messina, in quanto quest´ultimo avrebbe ritenuto sussistente il requisito della rilevanza a prescindere, non solo dall´applicazione delle disposizioni censurate, ma anche dall´astratta possibilità che tale applicazione si verifichi. Nel caso di specie, infatti, le norme censurate sarebbero vigenti, ma, sino al 1° luglio 2016, non applicabili.
Nonostante il giudice a quo abbia ampiamente richiamato le argomentazioni contenute nell´ordinanza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 17 maggio 2013, n. 12060, vi sarebbe un´evidente differenza tra il caso ora all´esame della Corte costituzionale e quello che condusse all´accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di cassazione: in quell´occasione, infatti, il giudice rimettente «si riferiva non ad un´ipotetica e futura applicazione della disciplina elettorale, ma ad un diritto di voto che aveva già avuto modo di esplicarsi a tre riprese (2006, 2008 e 2013) con le note menomazioni riconducibili ad una legge dichiarata poi incostituzionale». Mentre, cioè, l´azione che aveva dato origine al giudizio di costituzionalità definito dalla sentenza n. 1 del 2014 riguardava un accertamento riferito ad elezioni già svolte, soggette ad una disciplina di legge già efficace ed effettivamente già applicata, la legge n. 52 del 2015, censurata dal Tribunale ordinario di Messina, produce i suoi effetti a decorrere dal 1° luglio 2016 e, dunque, nessuna elezione si è svolta in base a questa legge e nessuna lesione del proprio diritto può essere addotta dai ricorrenti.
A sostegno dell´inammissibilità, l´Avvocatura generale dello Stato richiama la sentenza n. 110 del 2015, assumendo che le argomentazioni contenute in quella pronuncia sarebbero conferenti al caso in esame.
Essa osserva, quindi, che l´ammissibilità di questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto disposizioni che ancora non spiegano i loro effetti «contrasterebbe a chiare lettere con il dettato costituzionale che non prevede un ricorso preventivo di legittimità» e, dunque, con la stessa funzione del giudizio in via incidentale. Del resto – osserva l´Avvocatura generale dello Stato – sia per la Corte costituzionale, sia per la dottrina, l´indice sintomatico minimo del requisito della rilevanza sarebbe proprio l´applicabilità della norma impugnata al caso sottoposto al giudizio del rimettente.
Rileva, inoltre, l´Avvocatura generale dello Stato che le questioni di legittimità costituzionale sollevate sarebbero inammissibili per evidente mancanza di attualità dell´interesse ad agire dei ricorrenti rispetto a disposizioni non ancora applicabili. La mancanza di un concreto ed attuale interesse delle parti renderebbe impossibile distinguere i petita dei due giudizi, quello instaurato di fronte al giudice civile e quello di costituzionalità. Essa osserva, in definitiva, che, ai fini della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, occorre che «il giudizio a quo abbia un oggetto, un fatto storico, al quale riferirsi», mentre tale fatto sarebbe completamente mancante nel caso in esame, poiché le disposizioni censurate non trovano applicazione «sino alla data di entrata in vigore» e, a partire da quella data, esse troveranno applicazione «solo se, e quando, saranno svolte le elezioni» in base alla disciplina censurata.
Osserva ancora l´Avvocatura generale che il giudice a quo avrebbe sovrapposto il concetto di rilevanza con quello di interesse sostanziale della parte: un interesse pur meritevole di tutela non potrebbe, infatti, sostituirsi al concetto di rilevanza (è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 193 del 2015, con la quale è stata dichiarata inammissibile una questione di legittimità costituzionale poiché, nella fattispecie concreta, la disposizione censurata non aveva prodotto gli effetti lamentati dal rimettente).
A sostegno dell´ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate non potrebbe, peraltro, osservarsi che, per fare chiarezza sull´effettiva portata del diritto di voto, non vi sarebbe altra via rispetto al giudizio di accertamento e al successivo giudizio di costituzionalità, in quanto il controllo dei risultati elettorali è affidato alle Camere. Tale motivazione – ad avviso dell´Avvocatura generale dello Stato – rivelerebbe una confusione tra le competenze delle Camere, chiamate ad accertare i titoli di ammissione di ciascun parlamentare, e quelle della Corte costituzionale.
La necessità di evitare le cosiddette zone franche non potrebbe, inoltre, condurre a «stravolgere completamente» il modello vigente di giustizia costituzionale imperniato sulla concretezza e sulla incidentalità delle questioni di legittimità costituzionale.
Consentire la sottoponibilità allo scrutinio della Corte costituzionale di leggi elettorali «prima della loro entrata in vigore» o «promulgate nella legislatura in corso» potrebbe apparire «addirittura contra legem», dal momento che – come dimostrerebbe il disegno di legge di riforma costituzionale in via di approvazione – è chiara l´intenzione del legislatore di disciplinare espressamente, con disposizioni del tutto innovative, «i mezzi di ricorso di costituzionalità delle leggi elettorali».
2.2.– L´Avvocatura generale dello Stato adduce plurimi argomenti a sostegno della non fondatezza della prima censura sollevata dal Tribunale ordinario di Messina.
Contesta, anzitutto, che le disposizioni censurate siano incostituzionali, in quanto prevedono l´assegnazione del premio di maggioranza a chi ottiene una percentuale parametrata sui voti validi espressi, anziché sui voti degli aventi diritto. Sul punto – oltre ad eccepire una carenza di motivazione del rimettente, che dovrebbe indurre la Corte costituzionale a dichiarare l´inammissibilità della censura – l´Avvocatura generale dello Stato osserva che il diritto di voto è strumentale alla formazione degli organi costituzionali, la quale non potrebbe essere messa in pericolo dalla previsione di quorum di partecipazione al voto «di rischioso raggiungimento». La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 1 del 2014, non avrebbe mai fatto riferimento alla necessità di un rapporto tra premio e percentuale degli aventi diritto, ma sempre e comunque tra premio e «soglia minima dei voti».
Il legislatore avrebbe modificato il sistema elettorale della Camera proprio per dare seguito all´affermazione della Corte costituzionale. Il sistema resterebbe di tipo proporzionale con la previsione di un premio di maggioranza, ma il premio è ora attribuito alla singola lista che ottenga, al primo turno di votazione, almeno il 40 per cento dei voti validi, ovvero, al secondo turno, il 50 per cento più uno dei voti. La congruità di tali soglie sarebbe dimostrata dalla circostanza che il premio di maggioranza garantisce al massimo un numero di seggi pari a quindici punti percentuali in più rispetto alla percentuale di consenso ottenuta al primo turno e di cinque punti in più al ballottaggio.
Il Parlamento – osserva l´Avvocatura generale dello Stato – avrebbe approvato la nuova legge elettorale tenendo conto non solo dell´esigenza di superare le eventuali censure di incostituzionalità, ma anche al fine di favorire la governabilità, che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 1 del 2014, ha definito «senz´altro un obiettivo costituzionalmente legittimo».
Quanto alla scelta di attribuire il premio ad una singola lista, anziché ad una coalizione di liste, essa rientrerebbe certamente nella discrezionalità del legislatore.
Quanto, poi, alla soglia per l´ottenimento del premio al secondo turno – che, osserva l´Avvocatura generale dello Stato, «non appare chiaro in realtà se sia anch´essa censurata o meno» – viene fatto notare come tale soglia, pur non essendo esplicitata, operi chiaramente in ragione della stessa natura del ballottaggio: poiché il premio è attribuito alla lista che otterrà più del 50 per cento dei voti validi, vi sarebbe ancora un riferimento alla soglia minima di voti richiesta dalla più volte citata sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014.
D´altro canto, nessuna legge elettorale regionale che assegna un premio di maggioranza prevede che esso sia subordinato al raggiungimento di un quorum degli aventi diritto e ciò – secondo l´Avvocatura generale dello Stato – appare «assolutamente razionale in quanto il meccanismo della legge 52/2015 premia opportunamente la partecipazione al voto di quella cittadinanza attiva che non deve essere pregiudicata dal comportamento omissivo di chi liberamente sceglie di non adempiere a quello che secondo Costituzione è il dovere civico del voto».
È, quindi, richiamata la sentenza n. 275 del 2014, assumendo che con tale decisione la Corte costituzionale avrebbe implicitamente riconosciuto la valenza legittimante del turno di ballottaggio per ciò che attiene all´assegnazione di un premio in seggi: non sussisterebbero, quindi, i dubbi relativi ad una eccessiva sovra-rappresentazione, poiché il premio sarebbe «diretta conseguenza del voto e non un artifizio completamente scisso da esso». La Corte costituzionale, nella sentenza n. 1 del 2014, avrebbe, peraltro, affermato che ogni legge elettorale deve contemperare il criterio della rappresentatività del corpo elettorale con quello della governabilità, quest´ultima certamente perseguibile, pur «con il "minore sacrificio possibile" per la rappresentanza democratica». Essa non avrebbe, però, chiarito quando si debba considerare superato il limite della manifesta sproporzione della soglia e del premio di maggioranza.
Osserva l´Avvocatura generale dello Stato che la legge n. 52 del 2015 avrebbe comunque introdotto, rispetto alla previgente disciplina, un elemento di novità sostanziale, in quanto la maggioranza richiesta per accedere al premio non sarebbe relativa, bensì assoluta: ciò dimostrerebbe l´erroneità di quanto sostenuto dai ricorrenti nel giudizio a quo, in ordine all´assenza di un quorum minimo di consensi al secondo turno, ai fini dell´assegnazione alla lista vincente del premio di maggioranza.
L´Avvocatura generale dello Stato contesta, quindi, con ampiezza di argomenti, che l´incostituzionalità delle disposizioni censurate possa desumersi dall´ipotesi che si presenti al voto un numero irrisorio di elettori: non si rinverrebbe, infatti, in Costituzione la necessità di dare un fondamentale potere di «blocco» a chi si disinteressa della vita politica, scegliendo di non votare.
Concludendo su tale censura, l´Avvocatura generale dello Stato illustra le ragioni per le quali il sistema elettorale introdotto dalla legge n. 52 del 2015 si caratterizzerebbe per una maggiore rappresentatività rispetto sia alla previgente disciplina – quella introdotta dalla legge n. 270 del 2005 – sia ai sistemi maggioritari, tradizionalmente adottati in altri Stati occidentali, come la Francia e l´Inghilterra.
2.3.– Considerandola una autonoma questione di legittimità costituzionale, l´Avvocatura generale dello Stato si sofferma, quindi, sulla lamentata previsione, da parte del rimettente, di una soglia di sbarramento al 3 per cento per l´accesso al riparto dei seggi, pur in presenza di un premio di maggioranza.
Essa eccepisce, anzitutto, l´inammissibilità di tale censura per carenza di motivazione, e in quanto essa sarebbe stata prospettata in modo contraddittorio, generico e perplesso.
Nel merito ritiene che la questione sarebbe, comunque, infondata, in quanto sussiste ampia discrezionalità legislativa nella scelta del sistema elettorale e, in particolare, nel coniugare in modo equilibrato il rapporto tra attività dei partiti e scelte degli elettori nella competizione elettorale, tutelando, nel contempo, il diritto degli elettori e l´esigenza di funzionalità degli organi.
L´Avvocatura generale dello Stato sottolinea come la soglia di accesso pari al 3 per cento dei voti sia una delle più basse nel panorama europeo e nella storia delle leggi elettorali italiane.
Quanto all´asserita incostituzionalità della compresenza di soglie di accesso e del premio, essa osserva che non solo essa non fu censurata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, ma che tale coesistenza «ben può essere compatibile con il principio di uguaglianza in uscita del voto degli elettori, perché l´uguaglianza non attiene all´effetto del sistema elettorale, bensì esclusivamente al valore di ciascun voto in entrata, che deve essere in grado di assicurare la funzionalità degli organi ai quali l´elezione provvede».
L´Avvocatura generale dello Stato rileva, infine, come la presenza della soglia di sbarramento non si ponga in contrasto con l´art. 3 del Protocollo addizionale alla CEDU, richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell´uomo ritenuta pertinente.
2.4.– L´Avvocatura generale dello Stato eccepisce l´inammissibilità anche della questione di legittimità costituzionale con cui il Tribunale ordinario di Messina lamenta l´illegittimità costituzionale delle disposizioni che, nella fase della assegnazione, consentirebbero una traslazione dei seggi da una circoscrizione ad un´altra. L´Avvocatura generale dello Stato ritiene, infatti, che la censura sarebbe apodittica e scarsamente motivata, in quanto il giudice a quo, anziché spiegare il meccanismo di attribuzione dei seggi, si limiterebbe a denunciarne la complessità e rinvierebbe per relationem agli atti delle parti.
In secondo luogo, l´Avvocatura statale rileva una inesatta indicazione delle disposizioni sottoposte al giudizio della Corte costituzionale: la censura avverso l´art. 83, commi 1, 2, 3, 4 e 5, del d.P.R. n. 361 del 1957 sarebbe troppo ampia, in quanto la disposizione che consente il trasferimento dei seggi da una circoscrizione ad un´altra sarebbe solo l´art. 83, comma 1, numero 8), del d.P.R. n. 361 del 1957; la censura avverso l´art. 84, commi 2 e 4, del medesimo d.P.R. sarebbe, invece, errata, poiché la norma che prevede il trasferimento dei seggi da un collegio ad un altro è contenuta nel comma 3 dello stesso art. 84.
Le questioni sarebbero in ogni caso infondate, poiché il quarto comma dell´art. 56 Cost. – secondo l´Avvocatura generale dello Stato – sarebbe disposizione precettiva nei confronti del legislatore nazionale, affinché quest´ultimo tenga in dovuta considerazione, nel momento della distribuzione dei 618 seggi, la composizione numerica della popolazione in ogni circoscrizione, mentre non riguarderebbe il meccanismo di assegnazione dei seggi alle singole liste, che viene effettuato nel momento successivo alle elezioni.
Le disposizioni censurate, peraltro, regolerebbero fattispecie del tutto ipotetiche, «al fine di evitare che, per un concorso di fattori avversi, non si riesca ad assegnare tutti i seggi previsti dalla Costituzione». Prescrizioni analoghe sarebbero state contenute nella previgente disciplina, senza mai essere state oggetto di pronuncia da parte della Corte costituzionale. Peraltro, le disposizioni introdotte dalla legge n. 52 del 2015 avrebbero «un grado maggiore di razionalità nell´allocazione dei seggi sia alle liste deficitarie sia a quelle eccedentarie» rispetto a quelle previgenti: mentre, infatti, precedentemente, i seggi erano assegnati alla lista deficitaria dove l´eccedentaria avesse ottenuto il seggio con la minore parte decimale, a prescindere dall´esito della lista deficitaria in quel collegio, le disposizioni ora censurate prevedono che la lista deficitaria ottenga il seggio nel collegio della circoscrizione in cui ottiene la maggiore parte decimale e la lista eccedentaria lo perda nel collegio della medesima circoscrizione in cui ha ottenuto la minore parte decimale. Questo sistema renderebbe meno irrazionale lo slittamento di seggi – che comunque resterebbe minimo – e il fenomeno sarebbe, comunque, «contenuto a livello regionale».
Da quanto esposto emergerebbe – secondo l´Avvocatura generale dello Stato – che le disposizioni censurate non solo non contrastano con il principio di rappresentatività territoriale insito nell´art. 56 Cost., ma «si pongono come "norma tecnica di chiusura" per evitare che venga leso il principio costituzionale concernente la completa formazione della rappresentanza popolare».
Osserva, quindi, l´Avvocatura generale dello Stato che le disposizioni censurate riguardano il momento dell´assegnazione dei seggi, mentre l´art. 56 Cost. si riferirebbe al momento antecedente della distribuzione degli stessi tra le circoscrizioni, la quale spetta, ai sensi dell´art. 3 del citato d.P.R., ad un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell´interno, da emanare contestualmente al decreto di convocazione dei comizi elettorali.
Rileva, infine, la difesa erariale che il rapporto tra l´esigenza che gli effetti di un sistema elettorale assicurino, nello stesso tempo e nella migliore misura possibile, la proporzionalità politica e quella territoriale sarebbe problema di valenza generale, e non riguarderebbe solo la legge sottoposta allo scrutinio della Corte costituzionale. È ricordata, sul punto, la sentenza della Corte costituzionale n. 271 del 2010, nella quale fu menzionato, quale possibile meccanismo per la riduzione del trasferimento dei seggi nel sistema per l´elezione dei membri italiani al Parlamento europeo, quello allora disciplinato dall´art. 83, comma 1, numero 8), del d.P.R. n. 361 del 1957, che sarebbe stato ora migliorato proprio dalla legge n. 52 del 2015.
2.5.– L´Avvocatura generale dello Stato eccepisce che anche la terza questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Messina sarebbe inammissibile, perché posta in modo contraddittorio. Il rimettente, infatti, dapprima sosterrebbe che la presenza di soli capilista bloccati e liste elettorali corte risponderebbe alle richieste della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, per poi affermare che le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto con l´art. 48 della Costituzione per quanto riguarda l´elezione dei candidati dell´opposizione.
Ritiene, quindi, la difesa erariale che il rimettente avrebbe assunto apoditticamente che saranno eletti tutti e soli i capilista dei partiti di minoranza.
Tale ultima affermazione, peraltro, oltre che apodittica, sarebbe erronea, in quanto il giudice a quo ometterebbe di considerare la complessità del fenomeno elettorale, e postulerebbe che in nessun collegio i partiti di minoranza riescano ad eleggere più di un deputato: ciò potrebbe, però, riguardare solo i partiti che hanno un debole consenso in tutto il territorio elettorale, non certo quelli fortemente radicati a livello territoriale.
Ritiene, quindi, l´Avvocatura generale dello Stato che, per ciò che concerne i seggi per le forze di opposizione, è altamente probabile che le liste minori, avendo prevedibilmente meno candidati in grado di catalizzare il consenso, presentino numerose pluricandidature a capolista in più collegi plurinominali della medesima circoscrizione e che tale circostanza, in virtù delle successive, doverose opzioni, non potrà che favorire il subentro dei numerosi candidati che hanno ottenuto le preferenze anche nell´ambito dei 278 seggi da distribuire tra le liste di minoranza.
Sarebbe, dunque, del tutto impossibile – ad avviso dell´Avvocatura generale dello Stato – «prevedere la proporzione degli eletti delle forze di minoranza tra "capolista" e "preferenziati"» e non potrebbe, quindi, correttamente argomentarsi, come viceversa paventato nell´ordinanza di rimessione, «che la minoranza verrebbe "largamente dominata da capilista bloccati"».
Peraltro, l´Avvocatura sottolinea che, mentre con la legge n. 270 del 2005, se un capolista risultava eletto in più collegi, si liberavano seggi per altrettanti capilista bloccati, con il sistema ora censurato il beneficio sarebbe chiaramente a vantaggio dei primi non eletti con le preferenze.
Osserva, infine, l´Avvocatura generale dello Stato che, con la previsione di riservare ai capilista la possibilità di potersi candidare in più collegi, il legislatore avrebbe voluto attribuire alle formazioni politiche il potere di designare i propri candidati anche al fine di garantire la realizzazione di quelle linee programmatiche che esse sottopongono alla scelta del corpo elettorale in maniera funzionale al principio di governabilità, e ciò in linea con l´art. 49 Cost., che darebbe particolare risalto alla insostituibile funzione dei partiti quali intermediari rispetto al potere sovrano esercitato dal popolo. Anche la Corte europea dei diritti dell´uomo, nella sentenza 13 marzo 2012, Saccomanno e altri c. Italia, non avrebbe rilevato contrasti tra il sistema elettorale introdotto dalla legge n. 270 del 2005 e il diritto convenzionale e, in particolare, avrebbe osservato che i sistemi elettorali selettivi e le liste bloccate vanno valutati «nel complesso» e che la scelta dell´elettore deve essere bilanciata con il ruolo che i partiti politici sono chiamati a svolgere negli ordinamenti democratici.
2.6.– In ordine alla quarta questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Messina, l´Avvocatura generale dello Stato eccepisce, anzitutto, che il rimettente non spiega per quale ragione diverse soglie di sbarramento per il sistema elettorale della Camera e del Senato condurrebbero alla formazione di maggioranze diverse, e osserva che, «a tutto concedere, non tanto la diversità di soglie di sbarramento quanto, eventualmente, una diversità di soglie percentuali per l´attribuzione del premio di maggioranza potrebbe condurre a maggioranze diverse nelle due Camere».
Osserva l´Avvocatura generale dello Stato che sarebbe, peraltro, la stessa Costituzione a prevedere diversità sostanziali tra i due sistemi elettorali, e che, nel caso in cui si formino due maggioranze differenti, ciò «corrisponderebbe ad una logica contro-maggioritaria idonea proprio a temperare gli effetti che la legge elettorale della Camera spiegherebbe sull´intero sistema politico-costituzionale».
Secondo l´Avvocatura generale dello Stato, tali osservazioni non sarebbero contraddette da quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014, in quanto il passo citato dal giudice a quo non si riferirebbe alla diversità dei sistemi elettorali di Camera e Senato, bensì all´irragionevolezza delle disposizioni, allora censurate, relative ai premi di maggioranza regionali. D´altro canto, sarebbe lo stesso rimettente, nel successivo paragrafo dell´ordinanza di rimessione, ad affermare che non è di per sé irragionevole che i due sistemi elettorali siano differenti e che la scelta rientra nella discrezionalità del legislatore.
Rileva, infine, l´Avvocatura generale dello Stato che il giudice a quo non indicherebbe chiaramente la norma parametro che assume violata.
2.7.– Con riferimento all´ultima censura sollevata dal Tribunale ordinario di Messina, l´Avvocatura generale dello Stato eccepisce, anzitutto, che essa sarebbe ipotetica, e, dunque, inammissibile, in quanto il giudice a quo avanzerebbe il dubbio relativo alla possibilità che, tra il 1° luglio 2016 e l´entrata in vigore della riforma costituzionale in itinere, in caso di elezioni che si celebrassero medio tempore, coesistano due diversi sistemi elettorali per la Camera e il Senato.
Nel merito, la censura sarebbe comunque infondata. Si osserva che ben può il legislatore, nell´ambito della propria discrezionalità, decidere che le disposizioni approvate non siano immediatamente applicabili, e che tale scelta – che certamente dimostra come il legislatore auspichi l´approvazione definitiva della riforma costituzionale – è proprio finalizzata ad evitare che, fino al 1° luglio 2016, si applichino due diversi sistemi elettorali. Se, comunque, la riforma costituzionale non fosse approvata, ciò non comporterebbe, come precedentemente osservato, una violazione degli evocati parametri costituzionali. Secondo l´Avvocatura generale dello Stato, d´altro canto, non sarebbe stato ragionevole e coerente, da parte del legislatore, modificare il sistema elettorale del Senato prima della definitiva approvazione della riforma costituzionale, né potrebbe reputarsi incostituzionale, attraverso un generico rinvio al principio di ragionevolezza, il fatto che l´applicazione della legge n. 52 del 2015 non sia subordinata «ad libitum» all´entrata in vigore della legge di revisione costituzionale, che potrebbe anche non superare positivamente il referendum previsto dall´art. 138 Cost.
3.– Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti, con atto depositato il 26 aprile 2016, alcuni dei ricorrenti nel giudizio principale, i quali hanno chiesto l´accoglimento di tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Messina.
4.– Con atto depositato il 26 aprile 2016 hanno spiegato intervento ad adiuvandum F.C.B., G.B., G.C.F. e D.A., assumendo di essere ricorrenti in giudizi analoghi a quello pendente di fronte al Tribunale ordinario di Messina. Con atto depositato il 6 settembre 2016 G.B. ha rinunciato all´intervento. Con atto depositato il 12 settembre 2016 hanno rinunciato all´intervento anche F.C.B., G.C.F. e D.A.
5.– In data 13 settembre 2016 – in prossimità dell´udienza pubblica del 4 ottobre 2016, poi rinviata – l´Avvocatura generale dello Stato ha depositato ulteriore memoria in cui ribadisce le conclusioni già rassegnate con l´atto di intervento.
6.– Le parti del giudizio a quo costituitesi nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, hanno depositato, in data 13 settembre 2016 e 2 gennaio 2017, ampie memorie, in cui adducono argomenti a sostegno dell´ammissibilità e della fondatezza delle questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Messina.
Esse osservano, anzitutto, che il rimettente avrebbe ampiamente motivato sulla sussistenza dell´interesse ad agire dei ricorrenti e che tale motivazione sarebbe corretta, in quanto le azioni di accertamento sarebbero per loro natura orientate a scongiurare il pregiudizio che si verificherebbe per i ricorrenti se la legge elettorale comprimesse i loro diritti, e in quanto sarebbe lo stato di incertezza obiettiva a configurare un pregiudizio concreto ed attuale; che, inoltre, l´interesse ad agire sussisteva già al momento della proposizione della domanda, dal momento che il Governo aveva già dato attuazione alla delega contenuta alla legge n. 52 del 2015, approvando il decreto legislativo 7 agosto 2015, n. 122 (Determinazione dei collegi della Camera dei deputati, in attuazione dell´articolo 4 della legge 6 maggio 2015, n. 52, recante disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati).
Adducono, quindi, diffuse argomentazioni a sostegno dell´accoglimento, nel merito, di tutte le censure sollevate dal Tribunale ordinario di Messina.
Esse chiedono, infine, alla Corte costituzionale di sollevare di fronte a se stessa questioni di legittimità costituzionale dell´intera legge n. 52 del 2015, «con particolare riferimento ai suoi articoli fondamentali (1, 2 e 4)», poiché sarebbe stata approvata, prima al Senato e poi alla Camera, «in palese violazione dell´art. 72, commi 1 e 4, Cost. e dell´art. 3 del protocollo CEDU (per come richiamato dall´art. 117, comma 1, Cost.)». Le parti ricordano che identica censura era stata proposta nel giudizio principale, ma che il giudice a quo l´aveva ritenuta manifestamente infondata. Ora – illustrando le ragioni per le quali, a loro avviso, il rimettente sarebbe incorso in «una classica ipotesi di svista processuale» – sollecitano la Corte costituzionale, con ampiezza di argomenti, a sollevare di fronte a se stessa le medesime questioni attinenti a presunti vizi di formazione della legge.
7.– In data 3 gennaio 2017 hanno depositato atto di intervento, fuori termine, il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell´ambiente e la tutela dei diritti di utenti e dei consumatori), in persona del suo legale rappresentante G.U., e quest´ultimo, «in proprio nella qualità di elettore avente diritto ad esprimersi nelle consultazioni elettorali». A sostegno della propria legittimazione, essi assumono di essere titolari, in qualità di singoli ed associati, di un interesse qualificato immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ossia l´accertamento del diritto di votare in conformità alla Costituzione. In particolare, sono ricordati i compiti e le finalità che lo statuto affida al Codacons.
Gli intervenienti hanno depositato ulteriore memoria, fuori termine, il 13 gennaio 2017.
8.– Con ordinanza del 5 luglio 2016 (reg. ord. n. 163 del 2016), il Tribunale ordinario di Torino, prima sezione civile, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell´art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del 2015 e dell´art. 83, comma 5, del d.P.R. n. 361 del 1957, come novellato dall´art. 2, comma 25, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost.; e dell´art. 85 del d.P.R. n. 361 del 1957, come modificato dall´art. 2, comma 27, della legge n. 52 del 2015, per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3 e 48 Cost.
8.1.– Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere un giudizio promosso con ricorso ai sensi degli artt. 702-bis e seguenti cod. proc. civ. da alcuni cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali, i quali hanno convenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell´interno, chiedendo che sia accertato «il diritto di "votare conformemente alla Costituzione" lamentando la lesione di tale diritto ad opera di specifiche norme della legge elettorale n. 52 del 6 maggio 2015 (il c.d. Italicum) che hanno sostituito o modificato il DPR n. 361 del 30 marzo 1957 e le residue norme della legge elettorale n. 270/2005 che aveva modificato il Testo Unico per l´elezione del Senato della Repubblica, approvato con Decreto Legislativo n. 533 del 20 dicembre 1993».
8.2.– In via preliminare, il rimettente motiva in ordine alla sussistenza dell´interesse ad agire dei ricorrenti, nonostante l´applicabilità della legge n. 52 del 2015, entrata in vigore il 23 maggio 2015, sia stata differita al 1° luglio 2016, ossia ad un momento successivo alla proposizione del ricorso. Poiché gli attori lamentano l´incertezza della portata del diritto di voto, come regolato da un complesso di norme già in vigore e la cui applicabilità, benché differita, è certa, il rimettente ritiene che sussista e sia attuale l´interesse dei ricorrenti ad ottenere una pronuncia di accertamento «prima ancora che la legge sia applicata, ossia prima ancora che vengano convocati i comizi elettorali», e ciò anche perché, una volta emesso il decreto di convocazione dei comizi elettorali, non vi sarebbe più spazio di tutela effettiva per l´elettore, non potendo costui ottenere pronunce giurisdizionali che incidano sulle elezioni. Ritiene il rimettente che deponga a favore di tale ricostruzione anche la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 16 aprile 2014, n. 8878 – emessa dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 – dalla quale emergerebbe come il ripristino della pienezza del diritto di voto non possa che valere pro futuro, non potendo, invece, incidere sugli esiti delle elezioni già svolte.
8.3.– Il rimettente argomenta, quindi, in ordine alla sussistenza del requisito della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate rispetto alla controversia instaurata dai ricorrenti, ritenendo che il dispositivo della sentenza della Corte costituzionale e quello della sentenza che deve definire il giudizio di merito siano tra loro autonomi, poiché spetta a quest´ultima accertare l´avvenuta lesione del diritto azionato e, in caso di accoglimento delle questioni sollevate, ripristinarlo nella sua pienezza, seppure con il tramite della sentenza costituzionale (sono richiamate l´ordinanza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 17 maggio 2013, n. 12060 e la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 1957).
8.4.– Nel merito, il Tribunale ordinario di Torino, dopo aver ampiamente illustrato le ragioni per le quali ritiene di non condividere larga parte delle doglianze prospettate dalle parti, solleva due questioni di legittimità costituzionale.
La prima ha ad oggetto l´art. 1, comma 1, lettera f), della legge n. 52 del 2015 e l´art. 83, comma 5, del d.P.R. n. 361 del 1957, come sostituito dall´art. 2, comma 25, della legge n. 52 del 2015, ossia le disposizioni che prevedono che, in caso di mancato conseguimento del premio di maggioranza al primo turno di votazione, tale premio sia attribuito in seguito ad un turno di ballottaggio a cui accedono le due liste più votate. Il rimettente dubita che tale previsione sia conforme agli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost.
Il giudice a quo ricorda, anzitutto, che il legislatore, nel determinare i modi con i quali attribuire il premio di maggioranza, deve operare in modo tale da contemperare ragionevolmente due contrapposti interessi di pari rilievo costituzionale, il principio di rappresentatività e il principio di governabilità, e richiama, sul punto, quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014. Ricorda, quindi, che il modo in cui la legge n. 52 del 2015 ha delineato il turno di ballottaggio ha indotto la dottrina a chiedersi se esso possa dirsi rispettoso del principio costituzionale «del necessario rispetto di un limite ontologico di rappresentanza del voto in presenza del quale possa essere attribuito, a una sola lista, il premio di maggioranza, senza incorrere in censure di irragionevolezza e di eccessiva distorsione del voto». Dopo aver ricordato gli argomenti di chi ritiene che il turno di ballottaggio non possa essere sospettato di violare il ricordato principio costituzionale di rappresentanza del voto e gli argomenti di chi, invece, dubita della legittimità costituzionale di tale meccanismo, il rimettente afferma di condividere questa seconda lettura, secondo la quale quella che scaturisce dal turno di ballottaggio sarebbe «una maggioranza solo virtuale perché priva, se non adeguatamente corretta, di una effettiva valenza rappresentativa del corpo elettorale».
Il legislatore, infatti, limitandosi a prevedere che accedano al turno di ballottaggio le due liste più votate, purché abbiano ottenuto almeno il 3 per cento dei voti (ovvero il 20 per cento nel caso siano espressione di minoranze linguistiche), avrebbe, da un lato, riconosciuto che esiste un problema di rappresentatività delle liste ammesse al ballottaggio, dall´altro, però, avrebbe utilizzato le soglie previste, in generale, dalla legge elettorale per scoraggiare una eccessiva «polverizzazione» del voto.
Inoltre – osserva il rimettente – nel valutare l´effettiva forza rappresentativa del 50 per cento più uno dei voti espressi al ballottaggio, si dovrebbe anche considerare che è previsto che tale maggioranza sia calcolata sui voti validi espressi, circostanza che non darebbe «alcun rilievo al peso dell´astensione, che potrebbe essere anche molto rilevante quale prevedibile conseguenza della radicale riduzione dell´offerta elettorale nel ballottaggio».
Il rimettente, infine, ricordando che il legislatore ha esplicitamente vietato – per il turno di ballottaggio – apparentamenti o coalizioni tra liste, ritiene che tale scelta