Gordon Willard Allport (Montezuma, 11 novembre1897 – 9 ottobre1967) è stato uno psicologostatunitense.
È stato uno dei più noti psicologi della psicologia sociale, appartenente al movimento della cosiddetta "psicologia dei tratti".
Riteneva che ogni individuo fosse una combinazione unica di "tratti di personalità", e per questo fosse impossibile individuare due personalità identiche.
Ipotizzò una prima divisione in tratti comuni e tratti personali: i primi sono quelli che possono essere identificativi per un gruppo di persone o categoria (ad es., i pugili definiti come "aggressivi"); i secondi sono propri di ogni singolo individuo, e non possono essere definiti in una sola parola.
Allport distinse, inoltre, i tratti personali in tre tipologie differenti:
Tratti cardinali: hanno l'influenza maggiore sulla personalità e sul comportamento, e sono i più forti e pervasivi;
Tratti centrali: sono quelli che colgono l'essenza di un individuo (in un numero di circa 7-8), ed influenzano buona parte del nostro comportamento;
Tratti secondari: sono estremamente specifici, e si manifestano solo in circostanze particolari.
Fondamentali i suoi successivi studi sul pregiudizio. Infatti, da esponente dell'approccio cognitivista, studiò la rappresentazione del reale basandosi su due differenti processi cognitivi: la categorizzazione e la generalizzazione. Tramite il primo, l'essere umano seleziona ed organizza le differenti realtà che lo circondano; con il secondo, invece, l'uomo tende ad attribuire ad eventi di tipo generale dei significati derivanti dalle poche osservazioni effettuate sugli eventi disponibili.
Questi due processi evidenziano la limitatezza funzionale della mente umana, e producono valutazioni di tipo errato ("bias") che possono portare, talvolta, all'etichettamento (labelling) degli individui.
1. Pensar male senza ragione
Forse la più sintetica definizione del pregiudizio è questa: "Il pensare male degli altri senza una ragione sufficiente". Questa breve definizione contiene i due elementi essenziali di tutte le altre: il riferirsi ad un giudizio infondato e il colorito affettivo.
È tuttavia una definizione troppo breve per essere del tutto esauriente.
In primo luogo, essa si riferisce soltanto al pregiudizio negativo. Si possono avere dei pregiudizi verso qualcuno in favore di altri; si può pensare bene di loro senza fondate ragioni.
La definizione proposta dal New English Dictionary tiene conto sia del pregiudizio positivo sia di quello negativo: "Un sentimento, benevolo o malevolo, verso una persona o cosa, antecedente all'esperienza oggettiva o senza tener conto di questa".
Ma se è importante tenere presente che il pregiudizio può essere tanto favorevole che sfavorevole, nondimeno è vero che il pregiudizio etnico è per lo più di carattere negativo […].
La frase "pensare male degli altri" è, ovviamente, un'espressione ellittica da intendersi come implicante sentimenti di disprezzo o disgusto, di paura o avversione, come pure le varie forme di generica antipatia che spinge a parlare male della gente, a fare delle discriminazioni o a comportarsi aggressivamente.
In modo analogo, dobbiamo chiarire l'espressione "senza una ragione sufficiente".
Un giudizio è immotivato, quando non poggia su elementi di fatto.
Un umorista definì il pregiudizio come l'atto di "distruggere qualcosa che ancora non
si è costruito".
Non è facile stabilire in che misura sia necessario un dato di fatto per giustificare un
giudizio.
Una persona che si nutra di pregiudizi asserirà, per lo meno, di avere ragioni sufficienti per avallare il suo punto di vista. Essa ci parlerà delle sue esperienze negative a contatto con i profughi, cattolici od orientali. Ma, nella maggior parte dei casi, è evidente che tali fatti sono insufficienti e di poco rilievo. Essa è vittima di un "processo autonomo selettivo" dei suoi ricordi, mescolati con dicerie venutegli all'orecchio
in seguito e generalizzate.
Non è possibile che uno conosca tutti i profughi, cattolici od orientali. Pertanto, ogni giudizio negativo formulato su questi gruppi nella loro globalità, strettamente parlando, è un esempio di pensiero calunnioso privo di ragione sufficiente.
❱❱ 2. Generalizzazioni
La generalizzazione è forse la caratteristica più comune della mente umana. Da una minima serie di fatti, noi tendiamo a compiere generalizzazioni su vasta scala. Un ragazzo sviluppò l'idea che tutti i norvegesi fossero dei giganti perché rimase impressionato dalla gigantesca statura di Ymir, l'eroe della saga omonima, e per molti anni l'idea di incontrare un norvegese gli incuteva paura. Ad un tale capitò di conoscere tre inglesi personalmente, e continuò a dichiarare che tutta la razza inglese possedeva
gli attributi che aveva osservato in quei tre. Esiste una base naturale per spiegare
questa tendenza.
La vita è troppo breve e le esigenze pratiche a cui dobbiamo far fronte sono tali da non permetterci il lusso di riconoscere sempre pubblicamente la nostra ignoranza.
Noi siamo costretti a decidere per classi quali siano gli oggetti buoni e quali i cattivi. Non possiamo valutare singolarmente ogni oggetto che esiste al mondo. Dobbiamo accontentarci di classificazioni grezze, già pronte per l'uso. Non ogni generalizzazione costituisce un pregiudizio. Alcune sono semplicemente
dei concetti errati, laddove noi organizziamo informazioni sbagliate.
❱❱ 3. La resistenza del pregiudizio
Se una persona è in grado di rivedere i suoi giudizi errati alla luce di nuove prove, egli è immune dai pregiudizi. "Un pensiero diventa pregiudizio solo quando resta irreversibile anche alla luce di
nuove conoscenze". Un pregiudizio, a differenza di un semplice concetto erroneo,
resiste attivamente a qualsiasi prova della realtà.
Noi tendiamo a liberare forti cariche affettive allorché sentiamo che un nostro pregiudizio è minacciato dal pericolo di contraddizione. Pertanto, la differenza che separa un comune giudizio errato dal pregiudizio consiste nella possibilità offerta dal primo di discutere e rettificare la nostra opinione senza resistenze emotive.
❱❱ 5. I l pregiudizio etnico
Il pregiudizio razziale si manifesta nel rapporto con i singoli membri dei gruppi respinti. Ma nell'evitare un negro nostro vicino di casa o nel rispondere alla richiesta di "Mr. Greenberg", noi modelliamo la nostra azione accordandola ad una generalizzazione categoriale che investe tutto il gruppo.
Noi non badiamo quasi per nulla alle differenze individuali e trascuriamo il fatto importante che il negro X, nostro vicino, non è il negro Y, che eviteremmo per ragioni valide e sufficienti; e che Mr. Greenberg, che può essere un gentiluomo, è diverso da Mr. Bloom, di cui abbiamo ben ragione di dolerci. Questo processo è tanto comune che noi potremmo definire il pregiudizio nel modo seguente: atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso una persona appartenente ad un gruppo, semplicemente in quanto appartenente a quel gruppo, e che pertanto si presume in possesso di qualità biasimevoli generalmente attribuite al gruppo medesimo […].
Il pregiudizio etnico è un'antipatia basata su una generalizzazione irreversibile e in malafede. Può essere solo intimamente avvertita o anche dichiarata. Essa può essere diretta a tutto il gruppo come tale, oppure ad un individuo in quanto membro di tale gruppo. Il vero effetto del pregiudizio, così definito, è quello di porre il suo oggetto in una condizione di svantaggio, immeritato sulla base del comportamento obiettivo.
Gordon Willard Allport, La natura del pregiudizio,
trad. M. Chiaranza, La Nuova Italia, Firenze 1973