Con la pronuncia n. 14676 dello scorso 29 maggio, la sezione lavoro della Corte di Cassazione – chiamata a chiarire se, nel caso di nascita o ingresso in famiglia di una coppia di gemelli, l'importo dovuto quale indennità di maternità (e/o paternità) al genitore avvocato debba essere moltiplicato per il numero di figli – ha specificato che l'importo dovuto a titolo di indennità di paternità relativa all'adozione di due figli minori va determinato in misura pari all'80 per cento di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo dal libero professionista nel secondo anno precedente a quello dell'ingresso in famiglia dei due minori, senza alcuna moltiplicazione dell'importo.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio da una impugnazione proposta da un avvocato nei confronti della Cassa Forense, avverso il provvedimento con il quale la medesima Cassa aveva rigettato la domanda proposta dal legale tesa ad ottenere la condanna dell'Ente al pagamento in proprio favore dell'indennità di maternità (in sostituzione della madre), a seguito dell'adozione di due bambini.
La Corte d'Appello di Firenze, confermata la valenza direttamente precettiva della sentenza della Corte costituzionale n. 385/2005 ( laddove si riteneva discriminatorio il mancato riconoscimento del diritto del padre adottivo a fruire dell'indennità in luogo della madre, rispetto alla analoga situazione del lavoratore dipendente) disponeva il pieno diritto del padre a percepire, in alternativa alla madre, l'indennità di maternità in caso di adozione.
In virtù di tanto, liquidava in favore dell'Avvocato la somma di Euro 37.538,66, espressamente stabilendo che l'importo dovuto era pari ai 5/12 dell'80% del reddito percepito nel secondo anno precedente, per ciascuno dei due figli adottivi.
Avverso tale sentenza la Cassa Forense ricorreva in Cassazione, deducendo violazione o falsa applicazione degli articoli 70 e 72 del d.lgs. 151/2001: premesso che il decreto in questione non prevede moltiplicazioni dell'indennità di maternità, si rilevava come erroneamente era stato stabilito che l'importo dovuto era pari, per ciascuno dei due figli adottivi, ai 5/12 dell'80% del reddito percepito nel secondo anno precedente.
La Cassazione condivide le doglianze della Cassa.
In punto di diritto, la Corte rileva che nel testo unico sulla maternità le tutele, anche economiche, sono riferite esclusivamente all'evento parto o adozione in sè considerati, a prescindere da quanti siano i figli nati; l'ipotesi del parto plurimo è oggetto di specifica previsione solo in relazione ai periodi di congedo e di riposo, che sono raddoppiati.
Ne deriva che il legislatore – in ragione del grande impatto, anche organizzativo, che riveste la fase di ingresso del figlio in famiglia – ha voluto privilegiare il momento della sospensione del rapporto di lavoro, ritenendo rilevante il numero dei figli nati dall'unico parto o adottati nello stesso momento solo in relazione alle tutele parentali; diversamente, con riguardo al congedo obbligatorio, la tutela apprestata in termini economici non si presta ad essere moltiplicata in relazione al numero dei figli.
Difatti, gli Ermellini rilevano come, anche a voler ritenere che la finalità dell'indennità è quella di compensare l'eventuale flessione del reddito professionale derivante dalla nascita del figlio, ad ogni modo non potrebbe giustificarsi un importo moltiplicato per il numero dei figli nati o adottati, in quanto non può certo immaginarsi che se non vi fosse stato il parto o l'adozione il medesimo professionista avrebbe realizzato redditi moltiplicati a seconda del numero dei figli.
Sulla stessa linea si muove anche la giurisprudenza europea, che ha escluso la possibilità di attribuire immediato rilievo giuridico alla maggiore gravosità degli oneri in caso di parto gemellare, dal momento che non può ritenersi giuridicamente esistente un diritto autonomo del figlio a percepire l'indennità di maternità.
In conclusione la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.