Di Rosalia Ruggieri su Martedì, 01 Dicembre 2020
Categoria: Donne

Palpeggiamento alla passante che ostruisce il passaggio, SC: “E’ violenza sessuale”

Con la sentenza n. 31737 dello scorso 12 novembre, la III sezione della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di violenza sessuale inflitto ad un uomo che aveva palpeggiato le natiche di una passante, rigettando le difese dell'aggressore secondo cui quel gesto non era sorretto dalla consapevolezza e dall'intenzionalità di compiere un atto lesivo della libertà personale della persona offesa, ma dall'intento di far spostare la ragazza che gli ostruiva il passaggio.

Si è difatti specificato che per attribuire rilevanza a quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, il giudice deve effettuare una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del reato di cui all'art.609 bis ultimo comma, c.p., perché, mentre passava vicino ad un gruppetto di ragazzini, palpeggiava in modo repentino il gluteo di una minore, che indossava pantaloncini corti, contro la volontà della medesima. 

Un passante, immediatamente accortosi dell'intenzionalità del palpamento, rimproverava l'uomo, contestandogli il fatto, seguendolo e telefonando alle forze di polizia che poi intervenivano identificandolo; l'imputato, dopo aver invano tentato di dileguarsi, accorgendosi che il passante continuava a seguirlo e che stava contattando telefonicamente la polizia, gli proponeva del denaro per farlo desistere, dicendo "di lasciarlo stare", che "c'era anche sua moglie" che "non l'avrebbe fatto più".

In primo grado il giudice assolveva l'imputato dal reato ascrittogli, ravvisando l'assenza della finalità di concupiscenza sessuale.

In riforma della sentenza assolutoria resa in primo grado, la Corte di Appello di Trento, sez. dist. di Bolzano, condannava l'imputato alla pena sospesa di dieci mesi di reclusione, ritenendo che la condotta contestata integrasse, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, il reato ascritto.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo deduceva violazione di legge per erronea applicazione della legge penale con riferimento alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: secondo il ricorrente, infatti, gli atti compiuti non avevano connotazioni sessuali dirette a soddisfare la sua concupiscenza, ma erano unicamente volti a far spostare la ragazza che gli ostruiva il passaggio, così come evincibile dal contesto in cui il contatto era avvenuto e dalla dinamica intersoggettiva della vicenda.

La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente, ritenendole manifestamente infondate. 

La Corte premette che, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, per attribuire rilevanza a quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, il giudice deve effettuare una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante.

In particolare, per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica; è di contro sufficiente che il compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa sia tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell'impossibilità di difendersi e che l'aggressore, pur non raggiungendo il piacere sessuale, nondimeno sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere volontariamente (ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito) e che tale atto sia invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte di merito ha ben ritenuto che il gesto compiuto dall'imputato si estrinsecasse in un intenzionale palpeggiamento, compiuto in modo repentino, sul sedere della ragazzina che indossava pantaloncini corti: la sentenza in commento rileva come la parte del corpo attinta dal palpamento è certamente erogena, e, comunque, non sessualmente indifferente, tale da evidenziare una chiara intrusione nella sfera sessuale di una ragazzina sconosciuta.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. 

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