Di Rosalia Ruggieri su Mercoledì, 19 Giugno 2019
Categoria: Legge e Diritto

Palpeggiamenti alla natiche della commessa, SC: “E’ violenza sessuale”

Con la sentenza n. 26274 dello scorso 14 giugno 2019, la III sezione della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di violenza sessuale inflitto ad un uomo che aveva insistentemente palpeggiato le natiche di una commessa, rigettando le difese dell'aggressore secondo cui quel gesto non era sorretto dalla consapevolezza e dall'intenzionalità di compiere un atto lesivo della libertà personale della persona offesa.

Si è difatti specificato che è sufficiente la coscienza e volontà di compiere atti di invasione nella sfera sessuale altrui senza l'ulteriore necessità di quelle finalità particolari (quali, ad esempio, il soddisfacimento dell'istinto sessuale), che, di fatto, nella generalità dei casi ne costituiscono il movente, ma non rientrano nella fattispecie tipica; l'imputato deve essere consapevole della natura "sessuale" dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria. Anche il palpeggiamento delle natiche rappresenta un atto sessuale se, ponendosi dalla visuale della persona offesa, implica un'intrusione violenta nella sfera sessuale della vittima.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del reato di cui all'art.609 bis comma 3 c.p., per avere costretto la commessa di un pubblico esercizio, dopo averla bloccata contro la cassa, a subire, con violenza, atti sessuali, consistiti in palpeggiamenti insistenti delle natiche.

Il Tribunale di Castrovillari condannava l'imputato a un anno e due mesi di reclusione, applicata la diminuente di cui all'art. 89 c.p.; in particolare, secondo il giudicante, la condotta di reato era da ritenersi integrata, stante l'evidente natura sessuale dell'atto compiuto ed escludendo, in ragione della descrizione fatta dalla vittima, che questo potesse essere frutto di un gesto reattivo a fronte di diverbio genericamente adombrato. 

 La Corte di Appello di Catanzaro confermava la pena inflitta.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo deduceva violazione di legge per erronea applicazione della legge penale con riferimento alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: secondo il ricorrente, infatti, gli atti compiuti non avevano connotazioni sessuali dirette a soddisfare la sua concupiscenza, essendo gli stessi ascrivibili ad una condotta reattiva in seguito ad un diverbio con la persona offesa.

La Cassazione non condivide le difese mosse dal ricorrente, ritenendole manifestamente infondate.

La Corte premette che il bene giuridico protetto dall'art. 609-bis c.p., è la libertà personale dell'individuo, che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l'inganno.

Tale libertà, quale espressione della personalità dell'individuo e dell'inviolabilità assoluta dei diritti dell'uomo, trova la sua più alta forma di tutela nella stessa Costituzione e implica la libertà assoluta e incondizionata dell'individuo di disporre del proprio corpo a fini sessuali, senza soggiacere a limiti o attenuazioni.

Ne deriva, quindi, che – nel caso di violenza sessuale – la libertà sessuale della vittima non può essere limitata o attenuata qualora si scorga nell'aggressore un fine ulteriore e diverso dalla semplice consapevolezza di compiere un atto sessuale, fine estraneo alla fattispecie e non richiesto dall'art. 609-bis c.p. per qualificare la penale rilevanza della condotta.

Difatti, in tema di delitti contro la libertà personale, è sufficiente la coscienza e volontà di compiere atti di invasione nella sfera sessuale altrui senza l'ulteriore necessità di quelle finalità particolari (quali, ad esempio, il soddisfacimento dell'istinto sessuale), che, di fatto, nella generalità dei casi ne costituiscono il movente, ma non rientrano nella fattispecie tipica: l'imputato deve essere consapevole della natura "sessuale" dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria.

Con la nozione di atti sessuali, si ricomprendono tutti quegli atti che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità del soggetto passivo, con invasione della sfera sessuale dello stesso, mediante un, sia pur superficiale, rapporto "corpore - corpori", non necessariamente limitato agli organi genitali "stricto sensu", ma che può riguardare anche quelle altre parti anatomiche, cd. "erogene", che, normalmente e notoriamente, sono oggetto di concupiscenza sessuale.

Anche il palpeggiamento delle natiche rappresenta un atto sessuale se, ponendosi dalla visuale della persona offesa, implica un'intrusione violenta nella sfera sessuale della vittima.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte di merito ha valutato la condotta posta in essere dall'imputato nel suo complesso e l'ha ritenuta eloquente circa l'intenzione di violare la sfera sessuale con atti di palpeggiamento alle natiche della persona offesa, dopo averla strattonata: siffatta motivazione, logica e coerente, non presta il fianco a censure motivazionali ed è corretta sul piano del diritto; pertanto, ogni contraria ricostruzione del fatto diretta a sostenere la non intenzionalità dell'imputato dell'atto compiuto quale reazione alla condotta della persona offesa non è consentita in quanto implicherebbe un riesame nel merito non consentito in sede di legittimità.

In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. 

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