Con la sentenza n. 13682 dello scorso 11 aprile, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di violenza sessuale inflitta ad un docente per aver palpeggiato più volte il sedere di una allieva, escludendo che il comportamento dell'uomo fosse finalizzato all'instaurazione di un rapporto amicale e paritario con gli allievi.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un docente, accusato del reato di violenza sessuale ai danni di una sua allieva, per averle toccato più volte i glutei durante le lezioni scolastiche.
Per tali fatti, sia il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ragusache la Corte di appello di Catania affermavano la penale responsabilità dell'insegnante in ordine al delitto di violenza sessuale, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'imputato chiedeva l'annullamento della decisione impugnata, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta configurabilità del delitto di violenza sessuale: si eccepiva, infatti, come la Corte di appello di Catania non avesse correttamente qualificato le condotte tenute dall'insegnante, posto che i toccamenti contestati, ancorché avessero attinto la giovane parte lesa in una zona erogena (i glutei), non avevano compromesso in alcun modo la sua libertà sessuale e non erano animati dal fine di concupiscenza, ma costituivano, piuttosto, espressione di un modus agendi informale, finalizzato all'instaurazione di un rapporto amicale e paritario con gli allievi.
La Cassazione non condivide tale deduzione difensiva.
Sul punto, gli Ermellini evidenziano che, in tema di violenza sessuale, la condotta sanzionata comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest'ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale.
In relazione all'elemento soggettivo del reato, la Corte ricorda che, ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito.
Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza in commento rileva come correttamente la Corte distrettuale abbia evidenziato, con argomentato esaustivo, lineare, congruo e coerente, che gli atti in concreto compiuti dall'imputato, estrinsecandosi in plurimi toccamenti dei glutei dell'allieva, avevano avuto, in ragione delle parti del corpo della vittima attinte, un'indubbia connotazione sessuale.
Gli Ermellini evidenziano, altresì, come, l'intrinseca natura degli atti, la rapidità con cui furono compiuti, la loro reiterazione, il contesto scolastico in cui si collocarono e la percezione della loro portata invasiva avuta dalla vittima sono tutti elementi che portano ad escludere, sul piano logico, che gli stessi fossero espressione di un modus agendi informale, finalizzato all'instaurazione di un rapporto amicale e paritario con gli allievi.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite.