La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, la n. 50007, depositata lo scorso 11 dicembre, torna a fare il punto sull'elemento soggettivo necessario per la punibilità del reato di omesso versamento IVA e sull'assenza di esigibilità della condotta.
Il ricorrente era stato condannato perché, in qualità di legale rappresentante di una società, aveva omesso di versare l'IVA dovuta in base alla dichiarazione.
La difesa sosteneva che la crisi in cui era incappata l'azienda non poteva non incidere sul dolo del reato.
Secondo la ricostruzione difensiva, nel caso di crisi di liquidità, il dolo potrebbe essere escluso quando l'imputato dimostri che le difficoltà economiche non siano a lui imputabili e che le stesse non possano essere fronteggiate, nemmeno con misure sfavorevoli al proprio patrimonio personale.
Tale onere, sempre secondo la difesa, era stato pienamente assolto in quanto era stato dimostrato che l'imputato nonostante la crisi, aveva continuato a pagare i fornitori e gli stipendi dei lavoratori, cercando di non interrompere la continuità aziendale e l'apicale del gruppo di società cui quella dell'imputato faceva riferimento aveva persino ipotecato un proprio bene personale per contenere gli oneri finanziari e ridare operatività alle società controllate.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata la tesi difensiva sulla base della seguente argomentazione.
Il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter, è di natura omissiva e istantanea; è punibile a titolo di dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di non versare all'Erario le somme dovute a titolo di IVA del periodo considerato. La prova del dolo sarebbe dunque insita nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto.
Di rimando, l'esimente della forza maggiore ex art. 45 c.p. sussiste solo nei casi nei quali l'agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che, per cause indipendenti dalla sua volontà, non vi era la possibilità di impedire l'evento o la condotta antigiuridica.
Ebbene, la giurisprudenza ha ritenuto che la forza maggiore sussiste solo e in quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi già in condizioni di illegittimità.
Di conseguenza, ha escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell'ordinario rischio di impresa e che non può certamente comportare l'inadempimento dell'obbligazione fiscale contratta con l'erario.
A maggior ragione ciò vale in tema di IVA poiché, come ricorda la Corte, il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili.
Ciò significa che quando il soggetto esegue tali operazioni riscuote già l'IVA dovuta e deve accantonarla per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria.