Con la pronuncia n. 36504 dello scorso 18 dicembre, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di cui all'art. 570 c.p. inflitta ad un marito che si era sottratto all'obbligo di mantenimento dell'ex moglie, ritenendo irrilevanti le difficoltà economiche sollevate dall'imputato, che ancorava il proprio inadempimento alla percezione di una pensione sociale minima.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, incolpato del reato di cui all'art. 570 c.p. per aver fatto mancare all'ex moglie i mezzi di sussistenza, omettendo di corrisponderle l'assegno mensile di Euro 750 stabilito in sede di separazione, così serbando una condotta contraria alla morale familiare.
Per tali fatti, sia il Tribunale di Rovigo che la Corte di Appello di Venezia condannavano l'uomo alla pena di mesi tre di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
Secondo i giudici, infatti, la condotta di omesso versamento dell'assegno mensile fissato con provvedimento presidenziale in sede civile costituiva violazione dell'obbligo di assistenza, rilevante agli effetti dell'art. 570 c.p., comma 1
A tal riguardo i giudici consideravano del tutto irrilevante la circostanza per cui l'uomo percepiva solo una pensione sociale di invalidità, non avendo l'imputato dimostrato l'assoluta incapacità di adempiere ai propri obblighi di mantenimento del coniuge. D'altro canto, lo stato di indigenza veniva escluso sulla base di considerazioni fondate sulle discordanze tra i redditi dichiarati in sede di separazione e quelli minori dichiarati al fisco, tali da far ritenere ragionevole la disponibilità di risorse maggiori di quelle denunciate, oltre alla ravvisata mancanza di coincidenza temporale tra il momento dell'interruzione dei versamenti e quello dell'inizio delle asserite difficoltà economiche.
Alla luce di tanto, i giudici concludevano ritenendo che il totale inadempimento agli obblighi di mantenimento era frutto di una precisa scelta volontaria ed arbitraria di interrompere da un certo momento in avanti l'erogazione di ogni forma di sussidio.
Ricorrendo in Cassazione, l'uomo chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata perché inficiata da plurimi vizi di violazione di legge e motivazionali, denunciando, in particolare, vizio di motivazione in merito alla dedotta incapacità economica dell'imputato di far fronte ai versamenti dell'assegno mensile di mantenimento.
A tal fine deduceva che ben era emerso, nel corso del giudizio, la sua assoluta impossibilità di far fronte all'obbligo di mantenimento, come evincibile peraltro dalla concessione di una pensione sociale d'invalidità, che presuppone l'assenza di altri redditi, e dalla sopravvenuta revoca dell'assegno di mantenimento disposta in sede civile a riscontro del suo stato di indigenza.
La Cassazione non condivide le tesi difensive del ricorrente.
La Corte premette come il ricorso sia manifestamente infondato, in quanto propone deduzioni che implicano una rivalutazione nel merito della sentenza da parte della Corte di Cassazione. Tale valutazione non è consentita in sede di legittimità, non potendo il giudice di legittimità né sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio, né procedere ad una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la motivazione della sentenza impugnata risulta essere esaustiva e completa: la Corte di merito ha ritenuto irrilevanti le difficoltà economiche rappresentate dalla difesa, non essendo stato provata l'assoluta incapacità di adempiere ai propri obblighi di mantenimento ed essendo emersa, di contro, la precisa scelta volontaria ed arbitraria di interrompere da un certo momento in avanti l'erogazione di ogni forma di sussidio.
Alla luce di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende.