L'avvocato Caroleo Francese e sua moglie Olimpia, anch'ella avvocato, si erano conosciuti, amati e sposati quaranta anni prima dell'inizio di questa storia, quando ancora la pretura era a via del Governo Vecchio, e gli altri uffici giudiziari erano concentrati nel Palazzaccio, dall'altra parte del Tevere. Si incrociavano, belli, giovani e pieni di speranze mentre l'uno e l'altra correvano sotto i platani del Lungotevere e i loro visi compunti e seri si distendevano in un sorriso che aveva la velocità di un lampo. Al terzo passaggio sul ponte che avviava i giovani avvocati al trionfo delle scalinate di travertino del Palazzaccio, l'avvocato Caroleo spudoratamente fermò la giovane Olimpia e le chiese di sposarla: la risposta fu immediata e sincera, un sì che divenne il principio di un amore infinito.
Il tempo passò, lento ed inesorabile come l'acqua del Tevere che aveva sentito i passi affrettati di Olimpia e Caroleo e la loro improvvisa e fulminea dichiarazione d'amore. Ci furono figli, che crebbero e volarono via, ci furono momenti brutti e momenti belli, e momenti poi di una felicità struggente, come se la possibilità di essere eterni che li aveva resi gagliardi durante i primi venti anni d'amore fosse diventata piano piano una granitica sicurezza.
Caroleo aveva avuto guai seri con la salute, ma la presenza forte e dolce della moglie Olimpia aveva dato incredibile forza e capacità ai medici, che per amore dell'amore di Olimpia e Caroleo avevano fatto miracoli e restituito più volte alla vita l'avvocato, il quale si era peraltro convinto che avrebbe avuto la fortuna di andarsene prima della sua adorata.
Fu per questo che un giorno, quando Olimpia disse improvvisamente al marito, senza alcun motivo apparente, "Quando muoio voglio che sulla mia lapide ci sia scritto Avvocato", Caroleo senza quasi nemmeno ascoltare fece un sorrisino e tirò avanti. Invece Olimpia tornò a casa, si mise a letto per una improvvisa stanchezza, e si lasciò andare tra le braccia di una malattia che la portò via in due mesi.Quando morì la casa era piena di parenti, la campana della chiesa suonava L'Ave Maria e Caroleo, disteso sul letto di morte della compagna, aspettava che rendesse l'anima al Signore cercando nei suoi occhi, che ormai guardavano oltre, quel fuoco di amore che lo aveva riscaldato per quaranta anni. All'ultimo tocco di campana tutto finì, e iniziò la storia che vogliamo raccontarvi.
All'ultimo tocco di campana l'anima di Olimpia fluì nella stanza piena di dolore e di lacrime. Salì leggera e si fermò a guardare in basso: d'un tratto vide il suo Caroleo, ma non più giovane e pieno di fuoco come l'aveva sempre visto. Vide un vecchio signore incanutito, quasi spezzato in due vicino a quello che una volta era stato il suo corpo. Mentre percepiva questa scena, aleggiando nell'aria, ebbe una improvvisa consapevolezza di tutto, e fu pronta a trasfigurare e a volare in cielo dal Padreterno. Ma la consapevolezza di tutto voleva dire anche la consapevolezza che il suo Caroleo di lì a un anno sarebbe morto come lei: decise dunque di restargli accanto, perché un giorno o un anno per lei non faceva più differenza, e il Padreterno avrebbe capito. Divenne così un puntino luminoso, e si andò a posare sulla fronte di Caroleo, proprio dove le due sopracciglia quasi si congiungevano: baciò il suo sposo e si accinse ad attendere il trascorrere dell'anno.
All'ultimo tocco di campana Caroleo si era sentito strappare in due, ed aveva annaspato sotto il peso di un dolore come non aveva mai provato prima. La crudeltà di quella separazione non era lontanamente paragonabile a nulla dei tanti dolori che aveva provato durante i suoi settanta anni di vita.Era come se avesse corso insieme ad Olimpia a perdifiato verso una luce lontana per anni che erano stati attimi, ed all'improvviso la sua Olimpia fosse sparita improvvisamente nel nulla, lasciandolo solo e disperato sull'orlo di un precipizio. Poi improvvisamente il dolore sparì e Caroleo si sentì pervadere da una strana forza, quella stessa che aveva sentito scorrere in lui ogni volta che, disteso su di un letto d'ospedale, sua moglie gli aveva preso la mano e gliela aveva tenuta stretta. Si rialzò, consolò parenti e amici, baciò Olimpia per l'ultima volta e si accinse a vivere quello che restava della sua vita senza di lei.
L'Avvocato Caroleo Francese era un distinto signore di settanta anni, alto circa un metro e settanta, magro e dalle mani delicate e minute. Il volto aveva conservato della gagliardia dei vent'anni la forza dello sguardo, mentre il resto dei lineamenti si era dolcemente adattato all'età che avanzava. L'avvocato aveva il vezzo di tagliare i capelli, sempre folti ma ormai grigi, una volta al mese; ne risultava una capigliatura ispida e forte, che egli esponeva a tutti i tempi perché non aveva mai portato un cappello in vita sua. Lo studio dell'avvocato Caroleo Francese era anche la sua abitazione. Si trattava di un grande appartamento pieno di luce, e riempito all'inverosimile di libri, la grande passione dell'avvocato. Da quando la moglie Olimpia era morta, l'avvocato si era dedicato al lavoro con impegno e passione, per cercare di lenire il dolore che tutti i giorni lo veniva a trovare. Per quarant'anni in quell'appartamento aveva condiviso le gioie del matrimonio e della vita professionale con la moglie, anch'essa avvocato. Nei primi tempi dopo la morte, Caroleo aveva dedicato le sue forze ad una ricerca minuziosa e precisa delle fotografie della sua vita. Aveva cercato le tracce della sua esistenza nei grandi scatoloni ricolmi di foto in bianco e nero che Olimpia teneva negli armadi della camera da letto. Poi aveva convocato i parenti più stretti e aveva chiesto le loro foto di famiglia, cercando con cura quelle dove la sua adorata compariva. Ed infine, con il candore che la sua storia d'amore spezzata gli dava, aveva chiesto anche agli amici lontani ed ai semplici conoscenti di trovare le foto - ad esempio quelle dei matrimoni - dove fosse stata fermata l'immagine di sua moglie.Aveva poi commissionato ad un fotografo un lavoro complicato e paziente, che consisteva nell'isolare ed ingrandire le immagini che riproducevano il volto di Olimpia. Ne era venuta fuori così una galleria di ventidue ritratti, che egli aveva disposto con cura lungo un preciso percorso all'interno della sua casa, di modo da avere sempre sott'occhio la moglie.
Un pomeriggio di aprile l'avvocato si sedette al suo tavolo e aprì l'agenda per controllare le incombenze della giornata successiva. Subito gli saltò agli occhi un appunto scritto con la grafia della moglie: "controllare riserva giudice Corsi - sfratto Sauli."Era del tutto normale: gli avvocati segnano con largo anticipo sulle loro agende quello che devono fare in un dato giorno. Può capitare di programmare attività per giorni che non arriveranno mai, e così era stato anche per Olimpia. Si trattava di una vecchia vicenda che si trascinava ormai da dodici anni: su un terreno una volta ai confini della città ed ormai inglobato dalla metropoli che avanzava, un suo vecchio compagno d'armi aveva impiantato un Luna Park in sedicesimo. Il terreno era in affitto, concesso in locazione da uno dei tanti Enti inutili di cui era costellata la Repubblica Italiana. Improvvisamente l'Ente aveva deciso di riprendersi il terreno e aveva intimato sfratto. Sauli, il padrone del Luna Park, si era ricordato del commilitone avvocato e lo aveva chiamato per sottoporgli il caso.
Caroleo non aveva dato grande importanza alla vicenda, inizialmente. Aveva preparato con scrupolo le difese, aveva sollevato eccezioni, contestato, impugnato e fatto tutto quello che in questi casi si è soliti fare.
Con suo stupore, al primo affondo la difesa avversaria aveva ceduto, trincerandosi dietro un silenzio inesplicabile. Sicchè le sue difese avevano trovato terreno fertile, e il giudice aveva rinviato la causa negando ogni provvedimento. Poi era cambiato l'avvocato di controparte, e le richieste di rilascio si erano fatte di nuovo insistenti. Ancora una volta, aveva costruito un ingegnoso castello di difesa, e ancora una volta, di fronte alle pagine e pagine di scrupolose eccezioni e contestazioni era calato improvviso il silenzio. Poi un nuovo attacco, un nuovo cambio di avvocato, altre richieste più pressanti accompagnate da toni a volte suadenti a volte minacciosi.
Era Olimpia che si divertiva a fantasticare sulla vicenda: era di natura sospettosa, e a volte costruiva a Caroleo ipotesi che sembravano fantascientifiche"Vedrai che quel terreno fa gola a qualcuno che già sa che tra vent'anni ci deve arrivare la città. E allora cercano di riprenderselo, e tu gli stai rompendo le uova nel paniere."
"Controllare riserve giudice Corsi - sfratto Sauli" Caroleo lesse quell'appunto un paio di volte, poi focalizzò che si trattava della questione che tanto interessava e divertiva Olimpia. Si alzò e andò a prendere il fascicolo nell'archivio. Prese l'incarto voluminoso e lo posò di fronte a se sulla sua scrivania, badando a non far cadere la ventunesima fotografia di Olimpia, che lo guardava con aria spavalda dalla sua cornice d'argento. "Ecco, Olimpia" disse Caroleo " vediamo a che punto eravamo arrivati."
Il fascicolo era composto da una cartellina rossa, che portava sull'angolo destro inferiore la scritta FRANCESE - fascicolo di studio nr. 4532. La cartellina era gonfia di carte e documenti. Caroleo la aprì.
La prima cosa che colpì subito l'attenzione di Caroleo fu un foglio, con un appunto autografo della moglie Olimpia "Caroleo ricordati che mi hai detto che se il giudice Corsi concedeva il provvedimento di rilascio dovevamo fare immediatamente opposizione alla esecuzione per quella faccenda che Sauli ci disse."
Tutti i fascicoli dello studio Francese contenevano appunti scritti a mano da Olimpia. Olimpia aveva infatti preso l'abitudine di ascoltare tutte le divagazioni che il marito faceva su ognuno delle pratiche e di appuntarle in foglietti di tutti i generi che andava infilando nei fascicoli. Ne risultava così un lavoro efficacissimo, perché alla minuziosa cura con cui Caroleo annotava la sua agenda di studio con
una grafia piccola ed ordinata e riempiva fogli e fogli di scritti difensivi che poi dettava alla moglie, la quale nell'epoca dei computer ancora scriveva con una macchina manuale, si aggiungeva il tocco di follia creativa della moglie che spiava ogni più piccola riflessione e spunto del marito (che lei considerava un genio) per inserirla nei fascicoli appropriati.
Caroleo aprì il cassetto della scrivania alla sua destra, e ne estrasse una rubrica di medie dimensioni. Inforcò gli occhialini da presbite e con le sopracciglia inarcate cominciò a cercare il numero di telefono di Sauli, facendo scorrere il dito lungo i nomi incolonnati con la sua precisa grafia. Trovato il numero, continuò ad indicarlo con l'indice teso, mentre con l'altra mano alzava la cornetta e componeva i numeri sul disco del telefono.
Il Luna Park di Sauli era stato eretto in una piccola valletta contornata da alberi. Vent'anni fa era a un chilometro dalle case popolari che si erigevano come fantasmi sbucando dal nulla. Arrivavano i ragazzi a frotte nei pomeriggi di tutte le stagioni, e spendevano le loro brave monetine facendo felice Sauli, il quale si aggirava gongolando fra l'autoscontro e la Ruota con vagoncini, fra i vari tirassegni e tutti gli altri giochi e attrazioni che servivano ai ragazzi a dimostrare ad amici e ragazze quanto fossero bravi e forti e precisi e così via. Con lui lavoravano vari nipoti, che nel corso di quei vent'anni avevano messo su famiglia, portando ancora altri giovani al lavoro tra i baracconi.
Sebbene il costante flusso di denaro che la sua attività gli garantiva gli avrebbe permesso di vivere in un appartamento, Sauli non aveva mai rinunciato al baraccone impiantato proprio tra l'autoscontro e i Calcinculo: era un vero e proprio rimorchio di autocarro, che Sauli all'interno aveva trasformato in qualcosa a metà tra un ufficio e la tenda di uno sceicco.
Sauli stava controllando i conti con il ragazzo che stava alla cassa dell'autoscontro. Era mattina, e aveva appena finito di piovere una pioggerellina leggera: le nuvole si erano poi improvvisamente diradate e il sole veniva fuori nel cielo azzurro. Camilla, la grassa inserviente polacca che accudiva Sauli (vedovo da sei anni) uscì dal Container - casa - ufficio e gridò all'indirizzo dell'autoscontro, facendosi schermo con la mano per ripararsi della luce improvvisa: "Signore Sauli presto c'è avvocato Francese telefono", e poi borbottò qualcosa in polacco mentre si allontanava ciabattando con una scopa in mano.
In piedi di fronte la scrivania di Caroleo, Olimpia guardava suo marito attendere una risposta al telefono. Presa da un'improvvisa tenerezza, allungò una mano per carezzare il volto di Caroleo, ma essendo puro spirito non poté altro che attraversarlo con la mano. Caroleo sobbalzò, come se si fosse distratto e fosse stato richiamato all'ordine, inarcò ancora una volta le sopracciglia e disse rivolto alla cornetta: "Pronto, Sauli, sei tu?".
"Pronto, Sauli, sei tu?" - disse l'avvocato Francese, ed alla risposta affermativa proseguì: "Ti voglio vedere al più presto. Vieni domattina da me a mezzogiorno, qui a studio. Ciao."E mise giù la cornetta.
"Va bene, Caroleo, domattina a mezzogiorno….ciao, ciao…"Sauli abbassò la cornetta. Avevano fatto la guerra insieme, in Albania, come bersaglieri. Erano allora entrambi giovanissimi, di poco sopra i vent'anni, solo che Caroleo era un ufficiale, un sottotenentino, e Sauli un bersagliere semplice. Si volevano bene, ma Caroleo parlava con lui senza mai mettere in discussione la sua superiorità: era scontato che lui fosse rimasto l'ufficiale e Sauli il bersagliere. Sauli si era affidato a Caroleo con fiducia piena, e Caroleo ricambiava questa fiducia con una particolare attenzione alle questioni di Sauli, anche se poi non erano così importanti.Caroleo si apprestò dunque a ricevere il suo commilitone. Riordinò le carte, mise il fascicolo da un lato della scrivania per averlo pronto al momento dell'incontro, si andò a guardare alcune leggi e disposizioni consultando i codici allineati alle sue spalle, segnò qualcosa su un pezzo di carta, poi si alzò e si preparò ad uscire per una breve passeggiata prima di cena.
L'ufficio dell'avvocato Sacripante era un ufficio pieno di riflessi metallici, signorine svolazzanti e giovani procuratorini scivolosi e sorridenti. I riflessi metallici erano quelli di sedie, tavoli ed altre parti di un arredamento aggressivo che era stato voluto così dall'arredatore. Le signorine svolazzanti erano le tre segretarie dell'avvocato Sacripante, delle quali una era addetta al centralino ed allo smistamento dei clienti, nonché alla dattilografia; un'altra curava l'archivio e la corrispondenza, ed una infine era la segretaria particolare dell'avvocato. I giovani procuratorini, infine, erano giovanotti che cercavano di imparare dall'avvocato i trucchi del mestiere allo scopo di poter essere un giorno ricchi e cattivi come lui.Per meglio imparare si esercitavano nella sottile arte della convivenza in uno studio numeroso, del carpire lavori agli altri colleghi rifilandogli contemporaneamente le magagne più grosse e le responsabilità degli errori che si commettevano lì come in qualsiasi altro studio. Lo studio dunque era un trionfo di sorrisi, buoni profumi ed eleganti piroette con i fascicoli in mano. Ma gli autori di questo balletto erano prontissimi ad accoltellare i loro colleghi alla prima occasione utile: e per questo nessuno girava mai le spalle. Il risultato era una tensione evidente, palpabile come una fine polverina che andava coprendo tutto e che veniva spazzata via solo dalle violentissime sfuriate che l'avvocato Sacripante faceva di tanto in tanto ai suoi collaboratori. Allora per qualche giorno si vedevano occhi bassi, espressioni compunte, le grafie sulle agende di studio si facevano più ordinate, i rapporti tra segretarie e procuratori meno scollacciati e più professionali. Poi piano piano tutto tornava alla normalità, che in quello studio consisteva nell'arte di fottere gli altri facendo più male possibile. L'avvocato Sacripante era conscio di tutto questo, ed anzi riteneva che quello fosse l'unico modo di gestire un ufficio. Forse era per questo che quando entrava in ufficio camminava con passi lunghi e veloci roteando in giro uno sguardo di fuoco. Quella mattina Sacripante entrò come suo solito dardeggiando le impiagate, raccogliendo la posta dalla scrivania della segretaria e tenendo le labbra serrate. Era particolarmente arrabbiato ed agitato: proprio quella mattina l'onorevole Tirabucchi l'aveva chiamato ad ore antelucane e si era lamentato a lungo perché una certa faccenda non andava in porto. Tutto facile, tutto semplice, ed erano anni che si aspettava una pronuncia del giudice.
"Tutto facile, tutto semplice" urlò Sacripante battendo un pugno sulla scrivania, mentre in piedi di fronte a lui due giovani di studio tenevano gli occhi bassi, tenendo il primo tra le mani una fotocopia e l'altro un codice civile nel quale aveva infilato un dito per tenere il segno "Tutto facile, tanto la responsabilità non è certo vostra…..ma se non ci sono io a fare la guardia, qui lo studio va a rotoli….."Fece una pausa, guardando i due giovani di studio con aria indignata. I due dottori tacevano, anche perché non avevano ancora capito di quale pratica l'avvocato stesse parlando. Approfittando della pausa teatrale dell'avvocato Sacripante, il dottor Campardini, un ragazzo lungo ed alto, azzardò. "Avvocato, se mi dice la pratica qual' è la faccio prendere dalla segretaria….""Campardini, quale pratica vuole che sia? Quanti anni è che è qui? Quale è la maledetta, fottutissima pratica della quale non riusciamo a venire a capo?" E qui l'avvocato Sacripante divenne rosso di rabbia "Possibile che debba seguire tutto io personalmente? Sono anni che naviga in questo maledetto studio e ancora non conosce la questione del terreno dove c'è quel Luna Park del cacchio…." L'avvocato Sacripante battè ancora una volta il pugno sul tavolo: "Ma io lo chiudo questo studio, vi mando tutti a spasso, e poi voglio vedere…..Ma non mi stia a guardare, si muova, faccia prendere questa pratica, o lo devo fare io?". L'avvocato si girò di scatto verso il telefono e chiamò l'interno della segreteria: "Signorina, mi porti il fascicolo Fondazione Bernardi contro Sauli."
La musica fluiva dal grammofono, dolce e piena: ogni volta che ascoltava musica classica, Caroleo aveva l'impressione, o meglio la certezza che il tempo si fermasse. Quante volte aveva messo quel disco di Chopin, mentre Olimpia era nell'altra stanza. Quante volte aveva vibrato con tutta la casa fino all'ultima nota, in quella magica e folle illusione che il mondo fosse tutto lì. Quante volte aveva bevuto l'ultimo sorso di the caldo proprio mentre svaniva l'incanto dell'ultima nota, e posando la tazza accanto al libro, aveva goduto di quell'infinito, eterno momento di silenzio che arrivava alla fine del disco. Ora ripeteva gli stessi gesti: ma all'ultimo momento, all'ultimo vibrato richiamo della musica rabbrividiva. Olimpia non era più nella stanza accanto, e tutto era gelo e silenzio. Allora Caroleo guardava nel vuoto, e cercava di materializzare una immagine della adorata compagna. Era assorto in questo esercizio, quando lo squillo del telefono lo scosse di colpo.
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"Pronto" disse Caroleo con un lieve sospiro. "Avvocato Francese?" Disse una sgradevole voce femminile, affettata e compunta "Si, sono io", disse Caroleo, e pensò: - adesso mi passa un avvocato, giovane, arrogante e antipatico. "Un attimino che le passo l'Avvocato Sacripanti" affermò la sgradevole voce femminile. "Collega carissimo, sono l'Avvocato Sacripanti" tuonò improvvisa una altra voce, maschile, giovane ed arrogante; Caroleo sobbalzò, perché mentre attendeva si era incantato a guardare la foto di Olimpia che aveva sistemato sulla scrivania, poi rispose: "Buona sera, avvocato Sacripanti, mi dica" e subito pensò: - adesso mi dirà di darci del tu. "Ma diamoci del tu, collega!" rimbombò la voce antipatica.
Sacripanti si era fatto portare la pratica dalla signorina, e aveva cominciato a sfogliarla con furore. "E' possibile che se non seguo io le cose non si viene a capo di nulla in questo ufficio?" andava ripetendo, mentre girava le carte, le ammonticchiava da un lato per poi disperderle nel mare di altre carte del fascicolo. Il fascicolo era tutto in disordine. Succedeva sempre così: Sacripanti era un mediocre, e come tutti i mediocri, eccelleva nell'arte di apparire quello che non era. Ma nel segreto del suo archivio i fascicoli nascondevano carte ammucchiate l'una sull'altra. Passato il primo momento di sacro ardore, che peraltro coincideva con la richiesta dell'anticipo, l'entusiasmo si smorzava, la causa diventava una seccatura, ed il cliente un rompipalle. Per questo motivo l'avvocato Sacripanti si era poi specializzato in cause ordinarie, quasi dozzinali, di recupero crediti e di infortunistica stradale. Ma quella pratica non poteva abbandonarla: era una questione che stava molto a cuore all'onorevole Fievolo Gromi de' Giribaldi, che reputava Sacripanti un grande avvocato e lo accreditava per tale presso banche ed assicurazioni. L'onorevole Fievolo Gromi de' Giribaldi era un noto rappresentante della destra più nera e papalina, che aveva in animo di realizzare una certa speculazione edilizia, di quelle che a Roma, normalmente si facevano in quattro e quattrotto….. Ma questa volta di mezzo ci si era messo un maledetto giostraio, che attaccandosi al contratto stipulato con la marchesa Fievolo (morta a centouno anni) non se ne voleva andare e non voleva lasciare il terreno libero.
L'onorevole Fievolo Gromi de' Giribaldi aveva dapprima provato a blandire il giostraio Sauli, con promesse di denaro e di altri spazi in altri terreni. Ma aveva cozzato contro la caparbia testardaggine del giostraio Sauli, il quale andava ripetendo che lui voleva solo che lo lasciassero lavorare, vivere e possibilmente morire sul terreno dove giravano le sue giostre. Fievolo Gromi de' Giribaldi non capiva: non poteva capire perché un modesto ometto si incaponisse a rifiutare le sue vantaggiose proposte. Ma quello che l'aveva mandato veramente fuori dei gangheri era stata la comparsa, a fianco del giostraio, di un vecchio, elegante avvocato che aveva cominciato a tirare stoccate sempre più insidiose.
"Questo avvocato, caro Sacripanti" sibilava Fievolo Gromi "ha proprio bisogno di contestare tutto e tutti, impugnare, respingere e fare tutto il casino che fa? Ha provato a fargli capire che se arriviamo ad una transazione le parcelle per lui - di qualsiasi ragionevole misura esse siano….vogliamo dire trenta milioni, quaranta milioni…. - ecco, dicevo, le parcelle le paghiamo noi……Ha provato a fargli capire questo?"
I quindici anni circa che separavano Caroleo da Sacripanti rappresentavano un solco incolmabile in fatto di stile, di orgoglio, di capacità e di cultura.
Caroleo aveva studiato in collegio, a vent'anni era andato in guerra, a ventitre era stato fatto prigioniero, fino a venticinque era stato in campi di concentramento, poi era tornato, si era laureato, ed aveva cominciato subito a lavorare; Sacripanti era un prodotto americano, la vita gli si era spalancata comoda e facile: e per questo non era in grado di capire il valore di un silenzio o di un rifiuto.
"Allora, collega" sibilò Sacripanti nella cornetta "Non c'è modo di accordarci?" E dopo un brevissimo silenzio, aggiunse: "Il mio assistito è pronto a pagare i tuoi onorari…."
Olimpia era un punto luminoso, ma quando quelle parole furono pronunciate, si espanse in un velo di luce. Poi il velo si aprì e come in un ologramma Olimpia comparve alle spalle di Caroleo, chino sul telefono. Sorrideva, e sorridendo posò una mano sulla spalla di Caroleo.
Caroleo allungò il collo, con lo sguardo sornione di un gatto che comincia a fare le fusa: poi sorrise - un sorrisetto di sfida e commiserazione, ma pieno di gentilezza e cortesia, che mandava in visibilio Olimpia - e rispose: "Caro Sacripanti, le mie parcelle le pagano i miei clienti….ed io, come tu ben sai peraltro, non ho istruzioni riguardo a transazioni. Noi siamo pronti ad andare avanti, e a vedere a chi darà ragione il giudice".
Olimpia guardò il suo adorato marito: era sempre stata fiera di lui, lo amava per la spavalda sicurezza e la cortese fermezza con cui affrontava e risolveva i problemi che gli venivano sottoposti.Sorrise e lentamente si dissolse in un alone di luce. Caroleo si chiuse gli occhi con una mano, mentre l'altra rimase inerte sulla scrivania.
Non staremo a tediarvi con lunghe e complicate spiegazioni giuridiche: vi diremo solo che la causa ebbe un nuovo, imprevisto sviluppo. Era comparso all'orizzonte un nuovo avvocato, il professor Gigante Calvoresi, il quale fu affiancato a Sacripanti. Segaligno ed assai antipatico, il professor Gigante Calvoresi infiorettava le sue memorie difensive con termini astrusi, ricordava al collega Caroleo la fondamentale differenza fra fase rescissoria e fase rescidente, affermava, evidenziava, sottolineava…… e non faceva un passo avanti; Caroleo, astuto schermitore, parava, e tirava un'altra botta.
Ma Sauli, improvvisamente, perse il lume della ragione: cominciò a trascinare una gamba, poi una piccola paresi gli bloccò l'occhio sinistro, ed infine cominciò a biascicare e ad impastare le parole. Il suo ultimo atto di lucidità fu quello di conferire una procura generale al nipote Ofrodisio, prima di fermarsi su una poltrona in attesa dell'ultima chiamata.
Ofrodisio era giovane e sveglio, ed aveva da lungo tempo capito che il nocciolo della questione che ruotava intorno a quel campo era in definitiva un bel pacco di soldi: non capiva l'impuntatura dello zio, non afferrava il senso del lavoro di Caroleo, e in tutti quegli anni aveva tentato di convincere Sauli a chiudere la faccenda. Inutilmente Sauli gli faceva notare che quello che a lui sembrava un sacco di denaro si sarebbe sciolto come neve al sole, mentre il lavoro che garantiva il Luna Park aveva permesso a lui ed altre famiglie di crescere e tirare avanti. Inutilmente Sauli cercava di spiegargli cosa volesse dire per un uomo tenere il punto e non cedere alle facili lusinghe: Ofrodisio scuoteva le spalle, e si rifiutava di ascoltare. Ofrodisio osò l'inosabile, ed alla faccia delle disposizioni dello zio, intascò del denaro: il contante gli fu consegnato da uno dei tanti praticanti dello studio Sacripante, tale dottore Alfredo Malandrino, il quale ebbe cura di fare firmare un ampio atto di rinuncia e transazione, predisposto con estrema cura dal professor Gigante Calvoresi. Né Sacripanti né Gigante Calvoresi (il quale in realtà aveva sognato di veder capitolare Caroleo) vollero incontrare Ofrodisio.
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Tornarono a fiorire i gelsomini sul terrazzo della casa di Caroleo, e come ogni anno la casa si riempì del loro profumo intenso e carnoso. Il tempo scorreva, e stava per compiersi l'anno che separava Olimpia da Caroleo. Caroleo era spossato, e con lo sguardo carezzava le foto di Olimpia: a volte, il mattino presto, quando la luce del giorno nascente entrava di traverso dentro la casa, ritagliando ombre e luci, si alzava lentamente dal letto e percorreva l'itinerario di fotografie che si era costruito. Guardava quelle immagini felici, cercava di cogliere il sentimento che aveva animato lui e sua moglie, e allungava una mano in una carezza che andava a vuoto…..
La luce pomeridiana del sole di giugno fluiva nella camera dalla finestra protetta dalla persiana abbassata…fluiva: un anno prima, una anno fa, ieri o un secolo fa, non lo so più - pensava Caroleo - ero sui ponti di Roma, di fronte al
Palazzaccio, e avevo fermato Olimpia… "mi vuole sposare?"…era ieri, era un lampo, era…sembrava primavera. Stanco, ecco, sono stanco. Nella penombra c'è un punto, un punto luminoso…sembra ballare… Che occhi avevi, Olimpia? Me, li ricordo, sai? E la tua voce, la tua voce pure. Lo sai cosa mi manca? Il tuo sorriso: era luce, luce pura e la luce non si può ricordare…o c'è o non c'e… Ecco, che strano, adesso c'è luce…quel puntino sulla parete è di luce…non è sulla parete…è in mezzo alla stanza…no, vicino alla finestra, e non è un puntino, è più grande, più grande…c'è la tua luce, Olimpia, c'è luce, tu sei qui… Lo sai che Sauli si è fatto fregare dal nipote? Proprio ieri, sai? Stanco, sì, proprio stanco…che vada al diavolo il nipote di Sauli…questa luce, Olimpia, è così calda, così intensa, come stare al sole…penso proprio che adesso chiuderò gli occhi e mi riposerò…al diavolo Sauli, il nipote e tutti gli avvocati… Chiuderò gli occhi e ti sognerò…