Sul punto si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con Sentenza n. 17337 del 2016, depositata in data 25 agosto.
Nel caso in questione, i Supremi Giudici hanno ritenuto del tutto sproporzionata la sanzione del licenziamento irrogata nei confronti di un dipendente per aver danneggiato l´auto di un collega parcheggiata nell´area aziendale (fatto tra l´altro perdonato dal collega stesso).
In tal senso, ha precisato il Supremo Collegio come il giudice di merito deve necessariamente valutare se vi è proporzione tra l´infrazione del lavoratore e la sanzione irrogatagli, a tal fine tenendo conto anche delle circostanze oggettive e soggettive della condotta e di tutti gli altri elementi idonei a consentire l´adeguamento della disposizione normativa dell´art. 2119 c.c. - richiamato dall´art. 1 della legge n. 604/66 - alla fattispecie concreta .
In altre parole, il giudice investito della domanda con cui si chieda l´invalidazione d´un licenziamento disciplinare, accertatane in primo luogo la sussistenza in punto di fatto, deve verificare che l´infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di recesso (ossia che costituisca notevole inadempimento degli obblighi del dipendente) e, in caso di esito positivo di tale delibazione, deve poi apprezzare in concreto (e non semplicemente in astratto) la gravità dell´accaduto. Infatti, è pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell´elemento essenziale della fiducia e che la condotta sia idonea a ledere irrimediabilmente l´affidamento circa la futura correttezza nell´eseguire la prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi che gli fanno carico (cfr., ex aliis, Cass. n. 15058/15; Cass. n. 2013/12; Cass. n. 2906/05; Cass. n. 16260/04; Cass. n. 5633/01).
A tal fine, sempre secondo costante giurisprudenza, hanno precisato i Supremi Giudici, bisogna tener conto di tutti i connotati oggettivi e soggettivi del fatto, vale a dire del danno arrecato, dell´intensità del dolo o del grado della colpa, dei precedenti disciplinari etc..
In breve, la gravità della condotta va indagata sia in astratto (rispetto alle previsioni pattizie e alla nozione legale di giusta causa o giustificato motivo) sia in concreto (in relazione alle singole circostanze oggettive e soggettive che l´hanno caratterizzata), sicché il difetto di uno dei due profili esclude la sufficienza dell´altro.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, ha allora rilevato la Sezione, il Tribunale ha bene interpretato il CCNL ritenendo che la condotta in oggetto non rientri fra quelle astrattamente suscettibili di licenziamento, aggiungendo - poi - che in concreto essa non riveste particolare gravità "considerato, peraltro, che tra l´autore del (mis)fatto ed il collega vittima del danneggiamento c´è stata una successiva riappacificazione".
In conclusione, alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso disponendone il rigetto.
Sentenza allegata.
Nel caso in questione, i Supremi Giudici hanno ritenuto del tutto sproporzionata la sanzione del licenziamento irrogata nei confronti di un dipendente per aver danneggiato l´auto di un collega parcheggiata nell´area aziendale (fatto tra l´altro perdonato dal collega stesso).
In tal senso, ha precisato il Supremo Collegio come il giudice di merito deve necessariamente valutare se vi è proporzione tra l´infrazione del lavoratore e la sanzione irrogatagli, a tal fine tenendo conto anche delle circostanze oggettive e soggettive della condotta e di tutti gli altri elementi idonei a consentire l´adeguamento della disposizione normativa dell´art. 2119 c.c. - richiamato dall´art. 1 della legge n. 604/66 - alla fattispecie concreta .
In altre parole, il giudice investito della domanda con cui si chieda l´invalidazione d´un licenziamento disciplinare, accertatane in primo luogo la sussistenza in punto di fatto, deve verificare che l´infrazione contestata sia astrattamente sussumibile sotto la specie della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di recesso (ossia che costituisca notevole inadempimento degli obblighi del dipendente) e, in caso di esito positivo di tale delibazione, deve poi apprezzare in concreto (e non semplicemente in astratto) la gravità dell´accaduto. Infatti, è pur sempre necessario che esso rivesta il carattere di grave negazione dell´elemento essenziale della fiducia e che la condotta sia idonea a ledere irrimediabilmente l´affidamento circa la futura correttezza nell´eseguire la prestazione dedotta in contratto, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi che gli fanno carico (cfr., ex aliis, Cass. n. 15058/15; Cass. n. 2013/12; Cass. n. 2906/05; Cass. n. 16260/04; Cass. n. 5633/01).
A tal fine, sempre secondo costante giurisprudenza, hanno precisato i Supremi Giudici, bisogna tener conto di tutti i connotati oggettivi e soggettivi del fatto, vale a dire del danno arrecato, dell´intensità del dolo o del grado della colpa, dei precedenti disciplinari etc..
In breve, la gravità della condotta va indagata sia in astratto (rispetto alle previsioni pattizie e alla nozione legale di giusta causa o giustificato motivo) sia in concreto (in relazione alle singole circostanze oggettive e soggettive che l´hanno caratterizzata), sicché il difetto di uno dei due profili esclude la sufficienza dell´altro.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, ha allora rilevato la Sezione, il Tribunale ha bene interpretato il CCNL ritenendo che la condotta in oggetto non rientri fra quelle astrattamente suscettibili di licenziamento, aggiungendo - poi - che in concreto essa non riveste particolare gravità "considerato, peraltro, che tra l´autore del (mis)fatto ed il collega vittima del danneggiamento c´è stata una successiva riappacificazione".
In conclusione, alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso disponendone il rigetto.
Sentenza allegata.
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