Di Redazione su Mercoledì, 15 Febbraio 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Lavoro

Mobbing sul luogo di lavoro: deve ricorrere l´elemento soggettivo dell´intento persecutorio

La Corte di Cassazione chiamata a dirimere una controversia in tema di mobbing sul luogo di lavoro, ha colto tale occasione per precisare, con la Sentenza n. 2142 del 2017 depositata in data 27 gennaio, gli elementi che devono necessariamente ricorrere al fine di realizzare la fattispecie sopra emarginata.
In tal senso i Supremi Giudici hanno precisato che devono ricorrere per la configurabilità di tale condotta una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi.
Deve inoltre ricorrere l´evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente nonché il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità.
Alla base è richiesta la ricorrenza dell´elemento soggettivo, cioè l´intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi .

Antefatto
La Corte di appello di Reggio Calabria, pronunciando sulle opposte impugnazioni, respinto l´appello proposto dal Comune di (omissis) , in accoglimento parziale dell´appello proposto da B.R., in parziale riforma della sentenza impugnata, ritenuto sussistente il mobbing subito dal dipendente pubblico, ha condannato il predetto Comune, datore di lavoro del B., al pagamento, a titolo di risarcimento del danno biologico, di un importo, così rideterminato in appello, pari ad Euro 7.690,00, oltre che, sempre a titolo di danno non patrimoniale, per la lesione dell´immagine, della professionalità e della vita di relazione, di un importo pari alle retribuzioni corrispondenti alla categoria di inquadramento del lavoratore.
La Corte d´Appello in buona sostanza precisava che erano "state provate non solo la situazione di protratta inattività in cui è stato lasciato il B. , ma anche una serie di situazioni mortificanti, quali l´essere lasciato senza scrivania e senza sedia e costretto a sostare nel corridoio in piedi, l´essere destinato al cimitero in un locale le cui condizioni consentono di definirlo non solo inidoneo, ma indecoroso per la funzione e irrispettoso della sua dignità di persona, l´essere stato allontanato fisicamente dai colleghi, oltre che, nel corso del tempo, spostato ripetutamente da un ufficio all´altro, pur di non essere mantenuto ai servizi interni del Corpo di Polizia Municipale...".
Il datore di lavoro decideva di rivolgersi dunque ai Giudici di Cassazione per vedere accolte le proprie ragioni.

Motivi della decisione
La ricostruzione della vicenda operata dal giudice di merito è stata ritenuta agevolmente sussumibile nella fattispecie astratta prima definita.
La Corte ha quindi riassunto alcuni importanti criteri riguardanti ambito e limiti del proprio sindacato.
"...risulta del tutto estranea all´ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l´autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Né, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se - confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie - prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso "sub specie" di omesso esame di un punto".
Nella specie, i dedotti vizi di motivazione "non corrispondono al modello enucleabile negli esposti termini dal n. 5 del citato art. 360 c.p.c., poiché, si sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice del rinvio; nel valutare le stesse risultanze istruttorie da quest´ultimo esaminate; nel trarne implicazioni e spunti per la ricostruzione della vicenda in senso difforme da quello esposto nella sentenza impugnata; nel desumerne apprezzamenti circa la maggiore o minore valenza probatoria di alcun elementi rispetto ad altri. Essi, dunque, incidono sull´intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee all´ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità".
Il ricorso è stato, pertanto, respinto.
Si allega Sentenza.


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