Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro con Sentenza n. 4222 del 2016.
A dire dei Supremi Giudici, infatti, nel complesso caso da essi esaminato, che traeva origine dall´affermazione di una lavoratrice Asl di essere stata oggetto di atti mobbizzanti, di un insieme di atti lesivi unificati da un unico fine persecutorio, non era possibile configurare in tutto ciò alcuna responsabilità oggettiva.
La responsabilità per mobbing, infatti, non configura un´ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va inquadrata nell´ambito applicativo dell´art. 2087 c.c., e ricollegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
Incombe al lavoratore, quindi, che lamenti di avere subito, a causa dell´attività lavorativa svolta, un danno, l´onere di provare l´esistenza di tale danno, come pure la nocività dell´ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l´uno e l´altro.
Del resto, nella ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito è tenuto a valutare se i comportamenti denunciati possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili.
Tutto ciò ritenuto, alla luce dei principi su enunciati la Corte ha concluso che le Sentenze impugnate dovessero essere cassate con rinvio.
A dire dei Supremi Giudici, infatti, nel complesso caso da essi esaminato, che traeva origine dall´affermazione di una lavoratrice Asl di essere stata oggetto di atti mobbizzanti, di un insieme di atti lesivi unificati da un unico fine persecutorio, non era possibile configurare in tutto ciò alcuna responsabilità oggettiva.
La responsabilità per mobbing, infatti, non configura un´ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va inquadrata nell´ambito applicativo dell´art. 2087 c.c., e ricollegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
Incombe al lavoratore, quindi, che lamenti di avere subito, a causa dell´attività lavorativa svolta, un danno, l´onere di provare l´esistenza di tale danno, come pure la nocività dell´ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l´uno e l´altro.
Del resto, nella ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito è tenuto a valutare se i comportamenti denunciati possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili.
Tutto ciò ritenuto, alla luce dei principi su enunciati la Corte ha concluso che le Sentenze impugnate dovessero essere cassate con rinvio.
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