La "Lettera di un Collega Avvocato, al Ministro, costretto a cancellarsi dall'Albo", sta imperversando in queste ore nel web. Si tratta di un caso strano, trattandosi di una lettera datata, scritta e pubblicata addirittura da oltre sei mesi, eppure proprio nella giornata di oggi essa è stata ripresa da numerose testate giornalistiche e singoli utenti e nuovamente pubblicata. L'abbiamo letta, ed attentamente analizzata. Si tratta di una lettera, per così dire, omnibus, contenente alcune affermazioni comprensibili, ma altre del tutto fuori dalla norma. Un avvocato, rigorosamente anonimo, annuncia al ministro la propria intenzione di cancellarsi dall'albo, in quanto, a suo dire, le spese sono insostenibili e tali da non consentire a lui e alla propria famiglia una sopravvivenza dignitosa. Ma il reddito di questo avvocato, si precisa nella lettera, e addirittura di circa €100000 l'anno, di gran lunga superiore alla media dei 248000 circa avvocati italiani. Un reddito ancora, largamente superiore a quello medio dei professionisti, come anche di molte altre categorie.
Insomma. Nutriamo seri dubbi sulla autenticità di questa lettera, anche perché siamo diffidenti per natura o forse per pregiudizio, fate voi, a quelle lettere che non siano firmate con nomi e cognomi. Pensiamo, infatti, a torto o a ragione, che non esiste, semplicemente, che un avvocato non abbia, soprattutto nel momento in cui si accinge a scelte radicali, il coraggio di sottoscriversi.
Pubblichiamo comunque ugualmente questa lettera, che riteniamo comunque strumentale. La pubblichiamo come esempio monumentale di una fake news, in modo che tutti possano riconoscere il tenore di una lettera chiaramente non scritta da un avvocato:
Gentile ministro Bonafede,
le scrivo due righe in merito alla sua proposta di trasformare l'atto di citazione in ricorso al fine di accelerare il processo.
Chi le scrive è un avvocato che si sta per cancellare dall'albo, non solo per le disfunzioni del processo civile, ma anche di quello penale.
Non andrò a contestare la riforma in sé da punto di vista tecnico. Mi limiterò solo a segnalare che voler abbreviare il processo civile in questo modo è utile più o meno come se, per fare una dieta dimagrante, al fine di perdere peso, si decidesse di iniziare dal taglio dei capelli e delle unghie.
Vado a spiegarle quali sono alcuni dei problemi che ho riscontrato nella mia carriera e che ora mi vedono costretto a chiudere lo studio.
Iniziamo dal problema principale.
La maggior parte dei clienti non paga per il semplice motivo che non ha i soldi per permettersi la parcella di un avvocato.
Eh, ma c'è il gratuito patrocinio, dirà qualcuno.
Già. Peccato che le somme liquidate per il gratuito patrocinio siano spesso irrisorie, e vengano pagate dopo un'infinità di tempo. E peccato che tali somme non coprano tutta la fase pre-giudiziale e stra-giudiziale, che spesso è lunga, laboriosa, richiede perizie tecniche, e molto altro, e tutto ciò non viene riconosciuto.
Ma questo è solo il primo dei problemi.
Veniamo agli altri.
Quando viene il cliente che non può pagare, spesso, dall'altra parte c'è una controparte ricca, magari famosa, che può pagare. E che talvolta può condizionare il processo.
Allora devi spiegare al cliente le seguenti cose:
1) che deve anticipare le spese per il processo;
2) che le probabilità che il processo non vada come si desidera sono alte (nei tribunali esiste infatti un detto "meglio una pessima transazione che un'ottima causa") e dipenderanno non solo dalla bravura del legale e dal diritto previsto dalla legge ma da una serie di variabili che sono: a) la competenza del giudice; b) il grado di vicinanza della controparte al giudice; c) la solvibilità dell'altra parte; d) il tipo di controparte (che, ad es. quando è una PA, ha una sorta di privilegio e parte con diverse marce in più rispetto al comune cittadino; e) l'eventuale comunanza di interessi tra giudice e controparte (appartenenza a lobby, associazioni culturali, organizzazioni iniziatiche, ecc.);
3) che anche se vincerà la causa, deve poi pagare le spese di registrazione della sentenza, prima di poter recuperare i soldi, con l'assurda contraddizione che se vince una causa da un milione di euro contro la PA, ad es., prima deve pagarne 30.000 di registrazione, per poi recuperare il suo credito dopo anni;
4) che se perde la causa dovrà pagare le spese dell'altra parte; anche se ha perso la causa ingiustamente; anzi, direi, soprattutto se l'ha persa ingiustamente;
5) che anche se vince la causa, nell'eventualità che la controparte faccia appello, rimarrà comunque in una sorta di limbo per ancora diversi anni.
Ovvio che, a fronte di queste variabili, la maggior parte dei comuni cittadini rinuncia a far valere i suoi diritti.
Occorrerebbe dunque, in primo luogo, una legge che stabilisca a chiare note che i giudici non possono fare i giudici nella città in cui sono nati; e che debbano cambiare città periodicamente, per evitare che mettano radici in loco frequentando e facendo amicizie con imprenditori locali, avvocati, sindaci, giornalisti, ecc.
E occorrerebbe un divieto assoluto di frequentazione tra avvocati e magistrati. Poi si sa, l'amore è cieco, e potrebbe capitare che nonostante il divieto, un giudice e un avvocato si amino e si sposino; ma in tal caso dovrebbe essere chiaro, nella legge, che in tal caso uno dei due deve trasferire la sua attività altrove.
Le lungaggini del processo, poi, dipendono da altre variabili, a cui noi siamo abituati, ma che non hanno senso in altri ordinamenti. Il processo civile italiano infatti si snoda attraverso una serie di passaggi assolutamente inutili (quali la precisazione delle conclusioni, la fase di verifica del contraddittorio, la fase istruttoria ecc. che sono poste a distanza di mesi, se non di anni).
La maggior parte dei processi potrebbe essere invece decisa in una o massimo due udienze, se fosse tutto svolto alla prima udienza, come in molte corti di alcuni paesi USA, ove un processo civile dura al massimo qualche mese, spesso poche settimane, e dove fece scalpore un processo penale che, negli anni 60, durò ben 9 mesi (mentre da noi non fa assolutamente clamore che un processo civile o penale possa durare anche 9 anni; è la normalità).
L'avvocato deve presentare tutto alla prima udienza e tutto si deve svolgere alla prima udienza; salvo necessità da valutarsi caso per caso, integrazioni di perizie o di prove, a discrezione del giudice.
Ma per finire, le voglio dire quale è il problema principale che mi costringe a chiudere lo studio. Perchè, nonostante tutte le cose che ho detto, non sono queste che mi hanno fatto decidere in modo definitivo.
La spinta decisiva è stata un semplice calcolo matematico.
L'anno scorso ho incassato circa 100.000 euro. Euro più euro meno. Suddividendo questa somma per dodici mesi sono oltre 8000 euro al mese, lo stipendio di un primario ospedaliero, o dieci stipendi mensili del dipendente di un supermercato.
A questa somma devo detrarre i soldi che ho incassato di IVA però. Ovverosia il 22 per cento. Circa 20.000 euro.
A queste somma devo detrarre l'Irpef. Circa 30.000 euro. Devo ancora detrarre la cassa avvocati. Circa 10.000 euro tra imposta fissa e proporzionale.
A conti fatti mi sono rimasti 35.000 euro. Circa 3000 euro al mese. I conti esatti li ha fatti il commercialista (che devo pagare).
Io so solo le cifre indicative.
Da cui devo detrarre ancora: le spese di studio, la luce, l'acqua, la spazzatura, il telefono, il riscaldamento.
Per produrre questo non posso fare tutto da solo. Mi servono collaboratori. Che vorrebbero essere pagati, ma lei capirà…. Non è che li posso pagare un granchè con queste somme che circolano.
E poi sa… ho anche una casa dove abito, devo mantenere l'auto. E la casa dove abito ha i suoi costi di luce, riscaldamento, acqua, spazzatura.
PS. Ah. Mi scusi… dimenticavo un piccolo, ma non del tutto irrilevante particolare.
Nella mia non lunghissima carriera, mi è sempre capitato che, a fronte di un cliente normale, un cittadino cioè con pochi mezzi e poche speranze, la controparte venisse ad offrirmi di più per NON difendere il cliente, piuttosto che per continuare nella difesa.
Ecco, non sarebbe male punire il reato di infedele patrocinio con una pena gravissima e non nel modo ridicolo di oggi; non cambierebbe molto, ma perlomeno sarebbe un deterrente in più.
Perché tanto, oggi, l'avvocato che invece di difendere il cliente si vende alla controparte, realizzando un guadagno molto superiore a quello che avrebbe realizzato se tutto fosse andato secondo la legge, non rischia praticamente nulla.
A me è capitato, spesso, di avere la tentazione di dire alla controparte "ma si, mi dia pure X, e cercherò di addomesticare il cliente"; ma poi mi sono detto che al mattino, quando mi guardo allo specchio, vorrei vedere riflesso in quello specchio quella parte di mondo che sognavo di contribuire a creare, ai tempi in cui andavo all'università; e non quella parte del mondo che dicevo di voler riformare.
Lettera di un Collega Avvocato, al Ministro, costretto a cancellarsi dall'Albo.