La campanella suona. Il collegio rientra. Hanno visi lividi, tirati. La discussione deve essere stata accesa. Il collegio acquisisce i pizzini di carta e rinvia per sentire i testimoni tra una settimana. Hanno deciso di andare a spron battuto. Non sentiranno il minore. Questa è la mia vera vittoria. Tra una settimana sentiremo la psicologa. L'udienza viene tolta. Tardito scappa dall'aula. Mi sembra di aver trascorso qui dentro un mese di vita. La Salmaso è contenta. Il fatto che il nipote venga lasciato fuori dai giochi la solleva molto. Sono stanco morto. Udienze così mi prosciugano la vita dagli occhi:l'anima resta appesa ad un filo invisibile. Sono svuotato come dopo un terremoto. Una falla si è aperta, finalmente. Ritiro le mie carte. Agata viene ad aiutarmi. Piega la toga con la pazienza nella borsa che mi ha comprato. La Salmaso la guarda. Tra donne ci si comprende al volo. Senza bisogno di una parola in più. Sono creature senzienti capaci di udire lo stormire un albero di notte.Sono gli unici esseri dotati di vista a raggi infrarossi per le ombre dell'esistenza. Beate loro. Si sorridono. Nella luce che sale da quei sorrisi complici trovo la spinta per alzarmi dalla sedia. Usciamo. Sembriamo una compagnia di mendichi, o di soldati reduci da un fronte ghiacciato, quando l'inverno scende sulle campagne a spezzare i fili d'erba. Sole e mare. Finalmente siamo all'aria aperta. Tutte le funzioni si riattivano come di regola. Ho bisogno di bere qualcosa, un caffè, e poi mangiare un piatto di spaghetti con il pomodoro fresco. Ci fermiamo ad un ristorantino appena fuori dal tribunale, sul porto, dove le barche dondolano come foglie sui rami. Una magnolia spiove sopra la terrazza del ristorante. In questo periodo si può ancora avvertire il profumo dolciastro che emette, soprattutto nelle giornate di sole, quando il mare sembra salga verso di noi. Da quando mi sono laureato la mia vita professionale non si è fermata un solo istante. Non sono mai stato a casa dal lavoro nemmeno un giorno. Fatto salvo quando stavo male. Mi chiedo se valga la pena vivere così,inchiodato ad un giogo fatto di scadenze, atti da scrivere in continuazione, udienze a cui prendere parte lasciando sui banchi del tribunale tutto ilrespiro che abbiamo nei polmoni e dentro il cuore. Non si possono difendere le persone se non con tutti noi stessi. Non si difende a pezzi. Ogni processo è un'onda. Lascia qualcosa in più e qualcosa in meno. Le aule, i giudici, i colleghi, le ansie processuali sono i veri ladri dei pensieri. Rubano tutto, e so di non poter fare nulla per difendermi come vorrei. La legittima difesa non è ammessa contro il nostro lavoro. Più volte mi sono domandato se ne valesse la pena, se non potessi fare altro. Ogni volta mi viene in mente cosa mi dice la mia mamma. Ormai cosa puoi fare, mi ammonisce. Tutto sommato è la stessa frase, rassegnata e un po' arrendevole, che ci ripetiamo tra colleghi coetanei. Siamo invecchiati all'improvviso e non ce ne siamo accorti ? Dove è andata a finire la giovinezza ? Si è davvero uccisa in braccio alle aule e a una toga nera come la notte senza che me ne accorgessi ? Una sera, dopo una cena conviviale, tornai a casa dentro la Porsche fantascientifica di un notaio di provincia. Aveva tutto, denari, case ed una moglie bella. Sentiva il tempo scorrere via, mi disse. Il sole torna tutti i giorni, ma il tempo no, va via mentre studi le carte di un processo e non sai quanto più vecchio sarai diventato dopo aver chiuso quel fascicolo. E' invisibile il tempo eppure pesa come un masso. Fare l'avvocato è l'unica via che conosca bene, in cui non mi trovi spaesato. E' anche vero che avrei i miei libri. Potrei aprire una libreria, minuscola, dove vivere di lettura e della vendita dei volumi. A volte ci penso di notte, quando non riesco a dormire. Tutte le difficoltà svanirebbero, quantomeno quelle di carattere personale legate ai processi: discendono dagli sforzi delle persone nel sopportare le indagini a loro carico. Faccio fatica a sostenere la disperazione che esce dai loro occhi per posarsi dentro i miei. In quest'anno scellerato mi è capitata tanta di quella vita che ormai faccio fatica a smaltirla, a rielaborarla. Il nostro cervello e la nostra anima sono congegni delicati, anche se duttili. Hanno bisogno di tempi fisiologici per digerire la gamma di sensazioni che le giornate propinano. Il mio processo è stato ed è una porta aperta su un orizzonte che non conoscevo. Chi si immaginava che la vita dell'indagato fosse così tetra, ed ardua tutti i giorni, ogni minuto, ogni ora, in cui questo maledetto rovello continua a bucarti la cervice e non ti lascia mai, mai. Quando ascolto gli indagati, i miei clienti, mi rendo conto che meritano un silenzio attento, in cui ogni parola va considerata. Non ci sono soltanto gli aspetti tecnici nei loro racconti, da cogliere. Ci sono le paure, le sensazioni di stare affogando in un mare vischioso da cui nessuno ti salverà. Prima stavo dietro la scrivania e pensavo che isalvagenti tecnici fossero più che sufficienti per aiutare le persone in difficoltà. Non è così, credetemi. Non bastano i consigli su come impostare un processo per alleviare le pene di una persona che si sente affogare dentro le sue imputazioni. Quella paura lì, quella che rende i miei clienti perfino ansanti quando fanno una domanda, la sento anch'io. Non soltanto di notte, quando il buio non mi fa dormire e tutti i dubbi del mondo salgono su, piano piano, come ragni sul lenzuolo, oh se ci arrivano. Siamo seduti sotto questo sole bellissimo, che filtra giù, attraverso i rami di un albero da fiaba tanto è grande. Ordiniamo tutti e tre gli spaghetti. Di solito non mangio mai con i clienti. Cerco di mantenere le distanze. E' meglio non superare la barriera invisibile tra me e loro, per non incorrere in spiacevoli equivoci. Ci vai a mangiare qualche volta e si sentono autorizzati a dirti che così, come fai tu, non va.Agata e la Salmaso parlano di acconciature, di scarpe con il tacco, di vestiti. Elisabetta Franchi e Patrizia Pepe sono nomi che non mi dicono nulla ma ho la sensazione che con Agata diverranno molto familiari. Sto in silenzio. Mi godo quella specie di rilassamento che sopravviene dopo un'udienza intensa. Fare l'avvocato da tribunale non è facile. Hai magari ancora quarant'anni ma ne dimostri già cinquanta, in fondo all'anima, dove non ti vede nessuno. Il fuoco della trincea non è per tutti. Ci pagano per fare questo lavoro, quando va bene. E' vero. Ma le tensioni, quelle profonde come pozzi carsici, quelle non ce le ripaga nessuno. Il loro peso lo conosciamo noi e basta. Restano sconosciute ai più, forse ai giudici un po' meno, visto che devono convivere con le loro. Due mestieri del diavolo. Secondo un grande economista il diavolo oggi è un pensionato. La vita si è talmente incattivita che per delinquere o passare al lato oscuro della forza, il demonio non serve più. Sta lì a guardare e basta, mentre ci roviniamo a mani nude da soli, senza spinte aggiunte di natura diaboloica. In effetti, non credo abbia torto. Se penso alla mia vita in questo momento, mi rendo conto che sono sospeso sopra un filo di nylon. Aspetto la prossima onda. Guardo Agata, sento il sole sulla pelle, e non penso. In questo momento, vorrei anch'io andare in pensione da tutto.
Ma non ancora.
Il pranzo è stato ottimo. Per un'ora e più non ho pensato. Per un penalista l'assenza dei pensieri è vitale. Ti consente di respirare e far riossigenare le cellule nervose. Con la Salmaso restiamo che ci sentiamo tra qualche giorno per preparare il controesame della psicologa. Agata va in Tribunale a fotocopiare i verbali d'udienza di questa mattina. Io vado a casa. A riposare. Capita così poche volte che mi possa rilassare un momento. Sempre più spesso mi sento stanco, così stanco da non desiderare altro che un perfetto silenzio pneumatico dentro la mia testa. Forse ho bisogno di vitamine, come dice Ottavio. L'ultimo preparato della sua farmacopea personale e domestica che mi abbia consigliato è la canapa. Sostiene che sia ricca di potassio e vitamine naturali. Quando me l'ha detto, mi sono venute in mente delle corde da barca, pensa a te. Sei sicuro Ottavio, gli ho chiesto. Mi ha detto di non rompere e di prendere le vitamine chè ho la faccia sbattuta. Arrivo a casa. Calo tutte le tapparelle come se ammainassi le vele del mio galeone. Il sole autunnale conserva la traccia di un'estate che non vuole morire. La luce troppo forte mi disturba. Anche questo deve essere un segno dell'invecchiamento, penso. Le vecchiaglie, le chiama Camilleri, un plurale che dice tutto. Gli acciacchi non vengono mai soli. Mi dico di no, perché ho sempre prediletto gli ambienti soffusi, dove la luce è mite, e accarezza le iridi senza aggredirle. Non sono vecchio, è il tempo che è passato davanti a me. Il risultato non cambia. Mi sento un cesso comunque. Accendo il computer di casa e leggo qualche sentenza. Questo è stato uno dei miei acquisti migliori. Di solito i soldi li vedo evaporare in viaggi, oppure in ristoranti. Soprattutto in tasse. Quando si ha la forza di acquistare qualcosa di materiale come un computer, da cui possono uscire tante pagine dove ficcarci anche un po' di te, qualcosa rimane. Il fondo, il meglio della pentola, la parte più buona e gustosa. Leggo con calma, più che altro mi lascio cullare in questa sacca di tempo concessami. Mi piace studiare, riempire tante caselle vuote in testa. Più leggo e più scopro quanto non sappia nulla. Tra poco dovrò affrontare il mio, di processo. Vedo Alisu, il nigeriano che mi ha creato così tanti problemi. E' un ragazzo di diciannove anni che ha perso la madre e il padre all'età di otto anni. Era andato a stare a casa di uno zio ma lo faceva lavorare come un animale. Quando è scappato da casa, è finito in Libia, dove sparavano e uccidevano le persone come mosche. Ha lavorato un anno e poi è riuscito a pagarsi un passaggio per l'Italia a peso d'oro. Bastardi negrieri e mercanti d'uomini. Durante la traversata in barcone, tutte le donne incinte hanno perso i bambini. Quando l'ho conosciuto, stava sotto l'ufficio. Con un berretto in mano e un sorriso per tutti. Mai visto un essere così felice, con tanta gioia per quei cinque euro che gli avevo donato. Ero transitato davanti a lui ma quella allegria mostrata nonostante tutto mi aveva arpionato alla schiena. Avevo fatto dietrofront: chissà cos'è a guidarci lungo rotte invisibili. Da quel momento siamo diventati amici, fino all'epilogo finale. L'unica cosa che non comprendo è per quale motivo abbia rubato. Non è il tipo. Non me ne rendo conto, ma nel frattempo sono scivolato nel sonno, con la testa sulla scrivania. Agata mi ritrova così, con una carezza. Ciao amore, meno male che sei arrivata.
Mi sento meno angosciato solo da quando ci sei tu.
Trascorriamo la serata come due amanti veri. Mangiamo sul terrazzo. E' piccolo, ma ci sono piante di ogni tipo e si vede la Madonna del Mare. E' una chiesa bianca come la sabbia, di notte è illuminata ed i suoi colori virano dall'ocra al blu, direttamente appaiati al cangiare delle ore. E' il Santuario da cui si vede il mare, fino alla Francia. Protegge i pescatori e le anime che hanno perduto sé stesse. Le sue campane scandiscono tutte le ore del giorno e della notte. E' la chiesa che vedo sempre nei sogni. E' lì da una vita eppure è come il primo giorno in cui sono finito in questa casa. C'eravamo arrivati dalla campagna. Avevamo una grande villa in collina che all'età dei miei diciassette anni avevo preso a detestare perchétroppo distante dal centro per la mia età. Oggi la rimpiango ogni minuto della mia vita. L'aveva costruita mio padre. Era ed è una casa magnifica, con un viale lungo come una vita ed alberi e fiori ovunque. Dal suo terrazzo lunghissimo si vedevano mare e montagne. D'estate ci sciamavano le lucciole. Mio padre, che amava quella casa più di lui stesso, non aveva esitato neanche un istante a venderla. Per far contenti i suoi figli.
La casa in cui vivo l'ha scoperta mia mamma. Non volevo neanche scendere in città a vederla. La via in cui si trova non è delle migliori. Eppure è stato amore a prima vista. Non avrà viali infiniti, non ci saranno alberi dappertutto, ma ha un fascino tipicamente urbano. Agata ed io restiamo a prendere il fresco in questa notte d'autunno. Parliamo di tutto e di niente, ridiamo, ci baciamo, ci accarezziamo, beviamo un passito che sembra non finire mai. Si Agata, hai ragione, tutto il miele non è ancora finito.
Baciami, dai.