Con la pronuncia n. 11003 dello scorso 1 aprile, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha assolto un medico accusato di peculato per non aver corrisposto 300 euro all'Asl presso la quale esercitava la propria attività in regime di intra moenia.
La Corte ha evidenziato come l'occasionalità della condotta delittuosa – estrinsecatesi nell'omesso versamento del ricavato di sole 3 prestazioni, a fronte di oltre 600 rese – fosse indicativa di una mera negligenza, con esclusione della stessa coscienza e volontà della condotta appropriativa dell'altrui denaro, tenuto conto dell'esiguità delle somme di denaro non versate.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un ginecologo, accusato di non aver corrisposto all'Asl la somma, pari a circa 300 euro, ricevuta da alcune pazienti per le sue prestazioni professionali rese in regime di intra moenia.
In particolare si contestava al sanitario di essersi appropriato, nella qualità di incaricato di pubblico servizio, di somme di denaro (di importo oscillante fra i 50,00 e i 300,00 euro) non fatturate e direttamente ricevute da alcune pazienti per le sue prestazioni professionali, omettendone il versamento nelle casse dell'Azienda sanitaria sebbene avesse concordato con il detto Presidio ospedaliero lo svolgimento di attività libero- professionale cd. intra moenia in forma "allargata", consentita dall'art. 72, comma 7, della legge n. 448 del 1998.
Per tali fatti, sia il Tribunale che la Corte d'appello di Catania ritenevano il medico responsabile del reato di peculato continuato e, previa concessione delle attenuanti generiche e di quella di cui all'art. 62, n. 4, c.p., lo condannavano, unificati i diversi episodi sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anno uno e mesi cinque di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, ovvero l'Azienda sanitaria provinciale.
La difesa dell'imputato, ricorrendo in Cassazione, deduceva violazione di legge e vizi della motivazione in punto di accertamento degli elementi costitutivi della penale responsabilità sotto il profilo della carenza dell'elemento psicologico, atteso che le risultanze dell'istruttoria dibattimentale avevano dimostrato che solo in tre casi, a fronte di circa seicento interventi, si era verificata la condotta di ritenzione di somme di denaro per un valore complessivo pari alla somma di trecento euro.
La Cassazione condivide le censure formulate dall'imputato.
Gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata non abbia logicamente e congruamente controdedotto alle difese dell'imputato che, deducendo l'occasionalità della condotta, aveva evidenziato come le omissioni si basassero su mera negligenza, con esclusione della stessa coscienza e volontà della condotta appropriativa dell'altrui denaro, tenuto conto dell'esiguità delle somme di denaro non versate e della circostanza che, a fronte del volume complessivo dei casi esaminati, l'omissione del versamento dei compensi percepiti nell'intero lasso temporale preso in considerazione corrispondeva, in termini percentuali, alla misura del solo 0,50% dei casi trattati.
A tali deduzioni la sentenza impugnata ha dato una risposta contraddittoria, da un lato ammettendo l'assenza di qualsiasi elemento di riscontro, dall'altro travisando il contenuto delle dichiarazioni rese dall'imputato, ricavandone erroneamente un'implicita ammissione di responsabilità sotto il profilo del dolo, per essersi egli limitato ad affermare, in sede di esame, che "può capitare", trattandosi di "tre persone in tre anni", di "omettere il versamento di quanto ricevuto".
In conclusione, la Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata, demandando alla Corte d'appello, nella piena libertà del relativo apprezzamento di merito, di eliminare i vizi motivazionali rilevati.