Di Rosalia Ruggieri su Lunedì, 27 Luglio 2020
Categoria: Medici e Sanitari

Medico assolto in sede penale, Cassazione: può essere comunque condannato a risarcire il danno

Con l'ordinanza n. 13864 depositata lo scorso 6 luglio, la Cassazione, chiamata a esaminare la responsabilità civile di un medico che era stato assolto in sede penale dall'accusa di omicidio colposo per la morte di una donna cui era stato eseguito in ritardo un parto cesareo, ha accolto la richiesta di risarcimento danni avanzata dagli eredi in sede civile, chiarendo che nel giudizio civile è possibile utilizzare e valutare l'intero contesto probatorio emergente dal processo penale per considerare la responsabilità del medico: l'assoluzione in sede penale non inficia la coerenza del ragionamento svolto in sede civilistica, ove la responsabilità del va accertata sulla base del diverso ragionamento probabilistico tipico del giudizio civile.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dalla richiesta di risarcimento di tutti i danni, comprensivi dei danni biologici, patrimoniali, morali e alla vita di relazione, avanzata dagli eredi di una donna deceduta a seguito di un parto cesareo eseguito in ritardo in una struttura ospedaliera.

Gli attori esponevano che la loro congiunta si recava in ospedale, prossima al parto con i sintomi della gestosi; solo il giorno successivo al ricovero, il sanitario che la prendeva in carico faceva eseguire i necessari esami e veniva diagnosticata una gestosi complicata dalla presenza di una patologia rara sicché, nonostante venisse disposto ed eseguito il parto cesareo d'urgenza e nell'arco della stessa giornata un secondo intervento chirurgico, la gestante non sopravviveva.

Il sanitario veniva assolto in sede penale dal reato di cui all'art. 589 c.p., con formula "perché il fatto non sussiste", in quanto non si raggiungeva lo standard probatorio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, essendo emersa una probabilità nella misura del 50% che l'evento morte fosse stata una tragica fatalità, nel senso che la morte, anche in presenza di un tempestivo intervento diagnostico, comunque si sarebbe verificata.

Adito il Tribunale per il ristoro dei danni in sede civile, il Tribunale di Lagonegro rigettava la domanda degli attori. 

La Corte d'Appello di Potenza accoglieva l'appello dei congiunti, affermando l'utilizzabilità nel processo civile delle prove acquisite nel processo penale; si specificava, inoltre, che l'assoluzione dell'imputato con formula "perché il fatto non sussiste" non precludeva la possibilità di accertarne la responsabilità in sede civile se il danneggiato avesse assolto al proprio onere probatorio: riteneva, quindi, che gli appellanti avessero dimostrato il nesso causale fra il ritardo nell'intervento e il decesso della signora, poiché sarebbe stato "più probabile che non" che l'evento morte - data la giovane età della donna e l'assenza di altre patologie - fosse conseguito al contegno omissivo dei sanitari, ovvero che lo stesso non si sarebbe verificato se la paziente fosse stata sollecitamente operata.

Il sanitario, ricorrendo in Cassazione, denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1256,1223 c.c., art. 1176 c.c., comma 2, artt. 2236, 2727, 2737 c.c., artt. 40 e 41 c.p., dolendosi per non aver la Corte territoriale valutato quanto emerso dall'istruttoria e posto alla base della assoluzione in sede penale; a tal fine di evidenziava quanto affermato dal giudice penale, secondo cui anche se l'intervento fosse stato eseguito senza alcun ritardo, la paziente avrebbe avuto soltanto un incremento di chances del 50% , con ciò lasciando intendere che non vi sarebbe stato un exitus diverso e favorevole per il danneggiato.

La Cassazione non condivide le censure rilevate.

La Corte premette che le prove raccolte nel procedimento penale sono liberamente utilizzabili nel processo civile e possono essere poste alla base del convincimento del giudice civile, purché da questi sottoposte ad autonoma valutazione e vagliate secondo le diverse categorie di responsabilità tipici del processo civile. 

Anche nel caso portato all'attenzione della Corte era possibile, quindi, utilizzare e valutare l'intero contesto probatorio emergente dal processo penale per considerare la responsabilità del medico: il fatto che costui fosse stato assolto in sede penale, perché si era accertato che il parto cesareo si era svolto secondo le regole dell'arte e che la morte della paziente non era a lui addebitabile secondo lo standard di oltre ogni ragionevole dubbio, non inficiava la coerenza del ragionamento svolto in sede civilistica, ove la responsabilità del medico di turno era stata accertata sulla base del diverso ragionamento probabilistico tipico del giudizio civile.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come il ricorso tende a sovrapporre l'esito, favorevole per il dottore, del giudizio penale per omicidio colposo – che si è concluso con un'assoluzione ex art. 530 c.p.c., comma 2, "perché il fatto non sussiste" perché non si è ritenuto che la morte della paziente risultasse addebitabile oltre ogni ragionevole dubbio al chirurgo – al giudizio civile ove, per giungere all'affermazione della civile responsabilità, è sufficiente che sussista la prova del nesso di causa tra la sua azione o nel caso di specie omissione: occorre, quindi, dimostrare che il ritardo nell'eseguire gli esami e il ritardo nell'eseguire il cesareo hanno portato alla morte posto che, se eseguiti tempestivamente accertamenti ed intervento, sarebbe stato più probabile che non che la paziente si sarebbe salvata.

La Corte rigetta il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale. 

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