Di Rosalia Ruggieri su Sabato, 11 Agosto 2018
Categoria: Il caso del giorno 2018-2019 - diritto sanitario

Mancato soccorso ad un paziente in codice rosso: il sanitario risponde di rifiuto di atti d’ufficio

Con la pronuncia n. 24163, la Cassazione ha confermato la condanna per il reato di cui all'art. 328, comma 1, c.p. – rifiuto di atti d'ufficio – inflitta ad un medico che aveva rifiutato l'accettazione di una paziente giunta presso il Pronto Soccorso in codice rosso con patologia cardiologica e affetta da dispnea severa.

La scelta del medico – che dirottava la paziente presso altra struttura, omettendo dunque, di mettere in atto il protocollo diagnostico-terapeutico previsto per l'approccio ai pazienti in dispnea (valutazione delle condizioni dell'apparto cardio-circolatorio, valutazione dei parametri vitali della paziente, approfondimenti strumentali) – era stata determinata dal mancato funzionamento del reparto di radiodiagnostica: ragione, questa, non ritenuta sufficiente dalla Suprema Corte per rifiutare legittimamente un intervento salvavita.

Sul merito della questione si era pronunciato, inizialmente, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che aveva condannato il medico, ex 328 c.p., poiché, in relazione alla propria qualità di medico del pronto soccorso, aveva indebitamente omesso di compiere un atto del suo ufficio.

Proponendo appello, il medico si difendeva deducendo la presenza di una scriminante: era stata la Direzione sanitaria che – in vista del guasto perdurante del servizio di radiologia, il quale avrebbe reso impossibile o inadeguato il soccorso ai pazienti più gravi – aveva sollevato i medici dalla scelta di attuare o meno il protocollo di Pronto soccorso, potendo gli stessi dirottare tutti i pazienti in codice rosso presso il nosocomio di un paese limitrofo. 

 La Corte di Appello di Messina confermava la decisione del Tribunale, anche in virtù del fatto che il servizio di radiologia si sarebbe riattivato alle 15.30, ossia solo 10 minuti dopo l'arrivo della paziente presso il pronto soccorso e che, nelle more, il medico ben avrebbe potuto eseguire una ECG, dando così attuazione al protocollo.

Ricorrendo in Cassazione, il sanitario censurava la sentenza impugnata per non aver sufficientemente motivato sulla presenza della scriminante e, in particolare, nella parte in cui dava rilievo alla riattivazione del servizio: il ricorrente affermava di non essere stato nelle condizioni di sapere, nel precedente momento in cui la paziente era giunta al pronto soccorso, che da lì a poco il servizio si sarebbe riattivato.

Sotto altro profilo, il medico deduceva di non essere stato in colpa in relazione alla mancata attuazione del protocollo generale di intervento: le condizioni disperate della paziente avrebbero comunque determinato il suo decesso, né poteva esigersi l'esecuzione dell'ECG che presuppone il funzionamento del servizio di radiologia.

Da ultimo, il medico si difendeva sostenendo di non aver mai pretestuosamente fatto leva sul disservizio del reparto di radiologia per dirottare altrove la paziente, ma di aver operato la scelta più adeguata per la tutela della sua salute: scelta, questa, che rientrerebbe a pieno titolo nella valutazione discrezionale d'ordine tecnico demandata dall'art. 328 c.p. all'operatore sanitario rispetto all'adempimento richiesto.

 La Cassazione non condivide le tesi difensive dell'imputato, in priimis quelle legate alla presenza della scriminante.

Le disposizioni della Direzione sanitaria, infatti, avevano programmato una interruzione del reparto di radiologia tra le ore 12,30 e le 15,30 e la paziente era pervenuta al Pronto soccorso alle ore 15,20: siffatti dati temporali, oltre che la natura sicuramente urgente dell'atto rifiutato, sono gli elementi di fatto che integrano il reato contestato.

L'art. 328 c.p. incrimina, infatti, l'incaricato del pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di igiene o di sanità, deve essere compiuto senza ritardo: gli Ermellini evidenziano, quindi, che gli indefettibili requisiti richiesti dalla fattispecie incriminatrice sono proprio la natura indebita del rifiuto e l'indifferibilità dell'atto rifiutato, elementi presenti nel caso sottoposto alla loro attenzione.

In relazione all'indebito rifiuto, si evidenzia che il rifiuto di prestare assistenza ad un paziente in codice rosso risultava ingiustificato sia per il previsto ripristino, da lì a poco, del servizio di radiologia, sia per l'essenzialità di detto servizio, rispetto ad una serie di accertamenti che potevano prescindere da esso.

In relazione all'indifferibilità dell'atto rifiutato, la sentenza in commento evidenzia l'indiscussa natura di urgenza dell'intervento richiesto dal 118, relativo ad un paziente in codice rosso che era stato dirottato in altro ospedale, con conseguente perdita di tempo prezioso ed essenziale per salvargli la vita.

In conclusione la Cassazione – rilevata la presenza dei surriferiti elementi, la cui sussistenza è necessaria all'integrazione dell'elemento oggettivo del reato in contestazione – dichiara inammissibile il ricorso del medico, confermando così il capo di imputazione ascrittogli.

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