Di Rosalba Sblendorio su Mercoledì, 20 Marzo 2019
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Macchia d'olio su manto stradale, SC: si presume essere causa del sinistro se costituisce fatto noto

Con ordinanza n. 7360 del 15 marzo 2019, la Corte di Cassazione, in materia di sinistri stradali, ha stabilito che quando la causa dell'incidente non è chiara, trova applicazione il procedimento induttivo, ossia i magistrati devono dedurla da un fatto noto e non da un fatto ignoto o incerto. In buona sostanza se si discute se la causa del sinistro sia da imputarsi o alla presenza di una macchia d'olio sul manto stradale, su cui si sono verificati contemporaneamente due incidenti, o all'eccesso di velocità, qualora la presenza della su indicata macchia costituisce un fatto noto perché accertato dai vigili intervenuti sul posto, come anche i due incidenti e qualora l'eccesso di velocità non consta direttamente, ma è solo desumibile da altri indizi, allora, a parere dei Giudici di legittimità, i fatti da prendere in considerazione per comprendere la causa del sinistro sono solo quelli noti (la macchia d'olio e i due incidenti).

Vediamo nel dettaglio la questione sottoposta alla Suprema Corte di cassazione.

I fatti di causa.

La ricorrente afferma che mentre percorreva, alla guida di un autoveicolo, un tratto di strada urbana, «ha sbandato ed è finita contro un muro danneggiando la vettura e riportando danni alla persona. I vigili urbani, intervenuti sul luogo (n.d.r.) hanno redatto un verbale in cui hanno dato conto della presenza di una macchia di liquido viscido sul manto stradale, del contemporaneo ed analogo incidente di altra vettura, ed hanno ipotizzato una relazione tra la macchia oleosa e l'incidente». Per tale motivo, la ricorrente ha chiamato in causa il Comune, ritenendolo responsabile dell'incidente e dei danni dalla stessa subiti.

Sia in primo che in secondo grado, i Giudici hanno rigettato la domanda della ricorrente, reputando il sinistro causato dall'eccesso di velocità e dall'impudenza della ricorrente stessa.

Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

La decisione della SC.

La Suprema Corte di cassazione, innanzitutto, assume che il verbale dei vigili urbani, essendo atto pubblico, fa piena prova fino a querela di falso non solo dei fatti attestati in presenza dei verbalizzanti, ma anche del fatto che l'atto proviene da un pubblico ufficiale. Ciò che resta fuori dalla fede privilegiata è ogni altro contenuto del verbale che «può costituire prova o elemento di prova liberamente apprezzabile dal giudice (Cass. 13679/ 2018; Cass. 15108/ 2010)». Da tanto emerge che, nel caso di specie, la presenza della macchia d'olio, essendo stata accertata e attestata dai vigili, costituisce un fatto assistito da fede privilegiata e quindi noto. Chiarito questo, la Corte di cassazione passa a esaminare la questione relativa alla dinamica del sinistro, ossia cerca di appurare se la decisione impugnata ha ben argomentato l'iter logico-giuridico seguito che ha portato a escludere il nesso di causalità con la macchia d'olio. Nel caso di specie, appare evidente che il procedimento da applicare è quello per presunzioni. In pratica, il Giudice per ricostruire i fatti «deve esplicitare il criterio logico posto a base della selezione degli indizi e le ragioni del suo convincimento, tenendo conto che il relativo procedimento è necessariamente articolato in due momenti valutativi:

Qualora, il Giudice nell'applicare questo procedimento abbia omesso elementi con un'oggettiva portata indiziante senza darne una valida motivazione, allora la sua decisione sarà sindacabile in sede di legittimità (Cass. 23201/ 2015;Cass. 9059/ 2018).

Orbene, secondo la Corte di Cassazione, i Giudici dei gradi precedenti sono incorsi proprio in tale omissione. Infatti, essi, nell'escludere il nesso di causalità con la macchia d'olio, hanno mancato di «valutare la natura indiziante dei fatti che gli stessi giudici assumono costituire elementi presuntivi idonei», quale appunto la presenza della macchia d'olio e i due incidenti occorsi contemporaneamente nel medesimo punto del manto stradale. Questi due indizi avrebbero dovuto costituire il punto di partenza per provare la causa del sinistro in cui è stata coinvolta la ricorrente. In buona sostanza, nella fattispecie in esame, i giudici dei gradi precedenti «hanno ricavato il fatto ignoto» (ossia la causa dell'incidente) «da un indizio di secondo grado (l'eccessiva velocità)», vale a dire da un fatto che «non consta direttamente, né risulta da alcun dato emerso in causa». Quello dell'eccesso di velocità, infatti, è un fatto frutto di induzione, ossia ricavato da altri elementi non certi e come tale senza efficacia probatoria. Non si può prescindere da fatti noti, per puntare l'attenzione su un fatto ignoto o incerto, perché desunto da altri indizi. Se si procedesse in tal senso, si avrebbero indizi mediati, o di secondo grado, privi di valore probatorioAlla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, la Suprema Corte di cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e ha cassato la decisione impugnata, rinviando la causa al Giudice d'appello, in diversa composizione. 

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