Con l'ordinanza n. 11633 dello scorso 16 giugno, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha rigettato la domanda di un uomo che voleva rendere efficace nella Repubblica una sentenza ecclesiastica che dichiarava con la nullità del suo matrimonio per esclusione di uno dei bona matrimonii, consistente nella sua opposizione ad avere figli.
Si è difatti specificato che "la violazione del principio fondamentale di tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole, il cui rilievo d'ufficio non trova deroga in mancanza di convivenza coniugale almeno triennale, assume autonoma e decisiva rilevanza ostativa alla delibazione".
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio da una pronuncia emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale della Lombardia, con la quale veniva dichiarata la nullità del matrimonio concordatario celebrato fra una coppia di coniugi per esclusione di uno dei bona matrimonii, consistente nell'indissolubilità del vincolo da parte del marito e nella sua ferma esclusione della prole.
La Corte di Appello di Milano rigettava la domanda di delibazione, proposta dall'uomo nei confronti di moglie, ritenendo che non fosse stata dimostrata la conoscenza o conoscibilità, da parte della moglie, dell'intima convinzione del marito di escludere l'indissolubilità del matrimonio o di escludere la possibilità di avere figli.
Secondo il collegio giudicante, infatti, non era emerso che le riserve del marito circa indissolubilità del vincolo e l'esclusione della prole fossero state rese note alla moglie, la quale aveva partecipato personalmente al giudizio ecclesiastico senza, tuttavia, aver rilasciato dichiarazioni di rilevanza sulle intime convinzioni del marito; in ragione di tanto non si dichiarava l'esecutorietà in Italia della sentenza ecclesiastica di nullità, permanendo l'ostacolo costituito dal suo contrasto con l'ordine pubblico italiano e, nello specifico, col principio fondamentale della tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole.
La Corte d'appello ribadiva, quindi, di poter rilevare d'ufficio la contrarietà all'ordine pubblico della delibazione di sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, essendo tale rilievo escluso solo in relazione all'ipotesi di convivenza tra i coniugi protrattasi per almeno tre anni dalla data del matrimonio concordatario regolarmente trascritto, e non anche con riguardo alla differente fattispecie oggetto del giudizio.
L'uomo, ricorrendo in Cassazione, denunciava la violazione e falsa applicazione dell'art. 82 c.c., affermando che non poteva essere negata la delibazione nel caso di specie, dovendosi far applicazione del principio secondo cui non è consentito il rilievo d'ufficio della contrarietà all'ordine pubblico della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario quando la parte convenuta non si opponga all'accoglimento della domanda o non sollevi l'eccezione in senso stretto.
La Cassazione non condivide le doglianze sollevate.
Gli Ermellini premettono come, la tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole è un principio fondamentale in base al quale il giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l'oggettiva conoscibilità dell'esclusione di uno dei bona matrimonii, da parte dell'altro coniuge, con piena autonomia, trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo canonico. Il giudice nazionale non deve, infatti, limitarsi al controllo di legittimità della pronuncia ecclesiastica di nullità, ma deve condurre la relativa indagine con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e valutati.
La tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole può essere rilevato d'ufficio dal giudice, posto che l'unica deroga alla rilevabilità d'ufficio è stata statuita dalle Sezioni Unite della Cassazione con riferimento alla convivenza coniugale almeno triennale: in tal caso si è escluso il rilievo di ufficio e si è richiesto che la parte sollevasse l'eccezione, in ordine alla rilevanza della convivenza, essendo questa una situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio perché caratterizzata da "una complessità fattuale strettamente connessa all'esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima" (Cass. S.U. n. 16379/2014).
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, con incensurabile apprezzamento di fatto e con motivazione adeguata, la ricorrenza, nel caso concreto, della violazione del principio fondamentale di tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole; ciò posto, correttamente la pronuncia censurata ha rilevato d'ufficio la violazione, non avendo i coniugi convissuto per almeno tre anni.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso.