Di Redazione su Venerdì, 29 Maggio 2020
Categoria: I Maestri del Pensiero

John Locke, Saggio sul governo civile

John Locke (Wrington, 29 agosto 1632High Laver, 28 ottobre 1704) è stato un filosofo e medico inglese, considerato il padre del liberalismo classico, dell'empirismo moderno e uno dei più influenti anticipatori dell'illuminismo e del criticismo.

Nacque a Wrington (Somerset), nel 1632; il padre, procuratore e ufficiale giudiziario, combatté durante la prima rivoluzione inglese con l'esercito del Parlamento contro il re Carlo I, che sarà decapitato nel 1649.
Durante la dittatura di Cromwell, John entrò nell'università di Oxford, nel collegio di Christ Church dove, dopo il conseguimento del titolo di baccelliere (1656) e "maestro delle arti" (1658), rimase come insegnante di greco e retorica.
Nel 1666 cominciò a studiare medicina e scienze naturali, entrando in contatto con medici e anatomisti famosi, come Willis e Bathurst, e collaborando con il celebre fisico e chimicoRobert Boyle.
Pur non essendo laureato in medicina, esercitò la professione di medico, che gli permise di conoscere Lord Ashley, divenuto in seguito il conte di Shaftesbury di cui divenne medico personale e consigliere, seguendone l'alterna sorte e le vicissitudini. Fu suo segretario quando Ashley divenne Lord cancelliere.
Nel 1675 Locke si ritirò per motivi di salute in Francia per quattro anni, durante i quali studiò la filosofia di Cartesio, di Gassendi e dei libertini.

Al suo ritorno in Inghilterra riprese a collaborare con Shaftesbury, nel frattempo nominato presidente del consiglio del re Carlo II. Durante la crisi dell'esclusione, che vedeva il Parlamento dividersi fra sostenitori e avversari dell'Exclusion Bill, proposta di legge che escludeva Giacomo, fratello ed erede di Carlo II, dalla successione al trono, Shaftesbury fu tra i maggiori sostenitori della legge: ciò provocò il suo rapido declino, che lo portò a fuggire nei Paesi Bassi nel 1682, dove morì. Locke, temendo la persecuzione contro i whigs, andò anche lui in esilio volontario nei Paesi Bassi, dove fu attivo sostenitore di Guglielmo d'Orange e, nel 1688, dopo la vittoria della Gloriosa rivoluzione, tornò in patria al seguito della moglie di Guglielmo III, la principessa Maria, regina sovrana d'Inghilterra e d'Irlanda alla pari del marito dall'11 aprile 1689.

La fama di Locke come maggiore esponente del nuovo regime liberale divenne grandissima: ricoprì vari incarichi importanti, tra cui quello di consigliere per il commercio nelle colonie. In questo incarico tenne un atteggiamento tollerante rispetto alla schiavitù in America e nel contempo trasse ingenti profitti dalle azioni della Royal African Company, impegnata nella tratta degli schiavi.

Fu in questo periodo che pubblicò le sue opere più importanti, tra le quali, nel 1690, il Saggio sull'intelletto umano.
Passò serenamente gli ultimi anni nel castello di Oates presso il villaggio di High Laver, nell'Essex, dove morì e fu sepolto nel 1704 nella chiesa di Ognissanti.
Per Locke il potere non è e non può essere concentrato nelle mani di un'unica entità, né tanto meno è irrevocabile, assoluto e indivisibile.
Il potere supremo è il potere legislativo che è supremo, non perché senza limiti, ma perché è quello posto al vertice della piramide dei poteri, il più importante.
È il potere di predisporre ed emanare leggi e appartiene al popolo che lo conferisce per delega ad un organo preposto ad adempierlo, che è costituito dal Parlamento.
Subordinato al potere legislativo, c'è il potere esecutivo che spetta al sovrano e consiste nel far eseguire le leggi.
Successivamente Locke individua altri due poteri ascrivibili ai precedenti:
il potere giudiziario rientrante nel potere legislativo, è preposto a far rispettare la legge, la quale deve essere unica per tutti e deve far sì che tutti siano uguali di fronte ad essa e che ci sia certezza del diritto (principio di legalità). Quindi il potere legislativo esplica due funzioni: quella di emanare leggi e quella di farle rispettare.
Il potere federativo - nel significato derivato dal latino foedus, patto - che rientra nel potere esecutivo e prevede la possibilità di muovere guerra verso altri Stati, di stipulare accordi di pace, di intessere alleanze con tutte quelle comunità extra-pattizie, ovvero che si collocano al di fuori della società civile o politica.
Se così non fosse stato, il popolo aveva il diritto di resistenza contro un governo ingiusto.

Capitolo XIX - Della dissoluzione del governo
222. La ragione per cui gli uomini entrano in società è la conservazione della loro proprietà, e il fine per cui essi eleggono e conferiscono autorità al legislativo è che si facciano leggi e si stabiliscano norme, come salvaguardia e difesa delle proprietà di tutti i membri della società, a limitare il potere e moderare il dominio di ogni parte o membro della società stessa. Infatti, poiché non si può mai supporre che sia volontà della società che il legislativo abbia il potere di distruggere ciò che ciascuno intende garantire con l'entrare in società e per cui il popolo si sottomette ai legislatori da lui stesso designati, quando i legislatori tentino di sopprimere e distruggere la proprietà del popolo o di ridurlo in schiavitù sotto un potere arbitrario, si pongono in stato di guerra con il popolo, il quale è con ciò sciolto da ogni ulteriore obbedienza, e non gli rimane che il comune rifugio che Dio ha offerto a tutti gli uomini contro la forza e la violenza. Il legislativo, dunque, ogniqualvolta trasgredisce questa norma fondamentale della società, e, per ambizione, timore, sconsideratezza o corruzione, tenta di porre in possesso proprio o in mani altrui il potere assoluto sulle vite, libertà e averi del popolo, con questa infrazione della fiducia perde il potere che il popolo ha posto nelle sue mani per fini del tutto opposti, e questo potere ritorna al popolo, che ha il diritto di riprendere la sua libertà originaria, e provvedere, con l'istituzione di un nuovo legislativo, secondo che ritiene opportuno, alla propria sicurezza e tranquillità, che è il fine per cui si trova in società. Ciò che a questo punto ho detto riguardo al legislativo in generale, vale anche riguardo al supremo esecutore, il quale avendo una duplice fiducia posta in lui, cioè a dire la partecipazione al legislativo e la suprema esecuzione della legge, agisce contro tutte e due, se tenta d'istruire la propria arbitraria volontà come legge della società. Egli agisce anche contro la fiducia posta in lui, se impiega la forza, il tesoro e gli uffici della società per corrompere i rappresentanti e guadagnarli alle sue mire, oppure pubblicamente impegna in anticipo gli elettori e prescrive alla loro scelta persone ch'egli ha guadagnato alle sue intenzioni con sollecitazione, minacce, promesse o altrimenti, e li adopera per far eleggere coloro che in precedenza hanno promesso che cosa voteranno e che cosa decreteranno. (...)
224. Ma si dirà che questa teoria getta il fermento di frequenti ribellioni. Al che rispondo come segue. In primo luogo, non più di qualsiasi altra teoria, perché quando il popolo è caduto in miseria e si trova esposto all'abuso di un potere arbitrario, esaltate quanto volete i suoi governanti, come figli di Giove, fateli sacri o divini, discesi o autorizzati dal cielo, spacciateli per chi o che cosa volete: accadrà lo stesso. (...)
225. In secondo luogo, rispondo che tali rivoluzioni non accadono ad ogni menoma mancanza nell'amministrazione dei pubblici affari. Gravi errori nei governanti, molte leggi ingiuste e inopportune e tutti i falli della fragilità umana, saranno sopportati dal popolo senza rivolta o mormorazione. (...)
226. In terzo luogo, rispondo che questa dottrina di un potere, risiedente nel popolo, di provvedere di nuovo alla propria sicurezza con un nuovo legislativo, quando i suoi legislatori, col violare la sua proprietà, hanno agito contro la sua fiducia, è la miglior difesa contro la ribellione e il mezzo più sicuro per impedirla. Infatti, poiché la ribellione è un'opposizione non alle persone, ma all'autorità, ch'è fondata esclusivamente nelle costituzioni e nelle leggi del governo, veramente e propriamente ribelli sono coloro, quali che siano, che con la forza le trasgrediscono, e con la forza giustificano questa violazione, perché quando gli uomini, con l'entrare in società e nel governo civile, hanno escluso la forza e introdotto leggi per la conservazione della proprietà, della pace e dell'unità fra di loro, coloro che ristabiliscono la forza in opposizione alle leggi, compiono l'azione del ribellare, cioè a dire riportano lo stato di guerra e sono propriamente ribelli, e poiché ciò è assai più probabile che sia compiuto da quelli che sono al potere, perché hanno il pretesto dell'autorità, sono tentati dalla forza che hanno tra le mani e sono adulati da quelli che li circondano, il modo migliore per prevenire questo male è mostrarne la pericolosità e l'ingiustizia a coloro che maggiormente sono tentati d'incorrervi. (...)

243. Per concludere, il potere che ogni individuo ha conferito alla società, quando vi è entrato, non può mai ritornare agl'individui, fin che la società dura, ma rimarrà sempre nella comunità, in quanto che senza di ciò non vi può essere né comunità né società politica, il che sarebbe contro l'accordo originario; così anche quando la società ha collocato il legislativo in un'assemblea di uomini perché continui in loro e nei loro successori, con direttive e autorità onde designare tali successori, il legislativo non può mai ritornare al popolo sin che il governo dura, in quanto che, avendo conferito al legislativo il potere di durare per sempre, il popolo ha rimesso il suo potere politico al legislativo e non può riprenderlo. Ma se ha imposto limiti alla durata del suo legislativo, e costituito questo potere supremo in una persona o in un'assemblea soltanto temporaneamente, oppure quando, per la cattiva condotta di chi ha l'autorità, quel potere è perduto, all'atto di tale perdita o al termine del tempo fissato esso ritorna alla società, e il popolo ha il diritto di agire come sovrano e di continuare il legislativo in sé o d'istituirlo in una nuova forma o porlo sotto la forma antica, in nuove mani, come meglio giudica.

(J. Locke, Saggio sul governo civile)

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