Di Rosalia Ruggieri su Sabato, 02 Febbraio 2019
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Liquidazione compensi: quale procedura attivare in caso di conciliazione?

Con la sentenza n. 2221 dello scorso 25 gennaio, la sezione lavoro della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di un avvocato che – a seguito dell'intervenuta conciliazione – chiedeva la liquidazione dei compensi a lui spettanti secondo la procedura di cui all'art 28 del R.D.L. n. 794 del 1942 (che, oggi, rinvia all'art. 14 del d.lgs. 150/2011), ha specificato che procedura di liquidazione dei compensi prevista dagli artt. 28, 29 e 30 del R.D.L. n. 794/1942 può essere attivata dal difensore solo dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, mentre, una volta incardinata la lite con il deposito del ricorso, la controversia deve essere definita con sentenza che provveda anche sulle spese, ai sensi degli artt. 91 e seguenti c.p.c..

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dal ricorso proposto da una collaboratrice domestica nei confronti della sua datrice di lavoro, al fine di ottenere la sua condanna al pagamento, a titolo di differenze retributive, della somma complessiva di Euro 49.018,25.

In data 19.10.2009, la lavoratrice aveva presentato alla Commissione di Conciliazione la richiesta di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell'art. 410 c.p.c.; le parti venivano convocate per il giorno 29.4.2010 allorquando, pur in assenza del legale della ricorrente, si giungeva alla conciliazione della lite con la stipulazione di un accordo transattivo che prevedeva il contestuale pagamento, in favore della lavoratrice, della complessiva somma di Euro 2.700,00, a fronte della sua rinuncia ad ogni altra pretesa ricollegabile al rapporto di lavoro intercorso con la controparte.

Successivamente, in data 4.6.2010, la lavoratrice notificava il ricorso volto ad ottenere le differenze retributive alla datrice di lavoro la quale, costituendosi in giudizio, ne eccepiva l'inammissibilità, essendo intervenuta la predetta conciliazione. 

All'udienza fissata per la discussione della causa, il difensore della ricorrente chiedeva che venisse applicata per la liquidazione delle spese, ai sensi dell'art. 68 della legge professionale forense, il rito camerale (ovvero l'allora vigente disciplina di cui agli artt. 28, 29 e 30 del R.D.L. n. 794/1942) .

Il Tribunale di Roma rigettava il ricorso.

La decisione veniva appellata dal legale della lavoratrice: lo stesso evidenziava che, avendo le parti transatto la lite dopo il deposito del ricorso ed avendo lo stesso richiesto la trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale per la liquidazione del suo compenso ai sensi degli artt. 28 e 29 del R.D.L. n. 794/1942, il giudice di prime cure avrebbe dovuto attivare il predetto procedimento o, in subordine, dichiarare la cessazione della materia del contendere e liquidare le spese di lite in base al principio della soccombenza virtuale.

La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di primo grado, dichiarava la cessazione della materia del contendere, compensando integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado: secondo i giudici, infatti, lo speciale procedimento di cui al R.D.L. n. 794 del 1942 si sarebbe potuto attivare dal difensore solo dopo la decisione della causa e non anche nel caso in cui la causa fosse stata definita con una conciliazione.

La lavoratrice, ricorrendo in Cassazione, impugnava la decisione della Corte di Appello, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e degli artt. 28, 29 e 30 del R.D.L. n. 794 del 1942.

In particolare, ci si lamentava perché la Corte distrettuale – nonostante l'accordo conciliativo fosse intervenuto in corso di causa e in assenza del difensore che, pertanto, non aveva rinunciato ai vincolo di solidarietà professionale ex art. 68 L.P. – avrebbe arbitrariamente disposto la compensazione delle spese di lite, sul presupposto che non fosse possibile ricorrere né al procedimento speciale né all'art. 92 c.p.c., per assenza, nel verbale di conciliazione, di qualsiasi previsione sulla liquidazione delle spese in favore dell'avvocato della ricorrente. 

 La Cassazione non condivide le doglianze della ricorrente.

In punto di diritto, la Corte rileva come procedura di liquidazione dei compensi prevista dagli artt. 28, 29 e 30 del R.D.L. n. 794 del 1942 può essere attivata dal difensore solo dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, mentre, una volta incardinata la lite con il deposito del ricorso, la controversia deve essere definita con sentenza che provveda anche sulle spese, ai sensi degli artt. 91 e seguenti c.p.c..

Con specifico riferimento al caso di specie, l'avvenuta conciliazione dopo il deposito del ricorso ha determinato, nella pendenza della lite, la cessazione della materia del contendere: conseguentemente, correttamente, è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere e si è disposta la compensazione delle spese di lite, in quanto nel verbale di conciliazione non si rinvenivano disposizioni contrarie.

Sul punto, la Corte coglie l'occasione per precisare che l'art. 68 della legge professionale forense non può essere applicato quando la causa sia definita con una pronunzia di cessazione della materia del contendere per intervenuta conciliazione, in quanto la predetta disposizione, nello stabilire che tutte le parti che hanno conciliato la lite sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari ed al rimborso delle spese in favore degli avvocati che hanno partecipato al giudizio definito in quella sede, fa riferimento agli accordi attraverso i quali le parti siano pervenute alla cessazione della lite senza la pronunzia giudiziale e non già ad ipotesi, quale quella di cui si tratta, in cui vi sia stata una decisione del giudice, seppure soltanto finalizzata a provvedere sulle spese.

In conclusione la Corte rigetta il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

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