Con la sentenza n. 28314 dello scorso 12 ottobre, la IV sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna per omicidio colposo inflitta ad un medico per la morte di un paziente, rigettando le difese del camice bianco che, censurando il vizio di motivazione della sentenza di condanna, insisteva per la correttezza del suo operato evidenziando come, se si fossero seguite le linee guida indicate dai propri consulenti, nulla gli sarebbe contestato.
Si è difatti statuito che "non può considerarsi vizio della motivazione in sé l'omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della relazione tecnica disattesa, poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all'onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento" .
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale a carico di un medico, ritenuto colpevole del decesso di un paziente, già affetto da patologia coronarica ostruttiva e allergico all'acido acetilsalicilico.
In particolare, si contestava al camice bianco di aver sottoposto il paziente – giunto in ospedale per forti dolori toracici dovuti a ischemia, con una grave ostruzione delle arterie – ad angioplastica coronarica, dimettendolo con terapia a base di solo clopidogrel, invece di effettuare un intervento cardiochirurgico con applicazione di by pass, alla luce della patologia e delle condizioni allergiche del paziente, che, dopo l'intervento di angioplastica, non avrebbe potuto assumere la doppia terapia anti-aggregante a base di clopidogrel e aspirina.
Per tali fatti, sia il Tribunale di Ragusa che la Corte di Appello di Catania condannavano il sanitario alla pena di giustizia.
Secondo i giudici, infatti, doveva ritenersi indiscusso – così come emerso dalle consulenze espletate – che, considerate le condizioni allergiche del paziente, l'unica terapia adeguata al caso di specie era la rivascolarizzazione con applicazione di bypass che non avrebbe richiesto, nel post operatorio, la doppia terapia con aspirina; viceversa, il ricorso alla terapia mono-aggregante, nel caso di impianto di stent, era contrario alle linee guida che, proprio per il caso di comprovata allergia ai farmaci, escludevano il ricorso alla angioplastica.
Sul punto, la Corte del merito, sulla scorta dei pareri scientifici acquisiti al processo, confutava i dati offerti dai consulenti della difesa, ritenendo come le loro tesi – essendo supportate da alcuni isolati studi giapponesi e riferendosi a tipologie di soggetti non allergici – rimanevano ad un livello meramente ipotetico-esplorativo.
In conclusione, i giudici ritenevano che l'applicazione del bypass avrebbe consentito di evitare l'evento verificatosi, atteso che il rischio morte era in tal caso molto ridotto (pari al 1-2%), rispetto alla alta probabilità di complicanze trombotiche, dovute alla mancata assunzione dell'aspirina dopo l'applicazione di stent.
La difesa del camice bianco, ricorrendo in Cassazione, censurava la sentenza impugnata per vizio della motivazione, perché i giudici d'appello – aderendo acriticamente all'errore di giudizio compiuto dai consulenti d'ufficio circa la individuazione delle linee guida applicabili al caso concreto – avevano ritenuto non applicabili le linee guida indicate dalla difesa.
La Cassazione non condivide la censura formulata dall'imputato, vertente sulla divergente opinione che attiene alle linee guida applicabili al caso di specie.
In punto di diritto, la sentenza in commento ricorda che il sapere scientifico all'interno del processo penale costituisce uno strumento al «servizio dell'accertamento del fatto»: il giudice di merito deve, in primo luogo, dar conto del controllo esercitato sull'affidabilità delle basi scientifiche del giudizio valutando l'autorità scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza; in secondo luogo deve comprendere, soprattutto nei casi più problematici, se gli enunciati proposti trovano comune accettazione nella comunità scientifica, così diventando un peritus peritorum.
Gli Ermellini specificano, quindi, che, se sono rispettati questi limiti, non può considerarsi vizio della motivazione in sé l'omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della relazione tecnica disattesa, poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all'onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la sentenza impugnata abbia individuato le corrette linee guida alla stregua del sapere scientifico veicolato nel processo, giustificando la scelta delle linee guida applicate e la conclusione della non applicabilità, viceversa, di quelle opposte a difesa, ritenendo queste ultime riferibili ad una differente tipologia di pazienti o reperibili in studi isolati, come tali inattendibili.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.