Di Carmela Patrizia Spadaro su Mercoledì, 08 Luglio 2020
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Limiti applicativi della Legge Pinto nel processo tributario

Riferimenti normativi: Art.111 Cost. - Art.6 CEDU - L.n.89 del 24 marzo 2001

Focus: Per l'irragionevole durata di un processo oltre i limiti temporali previsti dall'ordinamento, chiunque può chiedere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dallo stesso. Tale possibilità è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla Legge Pinto n.89/2001 al fine di tutelare equamente le parti in lite in tutti i processi mediante il ricorso ad un procedimento la cui applicazione nel processo tributario incontra ancora oggi limitazioni dettate da altalenanti orientamenti giurisprudenziali.

Principi generali: La Legge n.89 del 24 marzo 2001, denominata Pinto dal suo estensore, successivamente modificata dalla L.n.208/2015, è stata emanata richiamandosi al principio del "giusto processo" di cui all'art.111 della Costituzione e ispirandosi agli artt. 6 e 13 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo). L'art.6 stabilisce che: " Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti." Per l'art.13 sussiste, quindi, il diritto a un ricorso effettivo contro ogni possibile violazione della Convenzione.

Alla luce di questi principi, la Legge Pinto dispone, all'art. 1-bis, comma 2, che : " Chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi di cui all'articolo 1- ter, ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata del processo ha diritto ad una equa riparazione " determinata dal giudice ai sensi dell'art. 2056 del codice civileIl ricorso va proposto, con l'assistenza di un avvocato, nei confronti: del Ministro della Giustizia per i procedimenti ordinari; del Ministro della Difesa per i procedimenti militari; del Ministro dell'Economia e delle Finanze in tutti gli altri casi e la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il processo è divenuta definitiva. In pratica si può ricorrere a tale strumento straordinario in qualsiasi giudizio civile, penale, amministrativo, contabile o fallimentare, nei casi in cui si ecceda il termine di durata ragionevole di un processo che va da due a sei anni ( art.2, c. 2 bis e ter L.n.89/2001), mentre in caso di processo tributario tale strumento si applica solo in alcune controversie.

La Suprema Corte di Cassazione, sulla scia giurisprudenziale comunitaria, ha più volte ribadito la non estensibilità dell'art. 6 CEDU alle controversie tra il cittadino privato contribuente e il Fisco, poiché il processo tributario ha ad oggetto provvedimenti impositivi, l'applicazione di tributi, o, in ogni caso, atti che hanno origine da doveri pubblici. Essa ha affermato, quindi, che non può essere richiesta equa riparazione in caso di lite sull'accertamento ( Cassazione sentenza n. 16212/2012 ).In linea generale, la Corte di Cassazione (sentenze nn. 11350/2004 e 17139/2004) ha escluso in materia tributaria l'applicabilità della succitata Legge Pinto ad eccezione del giudizio vertente sull'individuazione del soggetto di un credito d'imposta, non contestato nella sua esistenza (Cass., Sezioni Unite, sentenza n. 18508/03). 

In merito alle controversie aventi ad oggetto le sanzioni penali la Suprema Corte, con sentenza n. 4282/2015, ha confermato che la Legge Pinto si applica nel giudizio tributario in cui la controversia verte sulle sanzioni fiscali connotate da un carattere di afflittività a tal punto significativo da farle apparire alternative a una sanzione penale ovvero a una sanzione che, in caso di mancato adempimento, sia commutabile in una misura detentiva (Cassazione sentenza n. 13322/2012 ) secondo un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità. Si applica, inoltre, a quelle che pur essendo riservate alla giurisdizione tributaria sono riferibili alla " materia civile ", in quanto riguardanti pretese del contribuente che non investano la determinazione del tributo ma solo aspetti consequenziali ovvero le richieste di rimborso di somme, rifluenti nell'area delle obbligazioni privatistiche. Tra queste ultime non rientrano le controversie riguardanti il rimborso di imposte che il privato ritenga indebitamente trattenute, poiché il relativo diritto non è accertato secondo i principi di diritto civile sulla ripetizione di indebito, ma in base all'esistenza o meno del potere impositivo (Cassazione sentenze nn. 2371/11,13657/07 e 21403/05).

Messaggi correlati