Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con Sentenza n.12337 del 2016, depositata il 15 giugno esprimendosi su un caso di particolare complessità giuridica.
I Supremi Giudici, infatti, si sono trovati a valutare la legittimità di un licenziamento disciplinare irrogato per avere la lavoratrice utilizzato delle credenziali non sue per l´accesso al sistema informatico.
Ci si è chiesto, in sostanza, se tale comportamento avrebbe potuto essere ricondotto a quelli generali previsti dalla Legge al fine di irrogare il licenziamento disciplinare o meno.
In tal senso, i Supremi Giudici hanno confermato quanto già affermato dai Giudici in sede d´Appello riconoscendo il disvalore di questa condotta che inevitabilmente aveva portato alla rottura del vincolo fiduciario.
La valutazione in ordine al comportamento tenuto, secondo i Giudici del Palazzaccio, deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all´intensità dell´elemento intenzionale o di quello colposo.
In ordine alla contestata proporzionalità tra condotta e sanzione, hanno specificato gli Ermellini che la stessa è indubbiamente sussistente nel caso di specie trattandosi di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l´elemento fiduciario.
Il giudizio di proporzionalità tra l´addebito e la sanzione è stato infatti compiuto dai Giudici sulla base della valutazione di tutte le risultanze fattuali rilevanti, come riferito nello storico di lite, né il fatto che ella avesse chiesto la nuova password e non le fosse stata data risposta (la cui omessa valutazione si addebita alla Corte territoriale) avrebbe potuto assumere valore decisivo nel giustificare la protrazione della condotta interdetta.
L´utilizzazione della password e gli accessi alla banca dati non attinenti l´attività demandata sono stati quindi considerati non in sé, ma nell´ambito della delicatezza della funzione attribuita alla dipendente e della possibilità di accesso ai dati personali sensibili di terzi, che avrebbe imposto un rigoroso rispetto delle regole e delle disposizioni impartite e la cui violazione era pertanto idonea a determinare il venire meno dell´elemento fiduciario.
Anche in ordine alla tempistica degli accessi, non hanno trovato riscontro le doglianze di controparte trattandosi di verifica operata ad ampio raggio.
In tal senso la Corte si è attenuta quindi a principi già enunciati secondo i quali la specificità della contestazione non richiede l´osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati, al fine di consentire al lavoratore incolpato un´idonea e piena difesa.
Tutto ciò evidenziato il ricorso della lavoratrice è stato rigettato.
Sentenza allegata
I Supremi Giudici, infatti, si sono trovati a valutare la legittimità di un licenziamento disciplinare irrogato per avere la lavoratrice utilizzato delle credenziali non sue per l´accesso al sistema informatico.
Ci si è chiesto, in sostanza, se tale comportamento avrebbe potuto essere ricondotto a quelli generali previsti dalla Legge al fine di irrogare il licenziamento disciplinare o meno.
In tal senso, i Supremi Giudici hanno confermato quanto già affermato dai Giudici in sede d´Appello riconoscendo il disvalore di questa condotta che inevitabilmente aveva portato alla rottura del vincolo fiduciario.
La valutazione in ordine al comportamento tenuto, secondo i Giudici del Palazzaccio, deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all´intensità dell´elemento intenzionale o di quello colposo.
In ordine alla contestata proporzionalità tra condotta e sanzione, hanno specificato gli Ermellini che la stessa è indubbiamente sussistente nel caso di specie trattandosi di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l´elemento fiduciario.
Il giudizio di proporzionalità tra l´addebito e la sanzione è stato infatti compiuto dai Giudici sulla base della valutazione di tutte le risultanze fattuali rilevanti, come riferito nello storico di lite, né il fatto che ella avesse chiesto la nuova password e non le fosse stata data risposta (la cui omessa valutazione si addebita alla Corte territoriale) avrebbe potuto assumere valore decisivo nel giustificare la protrazione della condotta interdetta.
L´utilizzazione della password e gli accessi alla banca dati non attinenti l´attività demandata sono stati quindi considerati non in sé, ma nell´ambito della delicatezza della funzione attribuita alla dipendente e della possibilità di accesso ai dati personali sensibili di terzi, che avrebbe imposto un rigoroso rispetto delle regole e delle disposizioni impartite e la cui violazione era pertanto idonea a determinare il venire meno dell´elemento fiduciario.
Anche in ordine alla tempistica degli accessi, non hanno trovato riscontro le doglianze di controparte trattandosi di verifica operata ad ampio raggio.
In tal senso la Corte si è attenuta quindi a principi già enunciati secondo i quali la specificità della contestazione non richiede l´osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati, al fine di consentire al lavoratore incolpato un´idonea e piena difesa.
Tutto ciò evidenziato il ricorso della lavoratrice è stato rigettato.
Sentenza allegata
Documenti allegati
Dimensione: 20,03 KB