Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Salazar, rel. Pasqualin), con sentenza del 23 luglio 2015, n. 124, pubblicata l´8 maggio 2016.
Secondo il Consiglio, l´assenza di reddito, peraltro non debitamente comprovata, non esonera l´avvocato – quale pretesa forza maggiore – dall´obbligo di provvedere al versamento delle quote di iscrizione all´albo, registro o elenco professionale (art. 2 L. n. 536/1949), che si configura come "quota associativa" ad un ente ad appartenenza necessaria ai fini del legittimo esercizio della professione, della cui legittimità costituzionale non può ragionevolmente dubitarsi.
La questione rimessa all´esame del Consiglio ha preso le mosse dalla delibera con cui il Consiglio dell´Ordine degli Avvocati di Siena deliberava nei confronti dell´avv. M.M. l´apertura del procedimento disciplinare con il seguente capo d´incolpazione: "Per aver omesso il versamento delle quote di iscrizione per gli anni 2004 e 2005 al Consiglio dell´Ordine degli Avvocati di Siena ed aver conseguentemente violato l´art. 2 della legge 3.8.1949 n. 536".
Il legale veniva tratto a dibattimento e, con decisione in data 11.5/24.5.2012, pronunciata all´esito di udienza alla quale l´incolpato non aveva partecipato, il Consiglio dell´Ordine ne disponeva la sospensione a tempo indeterminato.
Il Consiglio riteneva prive di pregio le giustificazioni addotte dal professionista affermando, "Nell´ambito della discrezionalità che compete al Consiglio dell´Ordine", di ritenere corrispondente a giustizia l´irrogazione della sanzione disciplinare espressamente prevista dalla suddetta normativa" (l´art. 2 della legge n. 536/1949).
Pertanto sospendeva il legale dall´esercizio della professione a tempo indeterminato.
Da qui l´impugnazione.
Il Consiglio, rigettandola, ha richiamato che, come ricordato dalla Corte Suprema (ordinanza 26 gennaio 2011, n. 1782), "Il sistema normativo riconosce, in questa prospettiva, all´ente "Consiglio", una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che l´iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione nell´albo), al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all´ordine. Siffatta "tassa" si configura come una "quota associativa" rispetto ad un ente ad appartenenza
necessaria, in quanto l´iscrizione all´albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della professione".
Inoltre, ha rilevato che la circostanza di assenza di redditi era stata solo labialmente affermata ma non dimostrata, così rigettando anche l´altra censura e il ricorso.
Sentenza allegata
Secondo il Consiglio, l´assenza di reddito, peraltro non debitamente comprovata, non esonera l´avvocato – quale pretesa forza maggiore – dall´obbligo di provvedere al versamento delle quote di iscrizione all´albo, registro o elenco professionale (art. 2 L. n. 536/1949), che si configura come "quota associativa" ad un ente ad appartenenza necessaria ai fini del legittimo esercizio della professione, della cui legittimità costituzionale non può ragionevolmente dubitarsi.
La questione rimessa all´esame del Consiglio ha preso le mosse dalla delibera con cui il Consiglio dell´Ordine degli Avvocati di Siena deliberava nei confronti dell´avv. M.M. l´apertura del procedimento disciplinare con il seguente capo d´incolpazione: "Per aver omesso il versamento delle quote di iscrizione per gli anni 2004 e 2005 al Consiglio dell´Ordine degli Avvocati di Siena ed aver conseguentemente violato l´art. 2 della legge 3.8.1949 n. 536".
Il legale veniva tratto a dibattimento e, con decisione in data 11.5/24.5.2012, pronunciata all´esito di udienza alla quale l´incolpato non aveva partecipato, il Consiglio dell´Ordine ne disponeva la sospensione a tempo indeterminato.
Il Consiglio riteneva prive di pregio le giustificazioni addotte dal professionista affermando, "Nell´ambito della discrezionalità che compete al Consiglio dell´Ordine", di ritenere corrispondente a giustizia l´irrogazione della sanzione disciplinare espressamente prevista dalla suddetta normativa" (l´art. 2 della legge n. 536/1949).
Pertanto sospendeva il legale dall´esercizio della professione a tempo indeterminato.
Da qui l´impugnazione.
Il Consiglio, rigettandola, ha richiamato che, come ricordato dalla Corte Suprema (ordinanza 26 gennaio 2011, n. 1782), "Il sistema normativo riconosce, in questa prospettiva, all´ente "Consiglio", una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che l´iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione nell´albo), al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all´ordine. Siffatta "tassa" si configura come una "quota associativa" rispetto ad un ente ad appartenenza
necessaria, in quanto l´iscrizione all´albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della professione".
Inoltre, ha rilevato che la circostanza di assenza di redditi era stata solo labialmente affermata ma non dimostrata, così rigettando anche l´altra censura e il ricorso.
Sentenza allegata
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