Di Redazione su Sabato, 15 Dicembre 2018
Categoria: Mi chiamo Alessandro Gordiani e faccio l'avvocato (Michele Navarra) - Diritto e Letteratura

Quell'appuntamento, una maledetta, fottutissima, trappola per l'avvocato

 Come aveva potuto essere così stupido da fidarsi?

Si capiva lontano un miglio che quell'appuntamento si sarebbe rivelato una maledetta, fottutissima, trappola.

Ci era cascato come un idiota qualsiasi. Proprio lui che non lo era mai stato.

Colpa dell'esca usata, altrimenti non si sarebbe nemmeno fatto vedere.

Quell'individuo non era mai stato particolarmente affidabile e lui lo sapeva bene.

Sarebbe stato molto più prudente allontanarsi per un po' di tempo. A qualche centinaio di chilometri di distanza.

Eppure c'era andato.

Nonostante l'indefinibile sensazione di pericolo che lo aveva attanagliato non appena ricevuta la telefonata, in lui aveva alla fine prevalso l'irrazionale e, forse un po' ingenua, speranza che tutto si sarebbe risolto con una bella chiacchierata. Un chiarimento insomma.

Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato tradito in quel modo.

Naturalmente le cose non erano andate come aveva sperato. Qualcuno evidentemente non era proprio riuscito a digerire certi suoi comportamenti. Certe parole, certi atteggiamenti si pagano. Alle volte, è meglio tacere e non avanzare pretese di nessun genere.

A questo pensava l'uomo, che, ancora stordito e confuso, stava lentamente riprendendo conoscenza.

Si trovava in una posizione a dir poco scomoda, imbavagliato e legato mani e piedi – "incaprettato" insomma – chiuso dentro il bagagliaio dell'auto, che, con ogni probabilità, lo stava conducendo sul luogo dove sarebbe stato ucciso.

Perché in effetti era quella la fine più probabile che gli avrebbero fatto fare. La sua speranza di dover subire soltanto un avvertimento, una lezione, per quanto dura, stava ormai svanendo del tutto.

 La testa sembrava esplodergli per il dolore.

Lo avevano colpito all'improvviso, da dietro, con un tubo di ferro, o con qualcosa di simile, circa mezz'ora prima. Era svenuto e adesso, riacquistando a fatica un barlume di lucidità, riusciva a sentire il gusto salato del suo stesso sangue, che sgorgava in un sottile rivolo dalla tempia destra, mescolato a quello del suo sudore. Stava sudando infatti, nonostante il freddo di metà dicembre, probabilmente per la consapevolezza della morte, tanto imminente quanto inevitabile.

Pensò che sarebbe stato mille volte meglio rimanere incosciente, passare dalla vita alla morte senza accorgersi di nulla.

Ma non era stato così fortunato.

Si chiese dove lo stessero portando, quale fosse il luogo scelto per la sua esecuzione. Le corde gli stavano segando i polsi e le caviglie e il bavaglio che gli avevano ficcato in gola rischiava di soffocarlo.

Stava per vomitare, quando all'improvviso l'auto rallentò e sembrò imboccare una strada in discesa, prima di arrestarsi del tutto. Sentì un rumore di sportelli che si aprivano e venne immediatamente assalito da una paura folle, che gli paralizzò il cervello. Sentì anche il ronzio del motore di un'altra vettura, che rimaneva acceso al minimo.

 Se solo avesse potuto tornare indietro, sarebbe stato tutto più semplice.

Ma indietro non si può tornare.

Il bagagliaio finalmente si aprì e lui si ritrovò nuovamente a fissare il volto spietato del suo assassino.

"Questa è la fine che fanno i pezzi di merda come te!", gli disse il killer con freddezza.

A causa del bavaglio, non gli era possibile nemmeno implorare pietà.

Tanto non sarebbe servito a nulla.

Mentre i due colpi di pistola lo raggiungevano al petto e allo stomaco, non vide affatto scorrere il film della sua vita, come si dice che accada, ma riuscì a pensare soltanto a questo: certe cose è meglio non farle. Mai. 

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