Di Redazione su Venerdì, 01 Giugno 2018
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

SC: niente truffa per il commissario che rivela prova d´esame al candidato

I giudici della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22973 del 22 maggio 2018, hanno affermato che la rivelazione del contenuto di una prova di esame da parte di un componente della commissione esaminatrice, non può configurare il reato di truffa ai danni dello Stato, ma semplicemente il reato di cui all´art. 326, comma 1 e comma 3 cod. pen. (rivelazione del contenuto di una prova d´esame), in qualità di presidente della commissione di concorso pubblico.

I Fatti
Il Tribunale di Genova, quale giudice del riesame, aveva rigettato la richiesta volta a riesaminare la misura cautelare degli arresti domiciliari a cui era stato sottoposto l´indagato in forza dell´ordinanza emessa dal GIP , in relazione ai reati di cui all´art. 326 cp e 640 cp comma 2 (truffa ai danni dello Stato).
L´indagato, in qualità di presidente della commissione di concorso pubblico al fine di consentire l´assunzione di candidato, gli aveva rivelato il contenuto di una prova d´esame. Così facendo l´indagato avrebbe alterato la procedura selettiva, facendo conseguire l´ingiusto profitto dell´assunzione a tempo indeterminato del candidato favorito con un pari danno per l´ente pubblico.

Avverso l´ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell´indagato sulla base di tre motivi con i quali veniva eccepito:
- il vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica delle condotte contestate nei termini della fattispecie di cui all´art. 326 comma 3 cod. pen;
- la violazione di legge (art. 326 comma 1 e 2 cod. pen.) dato che secondo la prospettiva accusatoria gli imputati non usarono i risultati delle prove sfruttandone il valore economico ma li rivelarono affinchè altri utilizzassero tali informazioni nell´ambito del concorso pubblico (la rivelazione del segreto non avrebbe implicato cioè lo sfruttamento dello stesso);
- la violazione di legge (art. 640 cod. pen.) atteso che nessun ingiusto profitto è stato procurato all´indagato in quanto comunque un´attività lavorativa era stata resa in favore dell´ente pubblico.


Ragioni della decisione
I primi due motivi, per le ragioni indicate in sentenza, su cui non ci soffermeremo, sono stati ritenuti infondati dai giudici di legittimità
Per quel che in questa sede ci interessa, va analizzata la decisione espressa dalla Sesta Sezione in ordine al terzo motivo che è stato invece ritenuto meritevole di accoglimento.

I giudici di legittimità hanno richiamato il principio ormai consolidato secondo cui per la configurazione del reato di truffa finalizzata all´assunzione ad un pubblico impiego, è necessaria la prova di un danno immediato ed effettivo, di contenuto economico-patrimoniale, subito dall´ ente pubblico come conseguenza della nascita del rapporto impiegatizio viziato.
Non sarebbero quindi sufficienti, per la configurazione del reato di truffa, i danni meramente virtuali ovvero di natura non immediatamente patrimoniale (Cass. sez. un. sent. n. 1 del 1999; Cass. sez. 2 sent. n. 49382 del 04/11/2016 - dep. 21/11/2016 - Rv. 268558).

Nel caso in esame – affermano i giudici della Corte -" la rivelazione e la utilizzazione di segreto di ufficio ha sì consentito indebitamente al Xxxxxxxx di ottenere il posto di lavoro messo a concorso ma non ha arrecato all´amministrazione un danno patrimoniale immediato ed effettivo a fronte di esborsi (retribuzioni, contributi previdenziali ecc.) conseguenti ad una prestazione lavorativa comunque erogata".
Per tali motivi l´ordinanza impugnata è stata annullata limitatamente al capo 2 delle
imputazioni con rinvio al Tribunale di Genova per una nuova valutazione dell´istanza cautelare.
Si allega sentenza.
Documenti allegati
Dimensione: 78,83 KB