Di Redazione su Venerdì, 05 Aprile 2019
Categoria: Mario Squinzati, avvocato all'ombra della colpa (Alberto Pezzini) - Diritto e Letteratura

L'ombra della Colpa - Resistere alla mia praticante, sirena con gambe a tre quarti

 Apro la porta mentre squilla il telefono. Il cellulare si mette a vibrare. Ci manca il citofono di sotto e poi ho fatto bingo. Non è la Salmaso.

Sono i testimoni di Geova.

- Scusate, non mi interessa -, gli sparo subito addosso, appena capisco chi siano.

- Devo andare a rispondere - Faccio per chiudere la porta.

- E' lei l'avvocato Squinzati ?

- Si, sono io.

- Abbiamo bisogno di un appuntamento.

- Scusate, scusatemi avevo capito che mi voleste parlare del vostro Credo.

- No avvocato, abbiamo bisogno di parlarle di una causa.

Li faccio accomodare, uomo e donna, vestiti come se dovessero vendere un appartamento per conto della Tecnocasa. Naturalmente in quel momento scatta la segreteria telefonica ed io maledico Agata, il fatto che non ci sia mai quando mi serva e la figura barbina che sento già in agguato.

- Squinzati, cosa vogliamo fare noi due, eehh ?

E' Bianchetti.

Ho una segreteria telefonica vecchia, come tutto questo studio, maledizione. Quando scatta il messaggio e sta registrando, non so più come fermarla. I due testimoni di Geova sono seduti e mi fissano ascoltando anche loro un monologo che sembra surreale ma suona agghiacciante alle mie orecchie. Maledetto pazzo.

- Non hai ancora capito che non fai un cazzo, Squinzati. Adesso devi finirla con questa storia, brutto coglione. La patente me la devi ridare. Altrimenti quei 2.500 euro che mi hai chiesto vedrai dove te li metto. Lo sai dove te li metto?

La voce di Bianchetti si perde nell'etere. Lo spazio per la registrazione è finito. No time no party. Sono sudato fradicio, imbarazzato come se mi avessero colto sul ciglio della strada a braghe calate.I due mi fissano con uno sguardo tra l'indagatore e lo stupefatto. Vedo le loro pupille come dietro il vetro di un acquario. Sono due palle fisse, enormi. Gli occhi di un animale impagliato, un pesce palla. Non sanno manco loro che fare. In quel momento entra Agata spalancando la porta.

- Mario, c'è il Giudice Salmaso in sala d'aspetto. Oh, scusate, non pensavo stessi ricevendo.

- Puoi fissare tu un appuntamento a questi signori per piacere ?

Riesco a traghettarli nell'altra stanza senza altri danni collaterali, dopo la telefonata minatoria e scatologica del prode Bianchetti. Mi stringono la mano senza guardarmi in faccia.

- Dopo facciamo i conti -, sibilo ad Agata facendole un sorriso tirato come una saracinesca la sera del sabato.

Lei sorridea mo' di sirena che sbuca dall'oceano, in totale leggerezza. La vita le sta bene addosso come il vestito che le lascia scoperte le gambe a tre quarti. Chiudo la porta e vado dalla Salmaso. Quando la vedo, seduta sulla poltrona a fumarsi una sigaretta sottile come un giunco d'acqua, mi sembra un'altra persona, una donna venuta da Marte, con un viso che non le avevo mai visto prima.

Una rivoluzione deve averla attraversata.

 - Buongiorno Mario.

- Buongiorno Dottoressa. Vedo che sta meglio, molto meglio.

- Diciamo che hai fatto un ottimo lavoro ed io lo sto apprezzando.

Siamo passati di nuovo al tu ?

- Il Pubblico Ministero ha battuto in ritirata. I suoi elementi a favore erano scarsi.

- Vuol dire a carico, Mario.

Forse il tu, quel tu le era scivolato via dalle mani.

- Certo, mi scusi. Intendevo quello. Non cantiamo vittoria troppo presto, però. Arriverà il processo e ci dovremodifendere da tutta questa materia immonda. Ha letto che la telefonata è rimasta intatta, invece ? Il Riesame non l'ha spaccata in due come il resto degli elementi a carico. Dico bene ?

Se devo essere sincero, non so chi sia questa donna nel mio studio. E' un'altra persona rispetto al Giudice che ho conosciuto in tanti anni di lavoro insieme. Ha un aspetto innaturale, che non appartiene alla mia idea della Salmaso. Non ho più voglia di venire bacchettato se sbaglio un vocabolo. I concetti li ho sempre chiari in testa, come pedoni d'ambra su una scacchiera.

Con tutto il lavoro che ho fatto – nelle mie condizioni attuali – non tollero più che qualcuno, anche se è un Giudice, mi venga a guardare i puntini sulle i. Forse sono troppo stanco in questo periodo.

- Come va il suo processo Mario ? Ho sentito che forse sarà celebrato molto prima del mio.

- Sto aspettando il decreto di citazione.Non dovrebbe mancare molto.

- Tenga duro.

Si alza, mi stringe la mano e dice che ci sentiamo presto.Estrae dalla borsetta un assegno e me lo porge.

- Questo è per lei. Non mi serve fattura. Non è intestato.

Prima che possa dirle che non sono solito evadere il fisco, è già uscita. Mi ha risparmiato la scenetta anti evasione che di solito propino alla gente cercando di darmi un tono di serietà. Se non ci fosse il nero, sarei già andato a chiedere l'elemosina sotto le arcate del porto vecchio. Quelle da dove le onde arrivano dritte dritte sul cuore.Mi tengo l'assegno, anche perché in un periodo di vacche magre come questo è acqua di fonte nel deserto. Mi ha risparmiato il fastidio di doverglieli chiedere. La sindrome del buon samaritano è una seconda pelle per gli avvocati. Non è mai il momento giusto per domandare di essere pagati. Dopo vent'anni di mestiere non ho ancora capito quale sia, questo momento.Le persone stanno davanti a te. Le puoi vedere deglutire.Ne senti l'angoscia. Gliela vedi sulla pelle come l'erisipola. Li senti disperati. In quei momenti devi chiedere di essere pagato. Come il becchino di un servizio funebre. Dopo che gli avrai risolto il problema, i loro affanni saranno volati via,però, con i tuoi soldi. L'immagine di quelle persone ansanti, sedute o mezzo coricate sulle sedie del tuo ufficio, diventerà un ricordo.Per loro il tuo numero di telefono sbiadirà nella memoria. E' cinismo ? No, è realtà. Eppure, sono ancora trattenuto, a volte, ma so già che quella mia esitazione verrà fatalmente punita. Quindi, metto su una faccia da culo pietroso e chiedo. Un mio collega, che non è uno stinco di santo ma in questo ha ragione, diceva che i soldi escono dalle sbarre dietro cui sono rinchiusi i clienti. Quando il sole non lo vedono più a scacchi, partono per la tangente con la mossa del cavallo. Diventano sapienti i clienti quando devono scappare zizgagando. Agata rientra alla carica, e sfoggia un sorriso sfolgorante.Ha in mano un assegno, che sventola come se si trovasse sulla tolda di una nave, con il vento in faccia ed il sole negli occhi.

- I ragazzi, di là, non solo hanno fissato un appuntamento con te ma hanno già versato l'acconto.

- Accidenti. Cos'è, la prima vendemmia d'autunno ?

- Eh?

- Anche la Salmaso mi ha pagato. Ma non sono rimasti impressionati dalla telefonata di Bianchetti ? Quel bastardo la deve finire.

- Macchè. Mi hanno detto che si parla molto bene di te nel Tempio.

- Che tempio ?

- Quello dei Testimoni di Geova, no ?

- Ma chi li conosce ? Non ho mai frequentato una chiesa e figurati la loro.

- Comunque, questo è l'assegno.

Me lo fa scivolare lentamente sulla scrivania. Lo guardo e non riesco a trattenere un sorriso che mi deve spianare anche le arcate sopraccigliari. Quattromila euro.

- Ma cavolo, ma si può sapere di cosa si tratta ?

- Niente di chè. Una violenza sessuale.

E se ne va lasciandomi come un idiota ai margini della savana, con un leone che avanza tra i cespugli, e il mio bell'assegnetto in mano.

- Dove vai ? Quando vengono questi signori ?

- Vengono la prossima settimana, martedì. Non hai appuntamenti. Vado col mio fidanzato. Ciao ciao.

Quale fidanzato, vorrei urlare, chi, chi ? Ma perché la mia vita deve sempre andare storta per almeno un verso ? Se ne va con la stessa levità con cui è entrata, lasciandomi una ferita rosso sangue a rigarmi il cuore. Spero di non aver fatto trasparire nulla dal mio viso ma ho l'impressione che sia difficile mascherare la delusione. Metto insieme i due assegni e me ne vado a versarli in banca.

Almeno soffrirò con il portafoglio pieno.

 Sono passato da casa. Ci trovo Ottavio. Gli pago il mese e gli verso qualcosa in più. E' felice anche lui. Mario è sempre Mario quando può.

- Hai dormito ? Non manca di apostrofarmi appena entro.

- Si, ma ho sognato per l'ennesima volta di rifare l'esame da procuratore legale.

E' uno dei miei incubi ricorrenti. Stavolta mi ricordolucidamente tutti i passaggi. Perfino la pagina su cui scrivevo a caratteri molto chiari e grandi per apparire più comprensibile. Quando mi risveglio, il cuore mi si solleva sempre, come una mongolfiera.

- Mario, ti devo parlare un momento. E si siede davanti a me.

- Che succede ?

- Agata dice che sei sempre nervoso, e stanco, che hai mille preoccupazioni.

- Agata non sa nulla della mia vita vera, Ottavio. Lavora per me e basta. E' una ragazza.

- Agata è innamorata, Mario.

Appunto. Ma non di me. Quindi, non so di cosa stiamo parlando. Mi guarda come se avesse ingoiato un pezzo di pongo. E tace. Comincia a rassettare. Vado sul terrazzo a sgranchirmi un poco gli occhi, oltre alle gambe. Anzi, mi cambio proprio e me ne vado a camminare sulle colline. Saluto Ottavio e prendo la via del sole, quella dove mare e cielo si fondono per diventare una sola carne. Cammino per un'ora buona. La mia respirazione è accettabile, come avrebbe detto Il Gladiatore. Non sono magro e famelico ma va bene lo stesso. Torno più felice, almeno mi sentomeglio. Il mio tutore è andato via ma ha lasciato sul tavolo un'insalata di pomodori con la cipollina ed il trito del lesso. C'è pure una foglia di basilico e l'olio deve essere il suo. Faccio una doccia veloce e mi metto a sedere. Accendo la televisione e guardo qualche partita. Le mie visioni televisive sono spezzettate. Come la mia vita. Mangio di gusto, e poi crollo sul divano dieci minuti. Squilla il telefono e la magniloquente realtà si fa di nuovo strada nel mio cervello come una scarica elettrica a 800 volts.

Ah, foss'io coi miei pastori.

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