Alessandro aveva sempre pensato che la domenica mattina Roma dimostrasse di essere una città ancor più bella di quanto di solito già non fosse. Poca gente per le strade e un traffico, prima delle dieci, non così intenso come durante gli altri giorni. Anche qualche bicicletta, retaggio di un passato ormai lontano, quando si poteva pedalare con sufficiente calma tutti i giorni, senza soffocare nello smog e senza distruggersi irrimediabilmente i polmoni.
Purtroppo, era consapevole del fatto che si trattasse solo di un'illusione passeggera e che bastasse aspettare un paio d'ore per tornare nella normalità d'una capitale tanto bella quanto caotica e convulsa.
Alessandro, tuttavia, stava assaporando fino in fondo quella sensazione di pace e tranquillità che Roma a quell'ora regalava ai pochi fortunati in giro per le strade. Stava gustandosi appieno il ritrovato contatto con la sua città, con la sua gente.
Una metropoli sporca e disordinata, ma bella in un modo impressionante, quasi incredibile, con i suoi palazzi, le sue strade, i suoi infiniti monumenti, che a ogni angolo, con qualsiasi tempo e in ogni momento del giorno, sembravano volerti ricordare che tutti noi siamo soltanto di passaggio in questo mondo, mentre lei, la Città Eterna, è lì da sempre, viva, paziente, disincantata, disposta ogni volta a sorprenderti.
Se ci si abitava, pensava Alessandro, non sempre era facile rendersene conto. Si correva il rischio di farci l'abitudine. Era solo quando ci si ritornava dopo un po' di tempo, o quando la si vedeva per la prima volta, che ci si accorgeva che Roma era e sarebbe rimasta sempre unica.
Con ogni probabilità, già il giorno dopo Gordiani si sarebbe scoperto a rimpiangere l'aria pulita e la silenziosa serenità di Fortedoria, tuttavia in quel momento sembrava prevalere in lui una strana e indefinibile sensazione da figliol prodigo, da chi insomma ha ripreso possesso di ciò che gli appartiene e che pensava d'aver perduto.
Il tassista impiegò meno di mezz'ora per portarlo a destinazione sotto casa della madre, nel quartiere Prati.
Dopo essere rimasta vedova, quasi quindici anni prima, la madre aveva venduto la casa di corso Trieste, ormai diventata troppo grande e troppo vuota, ed era tornata ad abitare in quel quartiere, che era quello della sua infanzia e della sua adolescenza. Con il ricavato della vendita dell'appartamento di corso Trieste ne aveva acquistato uno molto più piccolo nei pressi di viale Giulio Cesare e aveva distribuito il resto dei soldi tra i due figli. Era stato un gesto molto coraggioso da parte sua, perché dentro di lei sapeva, o comunque immaginava, che i figli avrebbero utilizzato quella somma per acquistare una casa dove andare a vivere, con il rischio per lei di rimanere sola.
Gordiani pagò il tassista, lasciandogli una mancia poco più che simbolica, e suonò al citofono. Ebbe quasi subito risposta il che, vista la lentezza della madre, stava evidentemente a significare che era sveglia già da molto tempo, sempre ammesso che fosse riuscita a dormire dopo il presumibile shock che lui doveva averle causato con la telefonata del giorno precedente.
L'apertura del portone fu un po' più complessa e laboriosa, dato che lei non aveva mai imparato quale fosse il pulsante giusto da spingere tra i quattro che c'erano sul citofono per aprire la porta dell'androne. Per evitare errori li spingeva tutti, prima contemporaneamente e poi singolarmente, uno dopo l'altro, continuando a ripetere nella cornetta: "Aperto?"
Gordiani si era rassegnato ad attendere ogni volta che si completasse quel rito e si augurava soltanto di non trovarsi mai a doverle citofonare nel cuore della notte, inseguito da qualche malintenzionato. Si salutarono in modo del tutto naturale, come se si fossero visti il giorno prima. È difficile spezzare il legame che c'è tra una madre e il suo bambino – perché per una madre il figlio rimarrà sempre un bambino, anche a cinquant'anni – e il più delle volte non ci vuole niente a riannodare un filo reciso, a riprendere un discorso lasciato interrotto a metà.
Madre e figlio si riconoscono dall'odore. Tuttavia, l'odore che Alessandro sentiva in quel momento e che gli stimolò automaticamente le ghiandole salivari, nemmeno fosse il cane di Pavlov, era quello di cornetti caldi.