Di Redazione su Sabato, 08 Dicembre 2018
Categoria: Mi chiamo Alessandro Gordiani e faccio l'avvocato (Michele Navarra) - Diritto e Letteratura

Roma, metropoli sporca e disordinata, ma bella in un modo impressionante

 Alessandro aveva sempre pensato che la domenica mattina Roma dimostrasse di essere una città ancor più bella di quanto di solito già non fosse. Poca gente per le strade e un traffico, prima delle dieci, non così intenso come durante gli altri giorni. Anche qualche bicicletta, retaggio di un passato ormai lontano, quando si poteva pedalare con sufficiente calma tutti i giorni, senza soffocare nello smog e senza distruggersi irrimediabilmen­te i polmoni.

Purtroppo, era consapevole del fatto che si trattasse solo di un'illusione passeggera e che bastasse aspettare un paio d'ore per tornare nella normalità d'una capitale tanto bella quanto caotica e convulsa.

Alessandro, tuttavia, stava assaporando fino in fondo quella sensazione di pace e tranquillità che Roma a quell'ora regalava ai pochi fortunati in giro per le strade. Stava gustandosi appieno il ritrovato contatto con la sua città, con la sua gente.

Una metropoli sporca e disordinata, ma bella in un modo impressionante, quasi incredibile, con i suoi palazzi, le sue strade, i suoi infiniti monumenti, che a ogni angolo, con qualsiasi tempo e in ogni momento del giorno, sembravano volerti ricor­dare che tutti noi siamo soltanto di passaggio in questo mondo, mentre lei, la Città Eterna, è lì da sempre, viva, paziente, disin­cantata, disposta ogni volta a sorprenderti.

Se ci si abitava, pensava Alessandro, non sempre era facile rendersene conto. Si correva il rischio di farci l'abitudine. Era solo quando ci si ritornava dopo un po' di tempo, o quando la si vedeva per la prima volta, che ci si accorgeva che Roma era e sarebbe rimasta sempre unica.

Con ogni probabilità, già il giorno dopo Gordiani si sarebbe scoperto a rimpiangere l'aria pulita e la silenziosa serenità di For­tedoria, tuttavia in quel momento sembrava prevalere in lui una strana e indefinibile sensazione da figliol prodigo, da chi insom­ma ha ripreso possesso di ciò che gli appartiene e che pensava d'aver perduto.

 Il tassista impiegò meno di mezz'ora per portarlo a destina­zione sotto casa della madre, nel quartiere Prati.

Dopo essere rimasta vedova, quasi quindici anni prima, la madre aveva venduto la casa di corso Trieste, ormai diventata troppo grande e troppo vuota, ed era tornata ad abitare in quel quartiere, che era quello della sua infanzia e della sua adolescen­za. Con il ricavato della vendita dell'appartamento di corso Trie­ste ne aveva acquistato uno molto più piccolo nei pressi di viale Giulio Cesare e aveva distribuito il resto dei soldi tra i due figli. Era stato un gesto molto coraggioso da parte sua, perché den­tro di lei sapeva, o comunque immaginava, che i figli avrebbero utilizzato quella somma per acquistare una casa dove andare a vivere, con il rischio per lei di rimanere sola.

Gordiani pagò il tassista, lasciandogli una mancia poco più che simbolica, e suonò al citofono. Ebbe quasi subito risposta il che, vista la lentezza della madre, stava evidentemente a signi­ficare che era sveglia già da molto tempo, sempre ammesso che fosse riuscita a dormire dopo il presumibile shock che lui doveva averle causato con la telefonata del giorno precedente.

L'apertura del portone fu un po' più complessa e laboriosa, dato che lei non aveva mai imparato quale fosse il pulsante giusto da spingere tra i quattro che c'erano sul citofono per aprire la porta dell'androne. Per evitare errori li spingeva tutti, prima con­temporaneamente e poi singolarmente, uno dopo l'altro, conti­nuando a ripetere nella cornetta: "Aperto?"

 Gordiani si era rassegnato ad attendere ogni volta che si com­pletasse quel rito e si augurava soltanto di non trovarsi mai a doverle citofonare nel cuore della notte, inseguito da qualche malintenzionato. Si salutarono in modo del tutto naturale, come se si fossero visti il giorno prima. È difficile spezzare il legame che c'è tra una madre e il suo bambino – perché per una madre il figlio rimarrà sempre un bambino, anche a cinquant'anni – e il più delle volte non ci vuole niente a riannodare un filo reciso, a riprendere un discorso lasciato interrotto a metà.

Madre e figlio si riconoscono dall'odore. Tuttavia, l'odore che Alessandro sentiva in quel momento e che gli stimolò automati­camente le ghiandole salivari, nemmeno fosse il cane di Pavlov, era quello di cornetti caldi.

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