Le norme deontologiche non possono essere ignorate dall'avvocato dal momento che tali norme «hanno valore ricognitivo del comune sentire della classe forense e, quindi, di condotte già ampiamente consolidate, per prassi generale, nell'ambito dell'esercizio professionale». L'ignoranza non è giustificabile neanche quando la norma deontologica ha carattere innovativo e sia trascorso un certo periodo dalla sua introduzione (CNF, n. 387/2016). Ne consegue che l'avvocato non può ignorare la norma deontologica che gli vieta di testimoniare su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale e a essa inerenti. La violazione di tale divieto costituisce illecito deontologico, punibile con la sanzione della censura [1].
Qual è la ratio del divieto di testimonianza dell'avvocato?
«L'obbligo per l'avvocato di astenersi, per quanto possibile, dal deporre come testimone su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale e inerenti al mandato ricevuto [...] si fonda sulla necessità di garantire che, attraverso la testimonianza, il difensore non venga meno ai canoni di riservatezza, lealtà e probità cui è tenuto nell'attività di difesa, rendendo pubblici fatti e circostanze apprese a causa della sua funzione e coperte dal segreto professionale» (CNF, n.172/2013).
L'obbligo di astenersi dal testimoniare dell'avvocato nella prassi
Si ritiene che:
- è rilevante dal punto di vista deontologico il comportamento di quell'avvocato che, ledendo il dovere di riservatezza cui ciascun professionista è tenuto, «fa partecipare al colloquio con il proprio cliente un estraneo al fine di predisporre una testimonianza sul contenuto del colloquio stesso» (CNF, 143/2010);
- «costituisce illecito disciplinare la condotta dell'avvocato che, avendo deciso di rendere dichiarazioni su circostanze di fatto ed elementi di difesa da considerarsi coperti dal dovere di segretezza, assuma la veste di testimone nel giudizio civile i cui fatti siano ad esso noti senza previa rinuncia al mandato difensivo [...] così confondendo un ruolo soggettivo di difesa con una funzione oggettiva di testimonianza» (CNF, n. 143/2010);
- Il segreto professionale costituisce al tempo stesso oggetto di un dovere giuridico e diritto del cittadino-cliente «a che il professionista si attenga al segreto professionale e non sveli notizie apprese nel corso del mandato professionale». Proprio detto diritto attiene a quello fondamentale del diritto di difesa. Senza il segreto professionale, il diritto di difesa ne risulterebbe indebitamente e gravemente diminuito. Ciò detto, nel caso di un avvocato di un cliente defunto, sotto il profilo deontologico, è ammissibile la testimonianza del professionista in una controversia promossa da un erede che si assume pretermesso, relativamente alla volontà e agli atti posti in essere dal de cuius. In tali casi «la testimonianza ha ad oggetto non elementi di fatto, obiettivamente apprezzabili, ma elementi soggettivi, relativi alle intenzioni e/o alla volontà manifestate dall'assistito, anche se, sotto il profilo processuale, forte è il rischio della inammissibilità di una testimonianza implicante un giudizio.
- la facoltà d'astensione dei testimoni di cui all'art 249 c.p.c. si estende anche all'avvocato, dato il richiamo che questa norma fa all'art. 200 del c.p.p., relativo al segreto professionale e quindi alla facoltà di astensione in capo a tutti coloro che hanno conosciuto determinati fatti in ragione della propria professione. Ne consegue che l'avvocato è escluso dall'obbligo di testimoniare sulle proposte transattive trasmesse dal difensore della controparte; «né su tale doveroso esercizio della facoltà di astensione può incidere la volontà della parte assistita, trattandosi di regole stabilite nell'interesse generale al corretto esercizio della professione d'avvocato, e quindi di interessi estranei al legittimo suo potere di disposizione» (CNF, parere n. 61 del 2001).
Parimenti potrebbe considerarsi ammissibile sotto il profilo deontologico (ma con la medesima rischiosa conseguenza in ordine alla inammissibilità processuale) la deposizione dell'avvocato avente ad oggetto la propria soggettiva opinione circa la volontà dell'ex cliente, in quanto così facendo l'avvocato svelerebbe non un dato oggettivo del cliente o ex cliente, bensì un dato soggettivo relativo a se stesso» (CNF, parere n. 9 del 2007).
[1] Art. 51 Codice deontologico forense:
«1. L'avvocato deve astenersi, salvo casi eccezionali, dal deporre, come persona informata sui fatti o come testimone, su circostanze apprese nell'esercizio della propria attività professionale e ad essa inerenti. pagina 24 di 34 2. L'avvocato deve comunque astenersi dal deporre sul contenuto di quanto appreso nel corso di colloqui riservati con colleghi nonché sul contenuto della corrispondenza riservata intercorsa con questi ultimi. 3. Qualora l'avvocato intenda presentarsi come testimone o persona informata sui fatti non deve assumere il mandato e, se lo ha assunto, deve rinunciarvi e non può riassumerlo. 4. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura».