L'avvocato è personalmente responsabile per condotte, determinate da suo incarico, ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità [1] (CNF, sentenza n. 184/2017). In virtù di tale responsabilità, pertanto, è stato ritenuto sanzionabile sotto il profilo deontologico l'avvocato che non ha verificato l'operato del suo collaboratore che:
- ha inviato una missiva direttamente alla controparte assistita da legale, in ipotesi estranee a quelle consentite (art. 41 codice deontologico forense) (CNF, sentenza n. 49/2017). In buona sostanza, quando, l'invio di una missiva alla controparte personalmente, nonostante questa sia assistita da un legale, non è giustificato a evitare prescrizioni o decadenze, a intimare costituzioni in mora, a richiedere specifici adempimenti (ipotesi tutte nelle quali sarebbe lecito indirizzare la missiva direttamente alla parte e solo per conoscenza al collega), la missiva va indirizzata esclusivamente nei confronti dell'avvocato della controparte. E ciò in considerazione del fatto che i) un legale deve agire, sì, nell'interesse del proprio assistito, ma deve sempre filtrare le comunicazioni nell'interesse di quest'ultimo, alla luce delle proprie conoscenze tecniche, secondo il contesto fattuale, la natura e la peculiarità della pratica; ii) su un avvocato incombe il dovere di colleganza, che cede sempre al dovere di difesa e mira proprio a consentire che le vertenze vengano trattate con la doverosa terzietà e tecnicità nell'esclusivo interesse del cliente. Per tal verso al difensore è fatto divieto di "mettersi in contatto diretto con la controparte che sappia assistita da un altro collega".
Ove tale divieto non venga rispettato, l'avvocato sarà sanzionabile sotto il profilo deontologico anche se l'attività illecita sia stata posta in essere da un suo collaboratore. In quest'ipotesi, infatti, ciò che rileva è la responsabilità del professionista per l'omesso controllo dell'operato del collega incaricato, componente dello studio. In pratica, in questo caso, si tratta di una responsabilità per colpa in eligendo e vigilando atteso che con il conferimento del mandato, sia disciplinarmente che civilisticamente, per gli atti di associati, collaboratori e sostituti, il legale è responsabile personalmente per doveri che fanno carico a colui al quale il mandato è stato conferito (e che lo ha accettato). L'addebitabilità a chi si avvale di terzi per svolgere l'incarico si giustifica quale effetto dell'obbligo di controllare il comportamento altrui avuto riferimento, a fini dell'illecito, non alla produzione di uno specifico effetto negativo quanto piuttosto a tutte le modalità di svolgimento dell'attività (C.N.F. Sentenze nn. 84/2010, 17/2014, richiamate da CNF, sentenza n. 49/2017). L'imputabilità al professionista ai fini dell'addebito disciplinare non necessita di cosiddetto dolo specifico e/o generico, essendo sufficiente la volontarietà con cui l'atto è stato compiuto ovvero omesso. L'omesso controllo costituisce infatti piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che, qualora porti a effetti diversi da quelli voluti, li farebbe ricadere sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e si sia, invece astenuto (CNF, sentenza n. 156/2013, richiamate da CNF, sentenza n. 49/2017);
- ha predisposto una parcella consapevolmente sottoscritta dal dominus, riportante il calcolo di un compenso manifestatamente sproporzionato e ingiustificato in relazione alla qualità e alla quantità dell'attività in concreto svolta. Un compenso, questo, così determinato richiesto, poi, al cliente. La pretesa di un corrispettivo sproporzionato da parte dell'avvocato costituisce un comportamento deontologicamente rilevante. Ai fini della esclusione della responsabilità in questione non assume rilievo il fatto che la parcella sottoscritta dal professionista sia stata predisposta da un collaboratore di studio. E ciò in considerazione del fatto che la consapevolezza della condotta illecita è provata dalla firma posta in calce alla stessa, oltre che dalla responsabilità e dal conseguente obbligo di controllo che assume l'avvocato nei confronti dell'operato dei suoi collaboratori. Infatti, l'attività di quantificazione del compenso correttamente "commisurato alla quantità e complessità delle prestazioni" non può che avere come punto di partenza l'attività valutativa propria del soggetto che è titolare o comunque esecutore delle prestazioni professionali (CNF, sentenza n. 44/2016).
Note
[1] Art. 7 – Responsabilità disciplinare per atti di associati, collaboratori e sostituti – Codice deontologico forense:
"L'avvocato è personalmente responsabile per condotte, determinate da suo incarico, ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità ".