Di Carmela Patrizia Spadaro su Venerdì, 24 Marzo 2023
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

L'amministratore di fatto risponde delle sanzioni irrogate ad una società fittizia?

Riferimenti normativi: Art.37 D.P.R.n.600/73 – Art. 7 D.L. n. 269/2003

Focus: È regola generale che le persone giuridiche rispondono delle sanzioni tributarie loro irrogate. Tale regola vale anche per le società di capitali fittizie in cui l'amministratore di fatto, agendo nel proprio interesse e non nell'interesse della società, abbia conseguito proventi derivanti dall'attività illecita? Sul tema si è pronunciata la Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 1358 del 17 gennaio 2023.

Il caso: Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte la controversia è stata instaurata dal contribuente a seguito di un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società s.r.l., di cui lo stesso era amministratore di fatto, per IRPEG, IRAP ed IVA, anno 2001, oltre a sanzioni. L'accertamento, infatti, era stato notificato oltre che alla società anche al contribuente, nella sua qualità di amministratore di fatto e autore materiale delle violazioni contestate alla società ritenuta alla stregua di una mera "cartiera". Il ricorso era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale la quale aveva accertato che la società era stata utilizzata dal contribuente per porre in essere una frode attraverso l'acquisto di autovetture in Germania e loro successiva rivendita e per omesso versamento IVA, beneficiando in tal modo dei proventi derivanti dall'attività illecita.

Il contribuente dopo aver impugnato la sentenza di primo grado dinanzi alla Commissione tributaria regionale, che aveva respinto l'appello, ha proposto ricorso per cassazione eccependo che all'amministratore di fatto di una società di capitali non possono essere imputate sia le attività e le imposte sia le sanzioni per le attività illecite ed evasive poste in essere dalla società. La Corte di Cassazione ha esaminato i fatti evidenziando che la giurisprudenza di legittimità si era precedentemente espressa con riferimento all'applicazione delle sanzioni all'amministratore di fatto. In particolare, secondo la giurisprudenza, nel caso in cui quest'ultimo ha agito nel proprio esclusivo interesse, utilizzando la società quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio, non si applica l'art.7 del D.L.n.269/2003 che sanziona la sola società con personalità giuridica. La norma, infatti, stabilisce al primo comma, che "le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridicasono esclusivamente a carico della persona giuridica." La Suprema Corte, nel caso di specie, ha precisato che la regola generale, secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica che ha commesso l'illecito, non riguarda solamente il profilo sanzionatorio ma anche i redditi percepiti dall'autore dell'illecito. Si presume, in buona sostanza, che l'amministratore di fatto di una "cartiera" abbia direttamente incassato, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, i proventi dell'attività illecita addebitabile alla società.

Tale presunzione deve essere supportata, ai fini dell'accertamento, dalla verifica da parte dell'Amministrazione finanziaria che sussistano le condizioni per imputare i redditi maturati dalla società e le relative imposte ad un soggetto diverso. L'art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 dispone, infatti, che: "In sede di rettifica o di accertamento d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona". A tal fine è sufficiente che l'Amministrazione finanziaria provi che il soggetto terzo, nascondendo la propria identità di contribuente attraverso il ricorso a interposizioni negoziali in grado di attribuire a terzi il possesso del reddito, sia l'effettivo possessore dei redditi. A fronte della prova fornita dall'Amministrazione, anche in via presuntiva, dell'interposizione, incombe sul contribuente l'onere della prova contraria dell'interposizione o della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto. Se l'interposto è una società di capitali, come nella fattispecie, la traslazione riguarda il reddito d'impresa nel suo complesso prodotto dal contribuente interposto e assume un particolare rilievo la figura dell'amministratore di fatto del soggetto imprenditoriale formalmente titolare del reddito. La posizione dell'interponente non può limitarsi, in tal caso, a quella di mero gestore dell'ente collettivo, ma è indispensabile che il soggetto disponga uti dominus delle risorse del soggetto interposto. La Corte di Cassazione ha sottolineato che "il contribuente è l'effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società come se fossero stati da lui prodotti, sicché assume rilievo il suo rapporto fiscale, con le correlate sanzioni per gli inadempimenti e le violazioni che lo caratterizzano, e non quello della società." Pertanto, alla luce dei principi sopra richiamati il ricorso proposto dal contribuente è stato integralmente rigettato.

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