Proponiamo un post che in queste ore su Facebook sta accumulando migliaia e migliaia di like e di condivisioni. Ed ecco la premessa. Stupro o no in quell'ascensore della Circumvesuviana? Tiene banco, in questi giorni, la decisione del Riesame, che ha deciso la liberazione anche dell'ultimo dei tre giovani che, in un primo tempo, erano stati condotti in carcere quali responsabili di quello stupro presunto. Abbiamo dedicato tanto spazio a questa vicenda, dalla lettera della ragazza che riproponiamo anche in questo post, agli accadimenti successivi, fino ad alcune indiscrezioni secondo le quali già la prossima settimana i pubblici ministeri proporranno appello contro la decisione, quella del Tribunale del riesame, che da molti è ritenuta errata, illogica e contraddittoria.
Ma intanto, nella stampa e nei social, il dibattito continua. Tra i tanti emerge un post che è stato scritto da una cittadino comune, non un avvocato, non un giurista. Un cittadino comune. Un post, però, che dà fiato all'individuazione di tanti e poi delle domande. Distinguendo tra accertamento giurisdizionale e rispetto di una verità più profonda, quella che fa capo alla coscienza interiore, al modo di comportarsi dell'essere umano. Parliamo tanto di diritto ma, a volte, può essere dato spazio ad una riflessione come questa. Ciascuno potrà pensarla liberamente come ritiene. Laicamente. In un terreno come questo non esiste alcuna verità precostituita. Ma parlarne è importante, per rimanere umani. Ecco il post e, a seguire, la lettera della ragazza subito dopo l'episodio.
"Tre diversi tribunali del riesame hanno convenuto che la ragazza della Circumvesuviana non sia stata violentata. Sembra che i filmati dimostrino una consensualità tra lei e i tre ragazzi, tale da escludere l'idea di violenza. Inoltre, la ragazza soffre di disturbi importanti della personalità oltre che di anoressia, quindi si ipotizza che abbia inventato tutto.
Eppure la visita medica e l'esame psicologico fatto su di lei confermano che il rapporto non era consenziente.
Non saremo noi a decidere se tecnicamente fu stupro o meno, non ci sostituiremo a giudici e giuria, ma un pensiero personale possiamo pur averlo.
E il mio è che i tre sono degli stupratori, degli avvoltoi necrofagi che si sono nutriti delle spoglie di un animale ferito e indifeso. Lo hanno braccato, inseguito, circondato e azzannato.
Non importa se alla fine lei non ha opposto resistenza, non importa se sembrava tranquilla nel mentre. Importa che in tre, nella orribile meccanica del branco e nello squallore di uno sporco ascensore di una sporca stazione hanno usato un essere umano ferito come "contenitore dello sfizio" di un momento.
Stricto iure non saranno dei violentatori, e ora sono felicemente tornati a casetta loro accolti da papà e mammà come povere vittime di una pazza; festeggeranno con gli amici la ritrovata libertà, e la ragazza sarà additata come una puttana disturbata che "ha fatto passare un guaio" a tre ragazzi innocenti.
Ma non siete innocenti! Se foste stati Degni non avreste passato alcun guaio, se foste stati Umani non sareste finiti in galera, se foste stati Etici non avreste approfittato della debolezza, se foste stati Normali avreste avuto una ragazza vostra da amare e non un corpo da abusare in tre.
Personalmente vi rimetterei in galera, perché in ogni modo lo stupro di un altro essere umano lo avete consumato, il danno ulteriore e forse definitivo lo avete apportato.
Fatemi una cortesia, dite a papà e mammà che tanto contenti sono ora, che hanno fallito il loro compito più importante della vita: farvi crescere da Uomini". (Bruno Ricci)
Ed ecco adesso la lettera aperta della ragazza subito dopo l'accaduto:
"Bastano pochi minuti e ritorno col pensiero. Erano attimi di incapacità a reagire di fronte la brutalità e la supremazia di tre corpi. Erano attimi in cui la mente sembrava come incapace di comprendere, di totale perdizione dell'essere. E dopo che il corpo era diventato scarto e oggetto, ho provato una sorta di distacco da esso. Il mio corpo, sede della mia anima, così sporco. Mi sembrava di essere avvolta dalla nebbia mentre mi trascinavo su quella panchina dopo quelli che saranno stati 7 o 8 minuti. Mi sono seduta e non l'ho avvertito più. Ho cominciato ad odiarlo e poi a provare una profonda compassione per il mio essere.
Compassione che ancora oggi mi accompagna, unita ad una sensazione di rabbia impotente, unita al rammarico, allo sdegno, allo sporco, al rifiuto e poi all'accettazione di un corpo che fatico a riconoscere perché calpestato nella sua purezza. Il futuro diviene una sorta di clessidra. Consumato il corpo e la mente dal tempo odierno ricerca una vita semplice. Mi piacerebbe essere a capo di un'associazione che si occupa della prevenzione, della tutela e della salvaguardia delle donne, ragazze, bambine a rischio, perché donare se stessi e il proprio vissuto per gli altri è l'unico modo per accettarlo".