Sebbene eseguito a regola d´arte e non determinativo di un deterioramento delle condizioni patologiche del paziente, se l´intervento chirurgico è inutile, è da risarcire il danno che ne è derivato alla persona, per essersi sottoposta alle fasi preparatorie, di esecuzione e postoperatorie dell´intervento, nonché per la percezione di inutilità dello stesso.
Questo l´orientamento in tema di responsabilità sanitaria, della III sezione Civile della Cassazione, sentenza n. 12597 depositata il 19 Maggio.
Una donna subiva un intervento chirurgico di stabilizzazione della spalla, la cui menomazione clinica funzionale risultava più grave rispetto allo stato antecedente l´intervento. Presentava pertanto, al Tribunale di Napoli prima e alla Corte d´Appello dopo, domanda per la condanna al risarcimento danni della Casa di Cura.
A seguito di tale iter, che vedeva soccombente la donna in entrambe le sedi, la stessa presentava ricorso in Cassazione, lamentando sia il mancato riconoscimento del danno da inesatto adempimento, sia l´esclusione del cosiddetto "danno da chance", dalla classificazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali, attuati da entrambe le Corti, il cui orientamento sarebbe stato ribaltato dai supremi giudici.
L´intervento chirurgico, infatti, altro non è che la prestazione di cura con finalità palliative, terapeutiche, riabilitative, poste in essere nell´ osservanza delle norme che regolano l´arte esercitata, vale a dire quella medica.
Perché un intervento possa considerarsi esattamente adempiuto, non è sufficiente il dato che sia stato eseguito correttamente e che non ci siano state complicanze delle condizioni del paziente, essendo necessario qualcosa che nel caso di specie è mancato : le condizioni di preparazione indispensabili per il buon esito dell´intervento, e la prescrizione della terapia riabilitativa. Tali omissioni, nella vicenda di cui si scrive, hanno reso l´intervento inutile.
A propendere, presso i giudici di merito, per il diniego di riconoscimento del danno risarcibile, è stato l´aver focalizzato l´attenzione sul mancato peggioramento della patologia della paziente. Tuttavia, mancando sia l´esecuzione delle attività preparatorie che quelle riabilitative, l´intervento aveva avuto esito negativo, conseguendone la sua ingiustificatezza.
Dal principio secondo cui :" in tema di responsabilità sanitaria, qualora un intervento operatorio, sebbene eseguito in modo conforme alla lex artis e non determinativo di un peggioramento della condizione patologica che doveva rimuovere, risulti (...) del tutto inutile (...) si configura una condotta della struttura che risulta di inesatto adempimento dell´obbligazione", richiamato dalla Cassazione a sostegno della sua pronuncia, deriva come la lesione ingiustificata nella sfera psicofisica del paziente, consista in un danno non patrimoniale per il tempo perduto per le fasi preparatorie, di esecuzione e postoperatorie, e per la sofferenza dovuta alla percezione dell´inutilità dell´intervento.
Quanto ai danni al cui risarcimento ha diritto la ricorrente, questo l´orientamento della Corte circa la "perdita di chance": nel contesto sanitario essa si sostanzia nel perdere la possibilità di ottenere un risultato conveniente dall ´intervento subito. Col richiamo in sentenza, alla n. 7193 del 2015, la Suprema Corte ha affermato che la domanda di risarcimento del danno comprende ogni possibile voce di pregiudizio, per cui anche laddove non specificamente indicata, la perdita di chance, allegata e provata, è parte del ristoro del danno. La Corte ha accolto il ricorso e rimesso l´accertamento di tale elemento, al giudice del rinvio.
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università egli Studi di Messina, nell´anno 2015.
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