Lo ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17776/2016, depositata l´8 settembre, di conferma delle Sentenze poste in essere nei primi due gradi di giudizio.
Nel caso in esame veniva infatti dal Supremo collegio confermata la pronuncia del giudice di prime cure, e d´Appello con cui era stato dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato in data 8/2/2008 da Piazza Pulita s.p.a. nei confronti di C. M., e condannata la società alla reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro ed al risarcimento dei danno ex art.18 1.300/70 nella versione di testo applicabile ratione temporis.
Gli addebiti ascritti alla dipendente e posti a fondamento dei provvedimento espulsivo irrogato, erano stati smentiti all´esito delle dichiarazioni rese dai numerosi testimoni escussi, la cui attendibilità era stata sottoposta ad attento scrutinio, essendo emerso: a) che i compiti affidati alla ricorrente (sistemazione dei capi di abbigliamento nel reparto uomo), erano stati regolarmente svolti; b) che la lavoratrice si era allontanata dal posto di lavoro previa autorizzazione del capo area; c) che il malore che l´aveva colpita non era stato simulato, trovando riscontro nella certificazione medica versata in atti; d) che nessuna prova di un incitamento della C alla propria madre ad inveire contro il direttore era stata acquisita, non risultando neppure dimostrato che la ricorrente avesse tenuto un comportamento oltraggioso nei confronti del superiore gerarchico.
Ciò premesso, ritenendo il Supremo Collegio di fondamentale importanza le testimonianze e non accogliendo i motivi proposti in Cassazione dal datore di lavoro né in ordine alla condotta della dipendente né in una prospettiva procedurale, il ricorso è stato consequenzialmente rigettato con con relativo riconoscimento di diritto alla reintegra ed al risarcimento della lavoratrice.
La vicenda ha offerto l´opportunità alla Sezione Quarta del Supremo Collegio di ribadire un fondamentale principio in ordine alla determinazione dello "aliunde perceptum" in situazioni analoghe.
Su quest´ultimo punto, il Collegio, disattendendo la richiesta avanzata dalla Società, ha affermato come ai fini della sottrazione dell´ "aliunde perceptum" dalle retribuzioni dovute, è necessario che il datore di lavoro dimostri quantomeno la negligenza del lavoratore nella ricerca di altra proficua occupazione, o che comunque risulti, da qualsiasi parte provenga la prova, che il lavoratore ha trovato una nuova occupazione e quanto egli ne abbia percepito, tale essendo il fatto idoneo a ridurre l´entità del danno risarcibile.
Sentenza allegata
Nel caso in esame veniva infatti dal Supremo collegio confermata la pronuncia del giudice di prime cure, e d´Appello con cui era stato dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato in data 8/2/2008 da Piazza Pulita s.p.a. nei confronti di C. M., e condannata la società alla reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro ed al risarcimento dei danno ex art.18 1.300/70 nella versione di testo applicabile ratione temporis.
Gli addebiti ascritti alla dipendente e posti a fondamento dei provvedimento espulsivo irrogato, erano stati smentiti all´esito delle dichiarazioni rese dai numerosi testimoni escussi, la cui attendibilità era stata sottoposta ad attento scrutinio, essendo emerso: a) che i compiti affidati alla ricorrente (sistemazione dei capi di abbigliamento nel reparto uomo), erano stati regolarmente svolti; b) che la lavoratrice si era allontanata dal posto di lavoro previa autorizzazione del capo area; c) che il malore che l´aveva colpita non era stato simulato, trovando riscontro nella certificazione medica versata in atti; d) che nessuna prova di un incitamento della C alla propria madre ad inveire contro il direttore era stata acquisita, non risultando neppure dimostrato che la ricorrente avesse tenuto un comportamento oltraggioso nei confronti del superiore gerarchico.
Ciò premesso, ritenendo il Supremo Collegio di fondamentale importanza le testimonianze e non accogliendo i motivi proposti in Cassazione dal datore di lavoro né in ordine alla condotta della dipendente né in una prospettiva procedurale, il ricorso è stato consequenzialmente rigettato con con relativo riconoscimento di diritto alla reintegra ed al risarcimento della lavoratrice.
La vicenda ha offerto l´opportunità alla Sezione Quarta del Supremo Collegio di ribadire un fondamentale principio in ordine alla determinazione dello "aliunde perceptum" in situazioni analoghe.
Su quest´ultimo punto, il Collegio, disattendendo la richiesta avanzata dalla Società, ha affermato come ai fini della sottrazione dell´ "aliunde perceptum" dalle retribuzioni dovute, è necessario che il datore di lavoro dimostri quantomeno la negligenza del lavoratore nella ricerca di altra proficua occupazione, o che comunque risulti, da qualsiasi parte provenga la prova, che il lavoratore ha trovato una nuova occupazione e quanto egli ne abbia percepito, tale essendo il fatto idoneo a ridurre l´entità del danno risarcibile.
Sentenza allegata
Documenti allegati
Dimensione: 20,08 KB