Con l'ordinanza n. 20862 dello scorso 21 luglio, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato la nullità di un matrimonio per l'accertata incapacità di intendere e volere della moglie al momento delle nozze, respingendo le doglianze del marito che rilevava l'assenza di pregiudizi subiti dalla moglie in conseguenza del matrimonio.
Si è difatti specificato che "il matrimonio dell'incapace è nullo, in nome della tutela dell'integrità del consenso matrimoniale che l'ordinamento vuole che si formi in piena libertà e consapevolezza, a prescindere dall'eventuale presenza di un pregiudizio in capo alla vittima".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, il Tribunale di Roma, adito da una donna, dichiarava la nullità del matrimonio contratto dalla stessa con un uomo.
A sostegno della decisione i giudici rilevavano come, al momento della celebrazione del matrimonio, la donna fosse incapace di intendere e volere, essendo rimasta vittima della condotta del marito tesa a carpirne la volontà, tradendo la sua buona fede e approfittando della sua incapacità di autodeterminarsi, mediante l'insistente richiesta, cui ella aveva infine ceduto, di apporre la sua firma su due registri presenti su un banchetto all'ingresso di una chiesa ove l'uomo l'aveva condotta, facendole credere che si trattasse di libri dove firmavano i visitatori.
La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma, che dichiarava la nullità del matrimonio civile ai sensi e per gli effetti dell'art. 120 c.c. per incapacità di intendere e volere della donna al momento della celebrazione del matrimonio.
Il marito, ricorrendo in Cassazione, denunciava l'omesso esame di fatti decisivi dimostrativi della capacità di giudizio della donna al momento del matrimonio, quali il rilascio della procura per le pubblicazioni di matrimonio da parte della stessa a una zia che era Ufficiale di stato civile; il ricorrente, inoltre, rilevava l'assenza di pregiudizi subiti dalla moglie in conseguenza del matrimonio e di profitti da lui ottenuti dalla frequentazione pubblica con la medesima nel periodo precedente al matrimonio.
La Cassazione non condivide la doglianza sollevata.
Gli Ermellini evidenziano come, ai sensi dell'art. 120 c.c., il matrimonio può essere invalidato per la mera sussistenza dell'incapacità di intendere e volere del coniuge al momento della celebrazione, intesa come menomazione della sfera intellettiva e volitiva di tale grado da impedire di fare comprendere il significato e le conseguenze giuridiche dell'impegno matrimoniale assunto.
Il matrimonio dell'incapace è nullo, in nome della tutela dell'integrità del consenso matrimoniale che l'ordinamento vuole che si formi in piena libertà e consapevolezza, a prescindere dall'eventuale presenza di un pregiudizio in capo alla vittima, pregiudizio richiesto dall'ordinamento solo in materia contrattuale.
Sul punto, tuttavia, la Cassazione puntualizza che la vittima il cui consenso è viziato per la mancanza di capacità di intendere – e, dunque, di autodeterminazione nella importante decisione di contrarre il matrimonio – subisce comunque un pregiudizio, quantomeno sul piano dell'equilibrio emotivo e della serenità di vita, che è conseguenza diretta del vincolo matrimoniale di cui rimane vittima.
Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza in commento rileva come i giudici di merito hanno accertato, anche tramite consulenza tecnica d'ufficio, l'incapacità di intendere e di volere della donna al momento della celebrazione del matrimonio; di contro, il ricorrente vorrebbe contrapporre una valutazione dei fatti in senso opposto, nel tentativo improprio di indurre la Corte a operare una nuova valutazione di circostanze e questioni già esaminate nella fase di merito e che, attenendo al giudizio sulla capacità di intendere e di volere, costituiscono il fulcro di un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione.
In particolare, la Corte d'appello, con motivazione ineccepibile, ha evidenziato come nella donna fosse mancante persino la consapevolezza della materialità della stipulazione dell'atto matrimoniale, sicché non erano rilevanti le questioni dell'asserita assenza del pregiudizio per la vittima o del vantaggio per il marito in conseguenza dell'assunzione del vincolo matrimoniale.
In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso.