Con la sentenza n. 2448 dello scorso 18 gennaio, la VI sezione penale della Corte di Cassazione, ha accolto una domanda volta ad ottenere la rescissione di una sentenza di condanna passata in giudicato per assenza degli imputati che, senza colpa, non avevano avuto conoscenza del decreto di citazione in giudizio, sebbene avessero sempre chiesto al loro difensore di fiducia informazioni sul processo.
Si è difatti precisato che la persona sottoposta alle indagini o imputata versa in colpa qualora, dopo aver nominato un difensore di fiducia in un procedimento penale, non si attivi autonomamente per mantenere con lo stesso i contatti periodici essenziali per essere informata dello sviluppo di tale procedimento; laddove tale diligenza informativa presso il proprio difensore sia stata osservata, nessun rimprovero può essere mosso all'imputato o indagato per la mancata conoscenza del processo, pur quando, in ipotesi, gli fossero stati noti atti precedenti, quali, ad esempio, quelli relativi alla fase investigativa, e quindi al procedimento.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'emissione di una sentenza di condanna, divenuta irrevocabile perché non impugnata da alcuna delle parti, nei confronti due persone condannate per il delitto di cui all'art. 388 c.p..
In particolare, in quel processo, gli imputati erano stati dichiarati assenti, ai sensi dell'art. 420 bis c.p.p., poiché non erano comparsi in dibattimento, pur avendo ricevuto rituale notifica del decreto di citazione a giudizio, effettuata a mani del loro difensore di fiducia dell'epoca, un avvocato del Foro di Trento da loro indicato quale domiciliatario.
Avverso tale sentenza gli imputati proponevano ricorso in Cassazione, chiedendo la rescissione di tale giudicato, a norma dell'art. 625 ter c.p.p., adducendo l'incolpevole ignoranza, da parte di costoro, dell'avvenuta celebrazione del processo.
A sostegno del loro assunto allegavano – oltre a delle certificazioni dell'Ordine degli Avvocati di Trieste ove si evinceva che l'avvocato triestino era stato cancellato dall'albo – una missiva a nome dello stesso legale con la quale quest'ultimo confermava di aver ricevuto la notifica del decreto di citazione a giudizio, quale difensore domiciliatario degli imputati, ma di non averne dato notizia agli stessi, così disinteressandosi al processo, non partecipando alle udienze e non svolgendo ulteriore attività difensiva; riferiva, altresì, di aver ricevuto dai suoi assistiti, anche dopo la notifica del predetto decreto di citazione, richieste di informazioni sull'andamento del processo, e di essersi limitato a riferire loro che lo stesso fosse ancora pendente.
Il Procuratore generale e la difesa della parte civile si opponevano a tale richiesta, evidenziando come la rescissione non si applica nel caso di imputato ritualmente dichiarato assente, il quale abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia poiché, in tal caso, grava sull'indagato l'onere di attivarsi "autonomamente e personalmente", posto che la conoscenza del procedimento reca con sé anche "una presunzione semplice di conoscenza del successivo processo".
Gli Ermellini condividono le censure formulate dai ricorrenti.
In punto di diritto la Cassazione specifica che per aversi rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 625 ter la mancata conoscenza del processo, da parte dell'imputato rimasto assente durante tutto il corso dello stesso, deve essere "incolpevole": in considerazione del radicale effetto demolitorio dell'istituto, sono posti particolari oneri di diligenza in capo all'interessato, il quale non può fare mero affidamento sulla difesa tecnica.
Si è difatti specificato che la persona sottoposta alle indagini o imputata versa in colpa qualora, dopo aver nominato un difensore di fiducia in un procedimento penale, non si attivi autonomamente per mantenere con lo stesso i contatti periodici essenziali per essere informata dello sviluppo di tale procedimento.
Viceversa, laddove tale diligenza informativa presso il proprio difensore sia stata osservata, nessun rimprovero può essere mosso all'imputato o indagato per la mancata conoscenza del processo, pur quando, in ipotesi, gli fossero stati noti atti precedenti, quali, ad esempio, quelli relativi alla fase investigativa, e quindi al procedimento: difatti, se è vero che le ipotesi tipizzate dal codice di rito (420 bis c.p.p. commi 1 e 2) in cui è possibile procedere anche in assenza dell'imputato stigmatizzano quei casi in cui sussiste una presunzione di conoscenza del processo da parte dell'imputato, è altrettanto vero che siffatta presunzione è relativa, in quanto l'interessato ben può fornire la prova contraria.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte ritiene che i ricorrenti abbiano tenuto una condotta sufficientemente diligente e ne abbiano offerto adeguata dimostrazione.
Difatti, la missiva a nome dell'avvocato triestino con la quale quest'ultimo forniva la sua versione dei fatti (ovvero di essersi totalmente disinteressato del processo, per ragioni personali e familiari e che era stato contattato, in più occasioni, dagli odierni ricorrenti, sia di persona che per telefono, e tuttavia di non averli informati né dell'avvenuta ricezione, quale domiciliatario, della notifica del decreto di citazione a giudizio, né degli ulteriori sviluppi del processo) unitamente all'ulteriore documentazione prodotta dai ricorrenti, che dava conforto alle allegazioni relative alle disavventure professionali e personali di quell'avvocato, sono ritenute elementi sufficienti a provare come gli imputati non versassero in colpa.
In conclusione la Cassazione accoglie il ricorso, revoca la sentenza, divenuta irrevocabile, emessa nei confronti dei ricorrenti dal Tribunale di Roma e dispone trasmettersi gli atti al medesimo Tribunale per l'ulteriore corso.