Una sentenza della Cassazione penale, appena depositata, fissa dei paletti alla ospitalità e condanna un indiano sikh che voleva circolare con un coltello ´sacro´ secondo i precetti della sua religione. In attesa di pubblicare il testo, ecco le anticipazioni di Ansa.
"In una società multietnica, - prosegue il verdetto della Suprema Corte - la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l´identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l´integrazione non impone l´abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell´art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante". Con questa sentenza, i supremi giudici hanno respinto il ricorso di un indiano sikh condannato a duemila euro di ammenda dal Tribunale di Mantova, nel 2015, perchè il sei marzo del 2013 era stato sorpreso a Goito (Mn), dove c´è una grande comunità sikh, mentre usciva di casa armato di un coltello lungo quasi venti centimetri. L´indiano aveva sostenuto che il coltello (kirpan), come il turbante "era un simbolo della religione e il porto costituiva adempimento del dovere religioso". Per questo aveva chiesto alla Cassazione di non essere multato, e la sua richiesta era stata condivisa dalla Procura della Suprema Corte che, evidentemente ritenendo tale comportamento giustificato dalla diversità culturale, aveva chiesto l´annullamento senza rinvio della sentenza di condanna.
Ad avviso della Prima sezione penale della Suprema Corte, invece, "è essenziale l´obbligo per l´immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all´ordinamento giuridico che la disciplina". Il verdetto aggiunge che "la decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha la consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza, ne impone il rispetto e non è tollerabile che l´attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante"