Di Paola Moscuzza su Venerdì, 16 Giugno 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Rapporto su strage Capaci, insorge avvocato: "Io, diffamato da P.G.". Ma Cassazione: "Nessuna lesione, metro è giudizio cittadino comune"

 

Il reato di diffamazione si configura anche quando il nucleo centrale della notizia, che le conferisce veridicità, sia corredato da informazioni secondarie ed inesatte, se queste non alterano la portata informativa dell´articolo giornalistico contenente la notizia. Ma non può sussistere alcuna lesione dell´onore e della Rag reputazione che non sia fondata sul potenziale disvalore che dalle parole assertivamente diffamatorie possa derivare al soggetto passivo in relazione alla considerazione che il cittadino comune nutra nei confronti della reputazione di costui, e giammai in relazione alla considerazione che il soggetto medesimo nutra nei confronti di se stesso.
 
La sentenza che enuncia tale principio è la n. 14447/17, emanata dalla I sezione Civile della Corte di Cassazione, e depositata il 9 Giugno.
Un avvocato citava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Caltanissetta, il Ministero dell´Interno, per la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito delle dichiarazioni diffamatorie contenute nelle relazioni della Polizia di Stato, nell´ ambito delle indagini svolte in occasione della strage di Capaci (23 Maggio 1992).
 
Il Tribunale, accogliendo solo parzialmente la domanda, condannava il Ministero dell´Interno a risarcire una somma di euro 95.000.00, in favore di parte attrice.
Adita la Corte d´Appello, questa rigettava l´appello principale proposto dall´avvocato, e l´appello incidentale proposto dall´Amministrazione dell´Interno.
La Corte respingeva l´eccezione di prescrizione proposta dal Ministero, e reputava diffamatorie solo talune notizie secondarie. Inoltre confermava il risarcimento del danno nella somma, come riconosciuto in primo grado.
 
Per cassare la sentenza, proponeva ricorso il Ministero dell´Interno nei confronti dell´avvocato, il quale resisteva con controricorso.
 
Infondata, innanzitutto, risultava l´eccezione sulla prescrizionedel diritto al risarcimento del danno morale da diffamazione, il cui termine, ricordava la Suprema Corte, decorre non dal momento in cui è posta in essere la condotta lesiva, ma dal momento in cui la vittima viene a conoscenza del fatto illecito. Pronunciandosi invece sulla ritenuta portata diffamatoria delle notizie, la stessa affermava che, la verità dei fatti oggetto della notizia diffamatoria "non è scalfita da inesattezze secondarie o marginali ove non alterino, nel contesto dell´articolo o di altro mezzo di diffusione, la portata informativa dello stesso, rispetto al soggetto al quale sono riferibili"(Cass. sentenza n. 17197 del 27/08/2015,; Cass. sentenza n. 18264 del 26/08/2014). Il giudice del merito aveva individuato delle falsità la cui valenza era indubbiamente solo secondaria, essendo veritiere il resto delle notizie pubblicate sulla stampa.
Sottolinea, per finire, la Corte che, la domanda di risarcimento per lesione della reputazione personale, richiede che la condotta diffamatoria venga valutata rapportandola all´ effettiva lesione dell´onore e della reputazione di cui quest´ultima gode tra la gente, e non in riferimento della considerazione che la persona ha di se stessa.
(Cass. sentenza n. 12813 del 21/06/2016)
 
Sulla base di tali asserzioni, la Corte accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata con rinvio.
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.
 
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