Riferimenti normativi: Art.43 D.P.R.n.600/73 – Art.4 D.Lgs.n.74/2000
Focus: Per gli avvisi di accertamento relativi agli anni antecedenti al 2016 opera, nei confronti degli eredi dei contribuenti defunti, il raddoppio dei termini di accertamento per le violazioni penali commesse dai deceduti. A nulla rileva l'esito del giudizio penale ai fini della decadenza dei termini per l'accertamento. È quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 493 dell'11 gennaio 2022.
Principi generali: A norma dell'art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla, gli avvisi di accertamento devono essere notificati entro il quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuta essere presentata. L'art. 4 del d.lgs n. 74 del 2000 prevede che si commette reato quando l'imposta evasa è superiore a euro 100.000 oppure che gli elementi attivi sottratti all'imposizione sono superiori al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, sono superiori a euro 2.000.000. Con il d.l. n. 223 del 4/7/2006, art. 37, è stato stabilito che in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 del c.p.p. per uno dei reati previsti dal citato d.lgs n. 74/2000, i termini ordinari di cui all'art. 43, c. 3, del D.P.R. n. 600/1973 sono raddoppiati. Con il successivo d.lgs n. 128 del 5/8/2005, in vigore dal 2/9/2015, decreto emanato in attuazione della legge delega per la riforma fiscale dell'11/3/2014, n. 23, è stato disposto che il raddoppio non opera qualora la denuncia da parte dell'Amministrazione finanziaria sia stata presentata o trasmessa oltre la scadenza dei termini ordinari sopra indicati. Infine, con la legge n. 208 del 28/12/2015, in vigore dall'1/1/2016 è stato eliminato il raddoppio dei termini.
Premesso ciò, sulla tematica si è pronunciata la Corte diCassazione con la sentenza n. 493 dell'11 gennaio 2022 con particolare riferimento ad avvisi di accertamento notificati ad eredi di contribuenti che avevano commesso violazioni penali. Nel caso di specie, l'Agenzia delle entrate ha notificato al contribuente dapprima un avviso di accertamento, per l'anno d'imposta 2001, in qualità di erede del padre e un secondo avviso di accertamento, quale erede della madre, per l'anno d'imposta 2002, contestando la omessa dichiarazione di disponibilità patrimoniali e finanziarie, detenute all'estero (intestate ai de cuius fino alla loro morte e poi passate nella disponibilità del ricorrente), da sottoporre a tassazione (imposta sostitutiva) con aliquota del 27 per cento. Il contribuente ha impugnato con due separati ricorsi gli atti impositivi, lamentando in via preliminare la decadenza dell'Ufficio finanziario dal potere di accertamento per violazione dell'art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973. La Commissione tributaria provinciale adita, previa riunione dei ricorsi, li ha rigettati, rilevando che l'Ufficio, dopo avere provveduto alla quantificazione dei redditi omessi, aveva constatato il superamento dei limiti di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 (imposta evasa Irpef ed Iva superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila), e, quindi, era da ritenersi operante il raddoppio dei termini per l'accertamento. Avverso tale sentenza il contribuente ha proposto appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale, reiterando le eccezioni e difese già spiegate in primo grado, ed i giudici di secondo grado hanno rigettato l'impugnazione. La Commissione tributaria regionale ha osservato, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.247/2011, che non era ravvisabile la decadenza del potere di accertamento, poiché alla data di entrata in vigore del d.l. n.223/2006, era ancora pendente il termine per la notifica degli avvisi di accertamento, che sarebbero scaduti a dicembre 2006 e 2007.
Contro detta sentenza l'erede dei de cuius ha presentato ricorso in Cassazione per violazione dell'art. 43 D.P.R.n.600/73, come modificato dall'art.37, c. 24, del d.l. n.223/2006, per avere i giudici di appello ritenuto tempestiva la notificazione degli avvisi di accertamento impugnati. Il ricorrente, a tal proposito, ha sostenuto che i fatti da cui è derivato l'obbligo di denuncia ex d.lgs. n.74/2000 sono sorti solo successivamente al 2009, cioè dopo la data di comunicazione della notizia di reato a carico di terzi da cui era poi scaturito il controllo a carico dei de cuius, ossia in epoca successiva alla chiusura del termine ordinario di decadenza dell'accertamento di cui all'art.43, c.1, e, in secondo luogo, che i fatti penalmente rilevanti si erano comunque estinti per intervenuto decesso dei contribuenti nel 2009, per cui non poteva applicarsi la normativa sul raddoppio dei termini di accertamento che si applicava solo con riferimento a fattispecie perfezionatesi dopo la sua entrata in vigore. In ogni caso l'ufficio finanziario avrebbe dovuto allegare agli avvisi di accertamento copia della denuncia penale di cui all'art.331 c.p.c., riferita ai fatti imputabili ai de cuius al fine di consentire al contribuente, in qualità di erede e, soprattutto, ai giudici tributari attraverso una verifica postuma di apprendere il contenuto della medesima e di stabilire se l'ufficio avesse agito con ragionevolezza e buona fede o avesse utilizzato lo strumento della denuncia penale al solo fine di prorogare gli ordinari termini di accertamento pur non essendone legittimato. Nella fattispecie, al contrario, l'Ufficio si era limitato esclusivamente a sostenere la sufficienza dell'obbligo di denuncia del reato omettendo di allegare in giudizio i documenti afferenti ai fatti-reato contestati al de cuius e trascurando di tener presente che l'ipotetico fatto-reato a carico dei contribuenti si sarebbe comunque dovuto considerare estinto per l'intervenuto decesso di entrambi i de cuius.La Cassazione ha ritenuto infondata la detta eccezione in quanto il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, c.3, D.P.R. n.600/73 e 57, c.3, D.P.R. n.633/72, come modificati dall'art.37, c.24, d.l. 223/2006, presuppone unicamente l'obbligo di denuncia penale per uno dei reati previsti dal d.lgs.74/200 e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.247/2011. È perciò irrilevante che detto obbligo possa insorgere anche dopo il decorso di un periodo pari a quello del termine breve o possa non essere adempiuto entro tale termine. Ciò che rileva è solo la sussistenza dell'obbligo di denuncia perché essa soltanto configura la fattispecie di illecito tributario a cui è connessa l'applicabilità dei termini raddoppiati di accertamento (Cass. sent. n.26037/2016; Cass. sent. n.17586/2019; Cass. sent. n.13481/2020; Cass. sent. n.19000/2021). Pertanto, alla luce di quanto esposto, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del contribuente.