Due carabinieri, Marco e Pietro, accusati di aver abusato sessualmente di due studentesse americane nella notte tra il 6 e il 7 settembre dello scorso anno. Un incidente probatorio a Firenze nel corso del quale un avvocato, Cristina, difensore di Marco, chiede - secondo quanto riportato dal Corriere della Sera e rilanciato dal Tirreno - a una delle due studentesse: "Lei trova affascinanti, sexy gli uomini che indossano una divisa?". Il giudice la blocca: "Inammissibile, le abitudini personali, gli orientamenti sessuali non possono essere oggetto di deposizione". E ancora: "Lei indossava solo i pantaloni quella sera? Aveva la biancheria intima?". Anche questa domanda non viene ammessa.
«Ho evitato per un pezzo le interviste, perché non volevo un processo mediatico. Ma dopo l´incidente probatorio mi sono sentita in dovere di rappresentare la verità, perché non è quella che vogliono far sembrare. Sono vittime e come tali devono essere trattate. Non è giusto cercare un´attenuante a uno stupro. Il caso va visto per quello che è: c´è una vittima, c´è un aggressore. Nazionalità e divisa non contano». A parlare al Dubbio, in un articolo apparso il 25 novembre scorso, Francesca D´Alessandro, legale, assieme a Floriana De Donno, di una delle due ragazze americane.
Insomma, una collega che, senza peli sulla lingua, rivolge alle due ragazze domande strane, del tipo se fossero attratte (sessualmente?) dalle divise dell´Arma. E poi, un altro avvocato a cui quelle domande non piacciono e che chiede all´Ordine di Firenze se esse siano rispettose dei principi fondanti la professione forense.
Il Coa di Firenze, infine, che lo scorso 21 febbraio delibera a maggioranza il "non luogo a provvedere" sulla richiesta, ritenendo "inammissibile qualsivoglia forma di ingerenza esterna in un rapporto di dialettica processuale, governato dalle norme del codice di rito". Una richiesta, quella dell´avvocato che il Coa ritiene tanto più grave "in quanto proveniente da un avvocato".
Fin qui infatti, adesso alcune considerazioni:
1) Esiste un limite in ogni difesa, e questo limite si identifica nel rispetto di principi etici che attengono al rispetto della persona umana e che hanno dignità di gran lunga superiore rispetto a quelli della stessa difesa tecnica strettamente considerata e delle "norme del codice di rito". Questo limite è iscritto nella Costituzione e ci stato insegnato fin dagli anni dell´università. Se dobbiamo rispetto a chi è alla sbarra accusato di crimini e nefandezze, tanto più dobbiamo rispetto a chi è dall´altra parte, dalla parte di chi, probabilmente, ha subito.
2) Quelle domande, rivolte da una donna a due donne, quand´anche fossero state ritenute ammissibili processualmente (ma nella fattispecie, fortunatamente, non lo sono state) null´altro avrebbero potuto essere ritenute se non il paradigma di un´arretratezza culturale senza pari, che senza ammetterlo esplicitamente è spesso talmente sfrontata, al limite, da giustificare anche possibili comportamenti violenti in quanto "indotti" dalle donne, dal loro modo di essere, di abbigliarsi o di truccarsi, addirittura, come in questo caso, dai loro pensieri, dalle loro, indimostrate ed immaginarie, passioni. Quelle domande, quand´anche fossero state lecite, sarebbero tuttavia rimaste eticamente censurabili, tanto più che, irrilevanti ai fini della difesa, sono sembrate puntare, probabilmente, a ben altro.
3) L´esposto al Coa della Collega nei confronti di un´altra Collega sarà forse stato irrituale, ma è un bel segno. Il segno che quando una cosa non ci piace, bisogna dirla, e che non esiste in linea di principio alcuna solidarietà di categoria che possa farci passare sopra comportamenti che riteniamo censurabili e che censuriamo se compiuti da altri soggetti che non siano Professionisti del foro. Questa Collega, quindi (e non sappiamo neppure chi essa sia) merita il nostro apprezzamento ed anche il nostro rispetto, perché oltretutto anche a noi quelle domande non sono piaciute, ed è piaciuto ancor meno che fosse un avvocato, e massimamente una donna, a pronunciarle.
4) Pollice verso, in conclusione, nei confronti della delibera di non luogo a procedere del Coa fiorentino. Che non ci piace, non tanto per l´esito, ma per i termini utilizzati. Che somigliano tanto a quelli delle giunte parlamentari che, in sede di espressione dei pareri riguardo richiesta di deferimento di deputati per espressioni da essi utilizzate lesive della reputazione o della moralità di terzi, fanno spesso riferimento alla insindacabilità delle valutazioni espresse nell´esercizio del mandato. Che la legge tutela, al pari, naturalmente, della libertà di una difesa, come garanzia assoluta contro gli abusi dell´autorità e dello stesso diritto riconosciuto dall´articolo 24 della Carta, sapendo al tempo stesso, che di garantire questi diritti non significa affatto non tener conto gli altri principi di pari dignità morale, come quelli che la Collega, prendendo il coraggio a quattro mani, ha inteso, da donna e da avvocato, difendere.
Quelle espressioni utilizzate dal Coa, ai suoi occhi come ai nostri, contano ben poco.
La Redazione