Gli apprezzamenti denigratori sull'attività del collega e la ratio del loro divieto
La qualità di avvocato non deve giustificare un comportamento scorretto, anzi spesso la scorrettezza costituisce un aggravante. E ciò in considerazione del fatto che il professionista deve sempre agire nell'osservanza dei doveri di probità, decoro e dignità nella vita privata e a maggior ragione quando è in veste di avvocato. Infatti, la condotta del professionista deve essere tale da non compromettere la reputazione personale o l'immagine dell'avvocatura. «L'avvocato, invero, deve tenere un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei propri dipendenti, del personale giudiziario e di tutte le persone con le quali venga in contatto nell'esercizio della professione [1] (Cass., S.U., n. 4994/1998) e in ambito privato. Tale comportamento deve essere tenuto anche nei confronti dei colleghi.
Da quanto sin qui premesso, discende la ratio del divieto:
- di esprimere apprezzamenti denigratori sull'attività di un collega;
- di esibire in giudizio documenti relativi alla posizione personale del collega avversario ove non siano strettamente necessari alla tutela di un diritto [2].
La violazione di tale divieto costituisce un illecito rilevante dal punto di vista disciplinare, sanzionabile con l'avvertimento.
Il divieto di divulgare le notizie riguardanti il collega nella prassi
È stato ritenuto che:
- «il deposito in giudizio di un esposto disciplinare contro il collega avversario non vìola il disposto di cui all'art. 42 ncdf, qualora abbia attinenza con i fatti di causa e costituisca un "rafforzativo" della bontà della propria tesi, secondo necessità difensive non sindacabili in sede deontologica(Nel caso di specie, il professionista aveva invocato la condanna di controparte ex art. 96 cpc, all'uopo allegando un esposto disciplinare nei confronti del collega avversario. Tale comportamento veniva quindi sanzionato dal COA di appartenenza, secondo cui la notizia dell'esistenza del procedimento disciplinare non era indispensabile alla difesa. La decisione veniva infine impugnata al CNF che, in applicazione del principio di cui in massima, ha accolto il ricorso)» (CNF. n. 171/2015, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=33324);
- le notizie riguardanti la persona del collega avversario non devono essere utilizzate in un giudizio, salvo che l'uso di tali notizie sia necessario pr tutelare un diritto. Per necessario non deve intendersi quell'uso finalizzato esclusivamente all'accoglimento della domanda giudiziale del proprio assistito dal momento che questa è circostanza totalmente estranea e ininfluente (CNF, n. 64/2014, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=30915);
- il divieto di utilizzare notizie riguardanti la persona del collega avversario non può essere eluso, opponendo come esimente la provocazione attuata dal predetto collega. E ciò in considerazione di fatto che «secondo un principio ampiamente consolidato nella giurisprudenza del CNF, in materia disciplinare la provocazione non vale come esimente, ma può solo essere considerata come possibile attenuante ai fini della riduzione della sanzione [...]» (CNF, n. 44/2008, richiamato da CNF, n. 64/2014 in https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2014-64.pdf );
- costituisce violazione del divieto in questione anche il comportamento dell'avvocato che, attraverso dichiarazione rilasciate a mezzo stampa, «prive di equilibrio e misura, attribuisca anche in modo denigratorio ad un Collega – e quindi alla classe forense – un comportamento censurabile, giudiziario e non, caratterizzato da avidità, non disgiunto da intenti sottilmente estorsivi e finalizzato a conseguire un guadagno non dovuto» (CNF, n. 158/2011, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=16183);
- integra un illecito disciplinare e violazione del divieto in esame, la condotta del professionista che, al fine di accertare il suo diritto a essere remunerato dal collega per l'attività professionale svolta per conto di quest'ultimo, utilizza, nell'esposto dinanzi al Consiglio dell'Ordine di appartenenza documentazione riservata, esprimendo valutazioni ed apprezzamenti sull'attività del collega al solo fine di chiarire il rapporto intercorso tra le parti e la relativa richiesta di compenso per l'attività svolta (CNF, n. 89/2008, in https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=14322);
- «l'avvocato che in un colloquio con il proprio cliente usi espressioni offensive e denigratorie nei confronti di un collega pone in essere un comportamento lesivo del dovere di probità e colleganza propri della classe forense, a nulla rilevando l'eventualità che il colloquio, in cui tali espressioni sono state usate, fosse di carattere riservato (Rass. Forense, 2001, 423, in http://pluris-cedam.utetgiuridica.it)»;
- «pone in essere un comportamento contrario ai principi fondamentali della deontologia l'avvocato che si sostituisca ad altra persona, che si appropri in tal modo di beni e denaro di altri coeredi e che utilizzi espressioni denigratorie e sconvenienti nei confronti della parte e di altri colleghi» (Rass. Forense, 2001, 414, in http://pluris-cedam.utetgiuridica.it).
Note
[1] Art. 63 Codice deontologico forense:
«L'avvocato, anche al di fuori dell'esercizio del suo ministero, deve comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la dignità della professione e l'affidamento dei terzi. 2. L'avvocato deve tenere un comportamento corretto e rispettoso nei confronti dei propri dipendenti, del personale giudiziario e di tutte le persone con le quali venga in contatto nell'esercizio della professione. 3. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare dell'avvertimento».
[2] Art. 42 Codice deontologico forense:
«1. L'avvocato non deve esprimere apprezzamenti denigratori sull'attività professionale di un collega. 2. L'avvocato non deve esibire in giudizio documenti relativi alla posizione personale del collega avversario né utilizzare notizie relative alla sua persona, salvo che il collega sia parte del giudizio e che l'utilizzo di tali documenti e notizie sia necessario alla tutela di un diritto. 3. La violazione dei divieti di cui ai precedenti commi comporta l'applicazione della sanzione disciplinare dell'avvertimento».