Il delitto previsto dall'art. 633 c.p., come evidenziato nella Relazione sul progetto del vigente codice penale, trae origine dal reato di cui al D.L. 22 aprile 1920, n. 515, art. 9.
Chiunque, anche senza violenza, o senza rimuovere o alterare i termini e per trame profitto sia pure temporaneo, si immette arbitrariamente nel possesso di terreni e di fabbricati rustici di altrui proprietà, pubblica o privata, ovvero, essendone in tal modo entrato in possesso, rifiuta di abbandonare gli immobili stessi, è punito con la pena stabilita nella prima parte dell'art. 422.
L'art. 422 c.p. del 1889, in effetti, prevedeva, per il delitto di rimozione o alterazione di termini, la pena della reclusione sino a trenta mesi e quella della multa.
Tuttavia, tale figura criminosa non venne disciplinata dal Codice penale del 1889, sembrando che non potesse rivestire quel carattere di gravità, come puntualmente rilevato nella relazione preliminare del codice Rocco, dopo la prima grande guerra, il fenomeno della occupazione delle terre e degli edifici, conseguenza della crisi sociale sopravvenuta, con riverberi notevoli anche nel campo agricolo ed edilizio, assunse tale importanza e gravità da suggerire al legislatore di punire l'invasione di terreni o di edifici con la legge speciale sopra citata.
Successivamente all'entrata in vigore della Costituzione, la norma giuridica in esame è stata utilizzata, quale parametro di riferimento repressivo e preventivo, per sedare le occupazioni delle fabbriche per motivi sindacali e le occupazioni delle università da parte degli studenti.
L'art. 633 c.p., prima della modifica intervenuta per effetto dell'art. 30 d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, conv., con modif., in l. 1° dicembre 2018, n. 132 prevedeva che chiunque "invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 euro a 1.032 euro"; queste sanzioni, a loro volta, erano applicabili congiuntamente "e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi".
Ebbene, per effetto di questo novum legislativo, è adesso stabilito quanto segue: "1. Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, e' punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032. 2.
Si applica la pena della reclusione da due a quattro anni e della multa da euro 206 a euro 2.064 e si procede d'ufficio se il fatto e' commesso da più di cinque persone o se il fatto e' commesso da persona palesemente armata. 3. Se il fatto e' commesso da due o più persone, la pena per i promotori o gli organizzatori e' aumentata". Ciò posto, detto reato è altresì procedibile d'ufficio ove l'immobile occupato riguardi "acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati ad uso pubblico".
Nel caso in cui la condotta non sia stata posta in essere con violenza, trova applicazione l'art. 649 c.p. ai sensi del quale, salvo quanto previsto dal comma II di tale disposizione legislativa, non "è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno: 1) del coniuge non legalmente separato; 2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante o dell'adottato; 3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano".