Di Paola Moscuzza su Lunedì, 15 Maggio 2017
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Civile

Amministrazione sostegno, anziano può sposare la badante? La risposta della Cassazione

 

I figli di un uomo beneficiario di amministrazione di sostegno non sono legittimati ad impugnare il matrimonio che questo contrae con la badante.
 
La I sezione civile della Cassazione risolve così, con sentenza n. 11536/17 depositata l´11 Maggio, un vicenda che ha visto un anziano signore conteso tra i figli e la badante.
 
Primo ad essere investito della questione, il Tribunale di Napoli, innanzi al quale i figli convenivano il proprio genitore, il suo amministratore di sostegno, e la badante, più giovane di quasi quarant´ anni, divenuta la moglie.
 
La richiesta attorea si sostanziava nel voler ottenere la dichiarazione di nullità del matrimonio contratto dal padre, per incapacità di intendere e di volere. L´uomo, invalido di guerra e civile al 100%, aveva affrontato e superato un ictus cerebrale e necessitava di un´assistenza importante, tanto che appunto era beneficiario di amministratore di sostegno. Gli attori sostenevano che il patrimonio del padre aveva subito dei danni, essendo stato dilapidato tramite donazioni mascherate da compravendite. Pronti i convenuti a difendersi eccependo la mancanza, in capo ai figli, di legittimazione attiva, e così chiamando in causa l´art 120 del codice civile ai sensi del quale: "Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio".
 
Nel corso del giudizio, passava a miglior vita il padre degli attori che, non essendo stati esauditi in primo grado, adivano la Corte d´Appello. Questa, riconoscendo la loro legittimazione ad agire, dichiarava nullo il matrimonio e così applicando l´art 119 del codice civile. Tale norma è in realtà dettata in tema di interdizione e consente al tutore, al pubblico ministero, all´ interdetto stesso solo dopo la revoca dell´interdizione, nonché a chiunque abbia un interesse legittimo, di impugnare il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente, se al tempo del matrimonio c´era già stata sentenza di interdizione passata in giudicato, o se l´interdizione è stata pronunziata posteriormente ma l´infermità esisteva al tempo del matrimonio.
 
La Corte applicava in via analogica questa disposizione al caso di specie.
Passato quindi in appello il torto alla moglie, questa ricorreva in Cassazione, separatamente adita anche dal Procuratore generale presso la Corte d´Appello. Successivamente uniti i ricorsi, la Corte si pronunciava accogliendone il secondo motivo. Volendoci qui maggiormente soffermare solo su questo, quello centrale, spieghiamo il ragionamento della Corte.
 
Nel caso trattato, mancando un divieto da parte del giudice tutelare di contrarre matrimonio, non è ammessa l´ impugnazione del matrimonio ex art. 119 cc da parte dei terzi verso il beneficiario dell´amministrazione di sostegno, il quale può compiere gli atti personalissimi in generale. Il divieto di contrarre matrimonio (art. 85 c.c.) può essere imposto solo all´ interdetto, la cui condizione è caratterizzata invece da una totale incapacità di agire.
 
Quella di contrarre matrimonio è una libertà che, anche contro ogni dissenso, come quello di un figlio che vede il padre ultraottantenne rivivere una seconda vita con la badante, la cui qualifica di procacciatrice di eredità probabilmente calza a pennello, è incoercibile e sottoposta a limitazioni solo nei casi tassativamente previsti dalla legge.
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´ Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015.

 
 
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