Oltre degli strascichi emotivi, dei risentimenti e dei rancori sottaciuti ciò che ha una manifestazione evidente nell'ambito di un divorzio è il lato economico: tramite questo profilo si inseriscono senza dubbio gli aspetti emotivi che tramutano il divorzio stesso in una battaglia giudiziaria all'ultimo centesimo. Se difatti, come si è detto, il risentimento passa per una sorta di "risarcimento morale", ne consegue che l'assegno divorzile diviene lo strumento attraverso il quale l'ex coniuge, economicamente più debole, esercita una forma di "vendetta" per il vecchio consorte più abbiente. Da un punto di vista giudiziale trovare dei parametri oggettivi per il suddetto assegno diviene un imperativo categorico di fronte alla mole del contenzioso in materia e quindi, per converso, un modo per scremare tutti i casi che si presentano davanti ai giudici. L'ago della bilancia viene qui segnato ancora una volta dalla Suprema Corte che con la pronuncia n. 24934/19 conferma l'abbandono del parametro del tenore di vita: già difatti, in pronunce precedenti, la stessa aveva manifestato un orientamento volto al disancoraggio dal suddetto parametro. La Corte difatti modifica la funzione dell'assegno divorzile nel senso che il medesimo deve tendere a riequilibrare le posizioni economiche degli ex coniugi tenuto conto dei rispettivi apporti effettuati nella pregressa (e ormai sciolta) compartecipazione di vita.
L'analisi dunque diviene per converso più penetrante e non si limita più a guardare la facciata delle rispettive posizioni economiche.La vicenda processuale prendeva le mosse dal mantenimento della figlia minore che, sebbene affidata ad entrambi i genitori, veniva collocata presso il padre. Era stato difatti stabilito in primo grado che la madre contribuisse al mantenimento della figlia con rimborso della metà delle spese straordinarie sostenute per la medesima; si prevedeva inoltre che alla genitrice spettasse un assegno divorzile a carico del marito di € 680,00 al mese. Il padre in appello chiedeva che fosse rivisto il mantenimento della figlia affinché venisse posto a carico della madre l'obbligo ad un contributo periodico fisso. Il giudice d'appello respingeva però le istanze del padre poiché lo stesso aveva le sostanze per provvedere in maniera autonoma al mantenimento della minore; statuiva inoltre che la funzione dell'assegno divorzile era quella di consentire all'ex moglie di poter godere del pregresso tenore di vita stante il dislivello economico rispetto all' ex marito. Ricorreva per cassazione il padre lamentando anzitutto che fossero stati violati i parametri normativi per il mantenimento della figlia nel momento in cui si faceva riferimento solo ai redditi degli ex coniugi e si ometteva di analizzare il fatto che il padre provvedesse da solo al mantenimento; in secondo luogo si lamentava l'erronea applicazione della legge nel momento in cui, nella determinazione dell'assegno divorzile, non si teneva conto del fatto che la moglie disponesse di mezzi di sostentamento che le garantissero di realizzare un'esistenza autonoma.
La Corte accoglie il ricorso osservando, per quanto riguarda il primo motivo, che il mantenimento della figlia va collegato, secondo la normativa, alle condizioni economiche di entrambi i genitori e ai tempi di collocamento: in tal senso la madre non poteva essere esonerata dal mantenimento solo per il fatto che la stessa avesse degli introiti inferiori a quelli del padre. Con riferimento al secondo motivo la Corte si incentra sull'interpretazione del parametro dei "mezzi adeguati": in passato l'interpretazione giudiziale dell'adeguatezza era nel senso della persistenza del regime economico matrimoniale; diversamente, sull'onta della nuova coscienza sociale, la giurisprudenza si è ormai consolidata nel senso che l'adeguatezza vada riferita all'indipendenza economica.