Di Redazione su Sabato, 28 Maggio 2016
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Guida in stato di ebbrezza: il giudice può accertarlo anche discostandosi dal risultato ottenuto con l´alcoltest

I Giudici della IV Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 19176, emessa in data 9 maggio 2016, hanno affermato il principio secondo il quale il giudice di merito può ricondurre il fatto per cui è reato, in una delle forme più gravi tra quelle previste dall´art 186 2° comma del D.Lgs n. 285/1992. Ciò sarà possibile quando sono stati raccolti elementi oggettivi sintomatici, tali da ritenere che al momento della guida nell´organismo dell´imputato, si trovasse un tasso alcolemico maggiore di quello rilevato a distanza di tempo con l´alcoltest.
Nel caso concreto il giudice di merito aveva condannato l´imputato per il reato di cui all´art. 186 comma 2 lettera c) per guida in stato di ebbrezza , nella forma più grave, nonostante, in base al risultato rilevato attraverso l´etilometro , sarebbe dovuto essere condannato nella forma meno grave di cui alla lettera b).
Il giudice di merito aveva però motivato tale scelta poichè la rilevazione era avvenuta a distanza di oltre due ore da quando l´imputato aveva causato il sinistro e quindi ha ritenuto che il tasso alcolemico fosse stato superiore rispetto a quello rilevato, tale da far rientrare la fattispecie nell´ipotesi più grave di cui alla lettera c) del secondo comma dell´art. 186 del CdS. E´ notorio infatti che la concentrazione di alcol nel sangue ha un andamento decrescente dopo circa sessanta minuti dalla sua assunzione.
La giurisprudenza di legittimità sulla questione de qua ha assunto oramai un orientamento costante in base al quale può enuclearsi il principio secondo cui l´esame strumentale mediante alcoltest non costituisce una prova legale e che, pertanto, l´accertamento dello stato di ebbrezza può essere effettuato, per tutte le fattispecie di cui all´art. 186 cod. strada, sulla base di elementi oggettivi e sintomatici. (C., Sez. IV, 26.5.2015, n. 26562; Cass. pen. Sez. IV, 26-02-2014, n. 22241; C., Sez. IV, 4.6.2013, n. 30231)
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