Con l'ordinanza n. 7829 dello scorso 10 marzo in materia di gratuito patrocinio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto l'istanza di un difensore che- non avendo ottenuto la liquidazione del compenso per la prestazione resa, in un giudizio di divorzio, a favore di una donna che superava i limiti reddituali per godere del beneficio del gratuito patrocinio – sollevava questione di legittimità costituzionale delle norme in tema di gratuito patrocinio nel processo civile, nel punto in cui non graduano i limiti di reddito per accedere al beneficio in base alla composizione del nucleo familiare, come invece previsto per il processo penale.
Non ritenendo fondata l'eccezione di incostituzionalità sollevata, la Cassazione ha difatti precisato che appare sostanzialmente incoerente un sistema che - a risorse economiche limitate - assegni lo stesso tipo di protezione, sul piano economico, all'imputato di un processo penale, che vede chiamato in causa il bene della libertà personale, rispetto alle parti di una controversia che coinvolga, o possa coinvolgere, beni o interessi di non equiparabile valore.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da un legale, volta ad ottenere la liquidazione del compenso per l'attività svolta in favore di una donna, ammessa al gratuito patrocinio, con riferimento ad un giudizio di divorzio, svoltosi a partire dal 2017.
Il Tribunale riteneva che nulla fosse dovuto per le attività svolte nel 2017, dato che, in tale annualità, la donna superava i limiti reddituali per godere del beneficio, mentre, per quelle successive, liquidava il compenso per la sola fase decisoria, per l'importo di Euro 1383,50.
Il legale proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, eccependo la violazione dell'art. 76, comma 2, del D.P.R. n. 115 del 2002, nonché degli articoli 24 e 111 della Costituzione, sollevando questione di legittimità costituzionale delle norme in tema di gratuito patrocinio nel processo civile nel punto in cui non graduano i limiti di reddito per accedere al beneficio in base alla composizione del nucleo familiare, come invece previsto per il processo penale.
La Cassazione non condivide le doglianze sollevate dal ricorrente.
La Corte ricorda che la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 257/2014, ha osservato come il legislatore abbia sin dall'inizio differenziato il trattamento del patrocinio dei non abbienti, mostrando di privilegiare le esigenze di tutela connesse all'esercizio della giurisdizione penale.
Difatti, le peculiarità che caratterizzano il processo penale rispetto ai procedimenti civili o amministrativi, rendono del tutto coerente che il legislatore, proprio in considerazione delle particolari esigenze di difesa di chi "subisce" l'azione penale, abbia reputato necessario approntare un sistema di garanzie che ne assicurasse al meglio la effettività, anche sotto il profilo dei limiti di reddito per poter fruire del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti.
La finalità di tutela giurisdizionale sancita ex art. 24 della Costituzione e la necessità di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, non presuppongono affatto che "gli appositi istituti" siano modellati in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione e di giudizio, potendo, al contrario, apparire sostanzialmente incoerente un sistema che - a risorse economiche limitate - assegni lo stesso tipo di protezione, sul piano economico, all'imputato di un processo penale, che vede chiamato in causa il bene della libertà personale, rispetto alle parti di una controversia che coinvolga, o possa coinvolgere, beni o interessi di non equiparabile valore.
In conclusione, la Corte rigetta il motivo di ricorso.